Secondo la dottrina escatologica della Chiesa Cattolica, tra l’Inferno ed il Paradiso troviamo il Purgatorio.
“E canterò di quel secondo regno dove l’umano spirito si purga e di salire al cielo diventa degno”.
Con queste parole il poeta per eccellenza, Dante Alighieri, introduce nella Divina Commedia la narrazione di questo 'regno', dove le anime una volta giunte non potranno mai cadere negli abissi infernali, ma potranno solamente redimersi per assaporare la gloria celeste. Il Purgatorio, dunque, rappresenta una ferma ancora di salvezza per l’anima, scampata alla dannazione eterna.
Nel calcio, però, è tutta un’altra storia.

Inferno e Paradiso esistono, non il Purgatorio. Questi due 'luoghi' sono divisi da una linea sottilissima, quasi impercettibile. Non esiste nessuna ancora di salvezza: basta un nulla per passare dalla gloria alla dannazione. Per compiere il cammino inverso, invece, ci vuole moltissimo tempo ed il rischio di ricadere negli abissi è sempre dietro l’angolo.
Ogni calciatore, dunque, deve fare i conti con questi due estremi, vivendo in balia tra angeli e demoni. Certo, guardano ai grandi calciatori viene logico pensare che essi non vivono questo determinato rischio. Eppure non è così. Un infortunio può esser letale per chiunque, così come il subentro in panchina di un nuovo allenatore che potrebbe sconvolgere le gerarchie, episodi fuori dal campo, gare decisive dove l’attenzione è tutta concentrata su una persona.
Vedi Higuain, per esempio. Grande stagione la sua con la maglia della Juventus: 32 reti in 55 presenze complessive. Il 3 giugno scorso, a Cardiff, gli occhi erano rivolti quasi tutti su di lui, mister 90 milioni con il fardello di non esser mai decisivo nelle gare che contano. Tesi confermata in pieno.
Nel calcio, una sola partita non giocata all’altezza può far dimenticare quanto fatto di buono fin quel momento. Non dovrebbe esser così, ma purtroppo lo è.

KEAN ED IL CUCCHIAIO: UNA CONDANNA

E in questi giorni ad esser precipitato dal Paradiso all’Inferno è stato Moise Kean.
Solamente una decina di giorni fa, nell’ultima gara di Serie A tra Bologna e Juventus, al minuto 94 il 17enne era entrato nella storia siglando il gol vittoria per i bianconeri e diventando di fatto il primo 2000 a timbrare il cartellino nel massimo campionato italiano. Ieri, però, Kean ha toccato l’abisso.
Nella semifinale delle Final Eight Primavera contro la Fiorentina, l’attaccante bianconero si è presentato al dischetto, ha preso la rincorsa, cucchiaio e palla regalata nelle mani di Cerofalini che non si è fatto ipnotizzare. Successivamente dagli undici metri ci è andato Gori, che non ha sbagliato, regalando così l’accesso in finale ai viola. Kean, invece, a testa bassa ha dovuto prendersi i fischi e gli insulti dei presenti. Il suo cucchiaio è spopolato sui social, dove tifosi di qualsiasi squadra si sono scagliati anche pesantemente su di lui. Dimenticandosi, forse, che è solo un ragazzino di 17 anni, prima che un calciatore. Una vergogna. Perché se le cose fossero andate diversamente, ora Kean sarebbe visto come un fenomeno indiscusso e, chissà, magari anche il suo valore di mercato sarebbe aumentato. Sì, perché purtroppo nel calcio odierno ci si dimentica della costanza e si guardano le singole gesta. Un vero paradosso.

L’unica cosa certa è che ora, Kean, ci penserà su due volte - forse tre o quattro - prima di calciare nuovamente un rigore ‘alla Totti’.
Perché ora ha provato sulla sua stessa pelle che, nel calcio, tra Inferno e Paradiso c’è una linea sottilissima, quasi impercettibile.