A seguito del rifiuto di Griezmann di andare al Barcellona e del rinnovo di Kane col Tottenham ho sentito più volte in questi giorni molteplici opinionisti, giornalisti, semplici persone comuni parlare di fedeltà, di attaccamento alla maglia da parte di questi due giocatori. Non voglio essere cattivo e ingiusto, dicendo che loro badano solo al dio denaro, e che il loro amore per le squadre in cui militano sta tutto lì. Sicuramente proveranno per esse un sentimento che può essere più o meno intenso. Ma non sono fedeli, nel senso letterale della parola. E soprattutto non sono bandiere.

Mi dispiace smentire chi ci crede davvero, mi dispiace in fondo di non poterci credere nemmeno io, ma occorre essere realistici. Al giorno d'oggi di bandiere ce ne sono pochissime e tra esse certo non si possono annoverare il petit diable francese o l'hurryKane inglese.
Perché dico questo? Perché nessuno di questi due giocatori sarebbe rimasto nella propria squadra se essa non fosse stata in grado di offrir loro uno stipendio se non pari almeno vicino a quanto erano pronte ad offrire le squadre o la squadra interessata al giocatore. Non sto accusando nessuno, né i tifosi innamorati di questi due fenomeni, né gli stessi campioni. Ma con tutto il rispetto per quest'ultimi, essere bandiere è un'altra cosa. Chiedere alla Roma per Totti. Lui si che aveva un amore viscerale per la maglia, per la città, la città, la squadra, il popolo romano, che sono una cosa sola. Totti rinunciò a stipendi due, tre volte superiori a quelli che percepiva alla Roma, rifiutò squadre molto più forti, molto più blasonate rispetto alla sua, dove avrebbe potuto vincere tutto. Rimase a Roma, lui sì per amore.
Mi si risponderà che quello di Totti è un caso estremo: dopotutto lui era nato a Roma, cresciuto nella Roma, tifoso della Roma e Romano come lo erano i suoi fan. Ebbene, ecco il caso di Antonio Di Natale
Direttamente dal caldo e solare Sud all'umido e nebbioso Nord, sponda Udinese. Una società la quale, una volta approdatovi, non lascerà per nessun'altra. Nonostante fosse una medio-piccola, nonostante avesse laute offerte, da grandi squadre (una fra tutte la Juventus). E come lui altri, meno ricordati perché giocavano nelle squadre appunto medio-piccole: penso a Pellissier del Chievo; penso al pur controverso Doni dell'Atalanta; penso a Lucarelli col Parma che ha seguito, lui sì fedelmente, nell'inferno del fallimento societario e dalla Lega Pro lo ha poi riportato in Serie A.
E a proposito d'inferno: come non ricordare Buffon, Nedved, Del Piero e gli altri che hanno seguito la Juventus in serie B, loro che erano campionissimi e che allora giocavano in Champions?

Bandiere sono coloro che danno l'anima per il club, che sono il Club. Che restano quando il club è in difficoltà, che restano quando sono loro ad essere in difficoltà;  pur non venendo più impiegati, pur avendo offerte da altre squadre dove avrebbero potuto giocare titolari, restano, poiché per loro, è difficilissimo lasciare la squadra che amano: Marchisio e Maggio.
Bandiere sono quei giocatori che si riducono l'ingaggio per poter giocare ancora, come Inzaghi.
Bandiere sono quei giocatori come Zanetti, che pur venendo dall'altra parte del pianeta incarnano lo spirito della squadra nella quale giocano.

Bandiere non sono Griezmann e Kane, giurano amore al proprio club rinnovando rispettivamente fino al 2024 e fino al 2023 per 17,5 e 21 milioni di euro. Sono grandi giocatori, da ammirare in quanto tali, ma non come bandiere, per rispetto di chi bandiera lo è o lo è stato veramente.

E non si parli di fedeltà e disinteresse nei confronti del dio denaro da parte di CR7, uno che al contrario vuole andarsene da Madrid perché Florentino Perez non ha intenzione di adeguare l'ingaggio ad un trentatreenne a cifre vicine a quanto percepisce Messi.
Cristiano Ronaldo, Griezmann, Kane. Costoro restano dei giocatori eccelsi, dalle qualità tecniche eccezionali e pure dalle buone qualità umane. Ma, lo ripeto, non sono bandiere.