No, non è un appello al doppiopesismo.

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Non avevo seguito Cagliari-Juve e ho saputo leggendo i resoconti e, successivamente, anche dagli interventi su questo sito, di quanto è accaduto.

Anche se questo scritto è ispirato ad altro articolo apparso ieri per mano di Herr Doktor, “Siamo tutti Koulibaly, ma non siamo tutti Kean”, non ne è in contrasto ma vorrebbe essere altro pezzettoo di discussione su un argomento come quello del razzismo negli stadi e, possibilmente, di tutto il becerume che vi ristagna indisturbato in alcuni settori, quasi divenuti off-limits.

Condividendo appieno sia lo sdegno che le argomentazioni, pure polemiche, in quell’articolo non ne rifaccio menzione se non per un punto: quello in cui si riferisce alla penalizzazione inflitta alla società per cui faccio il tifo, per i beceri cori indirizzati a Koulibaly, durante Inter-Napoli. Con tutta l’indignazione che ne seguì in tutti i settori dello sport, tanto giusta, quanto scontata e vana.

Che cosa mi preoccupa?

Mi preoccupa che i tifosi del Cagliari vengano puniti ingiustamente.

Mi preoccupa che ancora una volta si utilizzino misure ingiuste e inefficaci, affondando il colpo su una società che incidentalmente, come può capitare in qualsiasi partita, si può trovare un manipolo di gente con i suoi colori sociali addosso che si comporta in modo, diciamo un po’ eufemisticamente, incivile, quando va bene.

Certo, le dichiarazioni di Giulini che cercava di affibbiare parte della responsabilità al ragazzo, già ripetutamente oggetto delle attenzioni di quei gentlemen, che si è limitato a fissarli, perfino sfoggiando molto autocontrollo, invece di ignorarli, non aiutano le mie argomentazioni ma mi piacerebbe che ci rifletteste con un po’ di serenità.

Anche questa storia dell'ignorarli, con sufficienza, sa tanto di sottrarsi (non riferito all'elegante articolo "Calcio e razzismo: "Non ti curar di loro, ma guarda e passa", che all'interno da anche altre indicazioni) . Un gesto di sufficienza e un gesto di impotenza che si somigliano, creano ambiguità. Si parla tanto di frange di persone un po' grette che vanno a sfogare istinti non condivisibili ecc. ecc. In parte sarà vero, ma in parte no. Una parte di questi tifosi è organizzata in gruppi e agisce per strategie, che poi egemonizzi anche gruppi di persone predisposte ad atteggiamenti poco consoni (eufemismo) è un'aggravante.

Ignorare, per quanto nobile, non può essere la giusta risposta, ma i provvedimenti non possono essere quelli inefficaci e di facciata, prevedibili e già previsti. Il “siamo tutti Koulibali” ci sta, per gratificare l'occhio e dare un ruolo attivo e lievemente coinvolgente alla parte di pubblico che altrimenti subisce inerte, ma è facciata e non preoccupa questi gruppi, è spettacolarizzazione del problema, neppure lontanamente isolamento e soluzione. Forse addirittura motivo di gratificazione anche per questi violenti.

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Però...

Una squalifica del campo o delle partite giocate a porte chiuse sono un'inutile generica rappresaglia che fa male a tutto il calcio e sa tanto di dichiarazione di impotenza, se non rischia addirittura di generare qualche leggero dubbio di connivenza, più o meno passiva, col metodo di mettere insieme tutta l'erba, senza distinguo alcuno.

Allora?

Allora, quando se ne può fare a meno, visto che non siamo più negli anni settanta del secolo scorso, si abbandoni, dove è ormai divenuta superflua, la responsabilità oggettiva delle società e si passi alle responsabilità individuali dei soggetti che si macchiano di questi poco edificanti episodi.

Si falserebbe meno il campionato e, soprattutto, non si farebbe pagare a chi è lì a vedere una partita di calcio, perché ama questo sport, e il cui unico torto è di non sapere reagire alla violenza di queste striminzite ma rumorose, se non a volte pericolose, minoranze.

Forse, rinunciare a svuotare gli stadi, di per sé non sempre pieni, evitando di diffondere del calcio quelle tristissime immagini di persone che corrono nel silenzio quasi assoluto, o di sentire le grida degli addetti al lavoro senza l’arrangiamento fatto del brusio, dei cori, delle contemporanee esclamazioni di stupore o di delusione, che quando mancano si avvertono come un immenso vuoto, per allontanare solo chi merita di essere scacciato, se fatto con serietà e costanza, riporterebbe allo stadio chi non va più perché infastidito da certe situazioni o perché non si sente di andarci anche con la famiglia.

Un atto punitivo, educativo e perfino promozionale al contempo.

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Spendo una parola per l'atteggiamento di Bonucci.

Forse il suo tentare di smorzare i toni (eccessivamente), cercando di attribuire parte della responsabilità al ragazzo che invece era la vittima, può essere stato fuori luogo, però non ci si distragga dal problema dalle effettive responsabilità e dall’inefficacia delle attuali misure: ci sono dei responsabili, ci sono i mezzi per individuarli, si colpiscano come individui. Non si litighi tra chi vuole più responsabilità degli addetti ai lavori e chi vuole rispetto dei valori sociali e sicurezza: possono, anzi devono, andare di pari passo.

Il giorno che il Var comincerà a richiamare gli arbitri di campo per evidenziare quelli che si rotolano agonizzanti su un campo di calcio senza essere stati sfiorati, magari tenendosi strette parti doloranti, che altrimenti si staccherebbero dal corpo, incompatibili con il contatto avvenuto, sarò tra i primi a plaudire e questo va bene, educherebbe gli addetti al lavoro a moderare lo sfoggio delle loro qualità recitative, particolarmente versatili per i ruoli drammatici, e eviterebbe inutili surriscaldamenti degli animi, soprattutto sugli spalti.

La discriminazione razziale, però, è altra cosa e contiene ben altra gravità. Averla lasciata entrare negli stadi è stato imperdonabile errore di sottovalutazione, lasciarla agire indisturbata sarebbe letale.

Si utilizzi la responsabilità oggettiva dove serve effettivamente o solo quando non si riesce ad affinare meglio le responsabilità personali: punirne 40.000 mila per educarne 100 non mi sembra sia molto efficace se siamo sempre qui a parlarne.