Tutti sono utili, nessuno è indispensabile: questo il mantra del presidente Lotito quando si tratta di Lazio e di rinnovi.

Già nel 2009, hai tempi della Supercoppa vinta contro l'Inter di Mourinho, il caso dei tre dissidenti (Pandev, De Silvestri e Ledesma) teneva banco e minava la serenità ed il futuro della squadra biancoceleste, che, dopo quella vittoria, fu reduce da un'annata a dir poco disastrosa.

Corsi e ricorsi storici: dopo la vittoria della Supercoppa al cardiopalma contro la Juve, si ripresenta il caso Keita. Proprio lui, il grande escluso, diserta la ripresa degli allenamenti e continua a far parlare di sè attraverso l'intervista del suo procuratore Calenda, il quale continua a negare l'esistenza di trattative per il rinnovo contrattuale e di offerte recapitate alla Lazio per il suo assistito da parte di altre squadre. Una sconfitta laziale avrebbe sicuramente giovato alla causa del giovane senegalese, il caso ha voluto che non solo la Lazio arrivasse alla vittoria, ma che proprio il suo sostituto, Luis Alberto, risultasse come uno dei giocatori più determinanti nel corso della gara.

Già con il precedente procuratore Salvini, Keita aveva intrapreso forti polemiche con la dirigenza capitolina, sfociate lo scorso anno con il passaggio del senegalese alla corte dello stesso Calenda, il quale, a colpi di tweet e interviste, non ha mai smesso di far sentire la sua voce e il dissenso del proprio assistito. Questo turbinio di malumori culminò con la diserzione del nazionale africano dal ritiro di Auronzo di Cadore, episodio mal digerito dalla squadra e che isolò sempre più Keita all'interno dello spogliatoio (i battibecchi con Biglia, Lulic e Radu furono la prova tangibile di questo clima avvelenato che si respirava 12 mesi fa nella formazione capitolina).

La causa dell'affaire Keita è ben nota al grande pubblico, un rinnovo contrattuale quantomeno travagliato. Da una parte la Lazio, che dice di aver proposto un contratto importante al giocatore e di aver ricevuto offerte importanti da club prestigiosi, tutte rifiutate dal ragazzo; dall'altra Calenda, che addita come false le voci di proposta di rinnovo e le offerte recapitate alla società, attaccando persino i giornalisti rei di alimentare fake news, instigati dalla dirigenza laziale.

Che Tare e la Lazio non abbiano offerto un rinnovo adeguato, rischiando di dilapidare un capitale sportivo e finanziario così importante? Testate sportive nazionali ed internazionali hanno inventato di sana pianta le offerte di Milan (30 milioni), Napoli (25 milioni) e West Ham (30 milioni) recapitate alla Lazio?

Solo ieri 16/08/2017, lo stesso Calenda, in aperta contraddizione con i tweet e le sue interviste precedenti, dichiara: "Solo a giugno ci è stata recapitata per email una proposta informale di rinnovo, (...) il compenso proposto per il rinnovo contrattuale è quello di un giocatore come tanti", "Noi non abbiamo ricevuto da parte della Lazio proposte di cessione: l'unico interessamento del quale siamo a conoscenza è quello del Milan. Lotito ci ha comunicato di avere un accordo in piedi con questa società".

Un mese fa, nel pieno della trattativa per Biglia, Mirabelli dichiarava: "Keita? E' uno dei giocatori che seguivamo, ma quando ci siamo accorti che era gestito in una certa maniera abbiamo mollato la presa, non rientra più nei nostri programmi. (...) Milan e Lazio hanno rapporti splendidi, soprattutto tra Fassone e Lotito. Non abbiamo problemi con loro, in ogni trattativa dobbiamo trovare la quadra da una parte e dall'altra".

Anche secondo il ds milanista Mirabelli, quindi, il vero problema sembrerebbe essere proprio Calenda. Un procuratore con una lunga e proficua carriera alle spalle, non nuovo a situazioni controverse come quelle degli ultimi mesi: basta una breve ricerca per far riaffiorare lo scontro con Antonio Caliendo per la procura di Maicon  e le accuse di comportamenti "poco corretti" lanciategli da Gilmar Rinaldi nell'affare Casemiro.

Il sospetto che serpeggia è quello di una strategia gestionale e comunicativa improntata non ad un semplice addio, ma modellata sul "disagio psicologico" e su un possibile ricorso all' articolo 17 della Fifa, in altre parole: rescissione unilaterale del contratto per giusta causa, vale a dire mobbing.

In passato molti calciatori hanno fatto ricorso all'articolo 17, il caso Pandev è senza dubbio il più emblematico. Mentre nella causa contro Mauro Zarate si era finiti con un sostanziale pareggio tra le parti, in quella contro il macedone era stata riconosciuta l'effettiva presenza di mobbing nei confronti del tesserato, che successivamente fu libero di svincolarsi ed accasarsi all'Inter.

Durante gli ultimi anni, la dirigenza biancoceleste sembrava aver imparato la lezione. Prendiamo De Vrij, ad esempio: contrattualmente è nella stessa posizione di Keita, aveva espresso l'intenzione di non rinnovare il contratto in scadenza, eppure le immagini dei festeggiamenti della Supercoppa, con il presidente Lotito e l'olandese vicini e sorridenti in attesa della premiazione, non sembrano in alcun modo segnalare situazioni di mobbing.

A cosa è dovuto quindi il disagio psicologico di Keita? Il ragazzo, a detta del suo procuratore, è addirittura esasperato dall'atteggiamento della Lazio. Ma quali sono le azioni che la società ha posto in essere per arrivare a questa situazione? Solo una, da quello che si legge dalle dichiarazioni del procuratore: non aver offerto abbastanza soldi per il rinnovo.

Che senso ha quindi parlare di mobbing e gettare accuse così pesanti sull'operato della società? Non si rischia di rovinare il ragazzo, affibiandogli l'etichetta di primadonna piantagrane, scoraggiando società serie come il Milan dal proporgli un contratto?

Se oggi Keita si presenterà  a Formello o (ipotesi molto più probabile) diserterà di nuovo l'allenamento non ci è dato saperlo, una cosa è certa: se la storia (in)finita di Keita continuerà su questi binari a rimetterci sarà solo l'immagine di un giovane, promettente calciatore, rovinato dai soliti mercanti di uomini che spadroneggiano nel calcio moderno.