L’ennesima sosta per le nazionali, la terza nel giro di pochi mesi, si è conclusa lasciando in eredità alla squadra azzurra uno scomodo passaggio attraverso i play off per accedere al prossimo mondiale. Come sempre accade in queste occasioni, si registra il solito tributo in termini di infortuni pagato dai giocatori e, di conseguenza, dalle squadre di appartenenza ad un calendario ormai fuori controllo che le varie federazioni nazionali e internazionali continuano ad ingolfare di partite. Non basta vincere un Europeo e nemmeno classificarsi tra le prime quattro nella nuova Nations League per ottenere un biglietto per un mondiale in programma il prossimo anno. Come nel secolo scorso, quando si disputavano la metà delle partite rispetto ad oggi, viene ancora mantenuto un sistema di qualificazione ormai anacronistico, obsoleto, superato. A cosa serve giocare continuamente tornei, anche di dubbio valore, se questi non mettono in palio nemmeno un posto per la competizione maggiore immediatamente successiva? Guardando al di fuori dell’Europa, a cosa serve disputare praticamente ogni estate la Coppa America se poi le stesse identiche squadre, per accedere al mondiale, sono costrette ad affrontarsi in un lungo, logorante e inutile (visto che i valori si delineano fin dalle prime giornate) torneo all’italiana di ben diciotto partite? Lo spettacolo sempre più povero offerto in campo da giocatori ormai spremuti perde interesse e attira sempre meno spettatori allo stadio e in televisione (sarei curioso di sapere quante persone hanno avuto il coraggio di guardare la noiosissima Grecia - Spagna del recente turno di qualificazione), obbligando con urgenza le istituzioni del calcio ad adottare i necessari provvedimenti per una più corretta redistribuzione degli impegni. A cominciare dalla Figc, con una riduzione delle squadre presenti in Serie A ormai non più procrastinabile, e proseguendo a livello internazionale almeno con una profonda ristrutturazione dei meccanismi di accesso ai grandi tornei.
Dunque il campionato riparte per la terza volta in tre mesi dopo la sosta per le nazionali e, scherzi di un calendario non particolarmente fortunato, la Juventus affronta ancora una volta una sfida decisamente complicata. Dopo essere andata a Napoli, senza avere a disposizione i sudamericani, e aver affrontato la Roma, questa volta è attesa allo Stadio Olimpico dalla Lazio di Sarri, per una sfida diventata già fondamentale per alimentare la rincorsa ad un piazzamento valido per la prossima Champions League.

Allegri per la trasferta romana, oltre ai soliti De Sciglio e Ramsey (a questo punto trovassero un accordo per rescindere il contratto del centrocampista gallese e chiudere una vicenda divenuta ormai ridicola), è costretto a rinunciare agli indisponibili Chiellini, Bernardeschi e Dybala, mentre Alex Sandro, tornato dal Sudamerica in non perfette condizioni, partirà dalla panchina. Nell’ormai consueto 442 “storto”, il tecnico livornese si affida a Szczesny tra i pali, protetto da una linea difensiva composta da Danilo, Bonucci, De Ligt e Pellegrini. In mezzo al campo, ancora spazio per Locatelli e McKennie, in questo momento la coppia che offre all’allenatore maggiori garanzie. Cuadrado partirà dalla destra, mentre dalla parte opposta, Rabiot è chiamato a dividersi tra la fascia e la zona centrale. In avanti, la scelta cade su Morata e Chiesa. Il recuperato Kean partirà dalla panchina.
Sarri torna ad affrontare la Juventus a quasi due anni di distanza da quell’esonero probabilmente mai del tutto accettato. La sua squadra si presenta in campo con il 433 tipico dell’ex tecnico napoletano. Reina in porta, linea di difesa formata da Lazzari, Luiz Felipe, Acerbi e Hysaj. Cataldi perno centrale di un centrocampo completato da Milinkovic e Luis Alberto. In attacco, assente Immobile per il problema al polpaccio che lo ha costretto ad abbandonare il ritiro della nazionale, spazio a Felipe Anderson, Pedro e Zaccagni.

Il collegamento si apre con le immagini che arrivano da un Olimpico che presenta un importante colpo d’occhio. La solita nutrita rappresentanza di tifosi della Juventus, oltre al settore riservato, occupa gran parte della curva sud. Appena prima che le squadre facciano il loro ingresso in campo, un commosso Ciro Immobile riceve l’omaggio da parte del popolo laziale per essere diventato il miglior marcatore della storia biancoceleste scavalcando Piola.
Fin dal calcio d’inizio, battuto come sempre dalla Lazio con un lancio lungo sul miglior colpitore di testa allargato sulla fascia, si delinea quello che sarà uno dei duelli chiave della partita. Milinkovic Savic si trova a contrasto con Rabiot. Lo schieramento della Juventus, a dispetto delle indicazioni diffuse dai canali di comunicazione della società, si presenta con una difesa a tre che diventa molto spesso a cinque, visto l’inizio più aggressivo da parte della Lazio che prova fin da subito a portare la partita nella metà campo bianconera. La Juventus mantiene il baricentro a ridosso della propria area. Si difende bene, non concedendo spazi alle iniziative avversarie e costringe la Lazio ad un lungo palleggio ai limiti dell’area dal quale non riesce ad estrarre soluzioni per portare pericoli verso la porta di Szczesny. La squadra di Allegri fatica di più, almeno nella parte iniziale dell’incontro, quando si trova in possesso palla. L’intenzione evidente dei bianconeri è di muovere il pallone in orizzontale con gli uomini della difesa e cercare il momento giusto per sfruttare l’ampiezza del campo, aprendo il gioco con cambi di fronte improvvisi che mirano a colpire la squadra di Sarri sul lato lasciato scoperto dallo schieramento difensivo molto compatto proposto dal tecnico laziale. La trasmissione del pallone, esibita dalla Juventus in questo frangente della partita, si presenta però piuttosto lenta e non riesce quasi mai a superare la prima linea del pressing laziale, costringendo i bianconeri a cercare Cuadrado o Pellegrini, isolati sulle due fasce e sempre prontamente raddoppiati dagli uomini di Sarri, oppure a ricorrere al lancio diretto verso Morata che, stretto tra Acerbi e Luiz Felipe, si batte per conquistare il pallone e aiutare la squadra ad alzare il baricentro.
La partita, pur viaggiando su ritmi importanti, non presenta particolari opportunità da gol per nessuna delle due squadre. La prima piccola svolta dell’incontro cade intorno al decimo minuto, quando un infortunio muscolare estromette dalla partita Danilo, uno dei giocatori fin qui più sfruttati tra club e nazionale. Con l’uscita del terzino brasiliano, Allegri deve quindi rivedere il suo piano tattico. Costretto a rinunciare alla difesa a tre, sulla quale aveva impostato la gara, l’allenatore sceglie di inserire Kulusevski, modificando lo schieramento della sua squadra in un 433 che in fase difensiva diventa 451. La Juventus sembra muoversi meglio. Rabiot, stabilmente dentro al campo, offre un importante contributo in termini di forza fisica, di palloni recuperati e nella gestione del possesso palla. La maggior parte dei duelli con Milinkovic Savic si risolvono spesso a favore del francese, bravo a disinnescare probabilmente la minaccia più pericolosa dei nostri avversari.
La partita si sblocca quando da poco è trascorso il ventesimo minuto. La Juventus manovra sulla sinistra con Chiesa e Pellegrini. Il cross radente del terzino è catturato al centro dell’area da Morata. Lo spagnolo anticipa Cataldi che, in netto ritardo sul pallone, lo colpisce. L’arbitro lascia correre l’azione ma la sensazione in diretta è che il fallo sia piuttosto evidente. La decisione di Di Bello non supera infatti la revisione degli arbitri al Var. Il direttore di gara viene richiamato al monitor e, dopo aver rivisto le immagini, decreta il calcio di rigore. Tocca a Bonucci incaricarsi della trasformazione. Il capitano, freddissimo, piazza il pallone nell’angolo alto alla sinistra di Reina e poi corre ad abbracciare Pinsoglio e Perin in panchina. La Juventus è in vantaggio. La gara imbocca il sentiero preferito dalla squadra di Allegri che, senza più l’esigenza di dover sbloccare per prima l’incontro, può adesso raccogliersi a protezione della propria area e puntare ad attirare in avanti gli avversari per aprire il campo al contropiede di Chiesa, Kulusevski e Morata.
La Lazio si trova di fronte un muro compatto di maglie nere che appare invalicabile. La proposta offensiva della squadra di Sarri si risolve in un giro palla piuttosto sterile che sempre più spesso è costretto a cercare una definizione con alcuni cross in area che finiscono tutti preda di De Ligt. Non si hanno notizie degli attaccanti laziali. Pedro, Felipe Anderson e Zaccagni navigano ai margini della partita. Luis Alberto propone i suoi ricami a distanza di sicurezza, sempre ben controllato da McKennie e Locatelli. L’ottima prestazione difensiva dei bianconeri è testimoniata dal primo e unico tiro biancoceleste arrivato abbondantemente dopo la mezz’ora di gioco. Una conclusione telefonata da fuori area di Milinkovic Savic facilmente gestita da Szczesny.
E’ la Juventus nel finale di tempo a proporsi con una certa pericolosità dalle parti di Reina. Morata alza troppo la mira su un invitante cross di Cuadrado, arrivato al culmine di una bella manovra bianconera che ha visto coinvolti anche McKennie e Kulusevski. Lo stesso centrocampista svedese, un minuto più tardi, si vede ribattere la conclusione a colpo sicuro da un provvidenziale intervento in scivolata di Luiz Felipe. Il primo tempo si chiude con un tuffo di Lazzari sulla fascia dopo un contrasto con Pellegrini. Non premiata da Di Bello con un calcio di punizione, la simulazione del terzino scatena le proteste da parte di giocatori, panchina e pubblico biancoceleste. Si alza pure il ridicolo coro “sapete solo rubare” (ormai chiamato in causa anche per una rimessa laterale), pietra miliare della letteratura calcistica antijuventina che nasconde frustrazione e insuccessi dietro immaginari torti arbitrali.

Nel corso dell’intervallo, gli amici presenti sui vari gruppi di whatsapp rilanciano una certa  soddisfazione per il vantaggio con cui la Juventus è andata al riposo e soprattutto per il modo sicuro con cui sta conducendo la gara. Meno sicurezza mostra invece in questa occasione l’app di Dazn installata sulla smart tv. Mentre Barzagli, Parolo e Cattaneo, da bordo campo, commentano quanto accaduto in campo nel corso del primo tempo, l’immagine si blocca. E’ necessario uscire dall’app e rientrare subito dopo. La visione riparte. Dura però un paio di minuti poi si blocca di nuovo. A questo punto, in soccorso al sempre apprensivo tifoso davanti alla tv, che ancora diffida delle nuovissime tecnologie, arriva in soccorso la chiavetta Fire Stick acquistata ad inizio stagione proprio per avere un’alternativa in queste situazioni. La chiavetta assolve perfettamente al suo compito, permettendo una buona visione della seconda parte dell’incontro.

Le due squadre rientrano in campo con le stesse formazioni con cui hanno concluso la prima frazione di gara. In avvio di ripresa è la Juventus a proporsi pericolosamente dalle parti di Reina, decisa a trovare quel secondo gol che chiuderebbe il discorso. I bianconeri si presentano subito al tiro con Kulusevski, un tentativo con il destro respinto da Reina in angolo. Sugli sviluppi del tiro dalla bandierina successivo, Bonucci manca la deviazione a rete da pochi passi. Infine ancora Kulusevski, in piena area, vanifica un contropiede innescato da uno strappo poderoso di Chiesa, sbagliando il controllo e incartandosi sul pallone al momento di concretizzare il lavoro del compagno. Il secondo gol, che sembrava essere nell’aria, non arriva. Dopo l’iniziale avvio propositivo degli uomini di Allegri, la partita si riassesta sui binari sopra i quali si era incanalata dopo il rigore trasformato da Bonucci. La Juventus si raccoglie a protezione della propria area, lasciando il pallone e l’onere di condurre la partita alla squadra costretta a rimontare. Il piano di gara predisposto da Allegri viene eseguito perfettamente dai giocatori. La Lazio non riesce mai ad entrare nell’area bianconera. Al novantesimo, l’unica conclusione a referto da parte dei biancocelesti rimarrà il tiro di Milinkovic Savic al minuto trentacinque del primo tempo. Per tutta la ripresa non si ricorda una circostanza nella quale la squadra di Sarri abbia dato la sensazione di poter creare pericoli. Una sponda aerea di Milinkovic Savic raccolta da Szczesny, su un pallone lanciato da Acerbi, e nient’altro. Troppo poco anche per una squadra priva del suo attaccante principale. Il pomeriggio del portiere polacco si risolve con qualche intervento in uscita e tanti palloni giocati con i piedi nella solita gestione difensiva della palla messa in atto dalla Juventus. Tutto sommato, ordinaria amministrazione. Sarri prova a cambiare il destino della partita mandando in campo prima Muriqi al posto di un anonimo Zaccagni, nel tentativo di alzare il livello di fisicità del suo reparto offensivo, poi toglie Felipe Anderson, autore di una prova modesta, incapace anche di sfruttare il vantaggio di trovarsi di fronte Pellegrini, e inserisce al suo posto il giovane Raul Moro. Interviene anche Allegri che richiama in panchina Morata, esausto al termine della solita partita in cui ha offerto alla squadra un costante punto di riferimento in avanti, e manda dentro Moise Kean.
Le sostituzioni non portano quella scossa sperata da Sarri. La partita si mantiene su un copione che sembra ormai delineato. Muriqi soccombe a De Ligt, Raul Moro non sembra ancora un giocatore in grado di segnalarsi a questi livelli. Con il passare dei minuti si evidenzia, da parte laziale, solo un continuo tentativo di alzare il livello della tensione in campo con proteste, ad un certo punto insopportabili, ad ogni fischio arbitrale contrario e tuffi continui anche dopo contrasti leggeri. Nella specialità spiccano in particolare Pedro e Lazzari. Saranno gli stessi laziali però a rimanere vittime della tensione da loro provocata, spendendo lucidità ed energie mentali in continue, inutili proteste fin troppo tollerate dall’arbitro Di Bello.
La Juventus chiude la gara quando mancano dieci minuti al termine. De Ligt strappa il pallone a Muriqi al limite della propria area e serve Kulusevski che, in campo aperto, con il sinistro traccia la strada verso la porta per la corsa di Chiesa. L’attaccante evita l’intervento spericolato di Reina in uscita e si accentra. Entra in area, cerca lo spazio libero tra Acerbi e Luiz Felipe per battere a rete quando viene falciato da dietro da un’entrata scriteriata del portiere, in affannoso recupero dopo l’uscita sbagliata. Di Bello è a un passo dall’azione e decreta un secondo calcio di rigore per la Juventus. Vibrate proteste si levano dalla sponda laziale. Giocatori e panchina reclamano un presunto fallo di De Ligt ai danni di Muriqi all’inizio dell’azione. Il replay in realtà conferma l’intervento pulito sul pallone da parte del giocatore olandese. Sensazione già nettamente percepita in diretta. Rimedia un cartellino giallo Luis Alberto, uno che, da abitudine, trascorre almeno metà partita perdendosi in inutili e isteriche lamentele. Dal dischetto tocca ancora a Bonucci. Il centrale tira forte alla sinistra di Reina che vola dall’altra parte. Per la Juventus è il gol che mette al sicuro i tre punti. Bonucci esulta insieme ai compagni sotto la zona dello stadio Olimpico invasa dai sostenitori bianconeri.
Incassato il raddoppio la Lazio praticamente si arrende. Le energie residue rimaste nel serbatoio biancoceleste, insufficienti per scalfire la corazza con cui la Juventus si è presentata all’Olimpico, vengono spese da giocatori e panchina per protestare. Milinkovic stende McKennie colpendolo al collo con il braccio largo e si lamenta. Cataldi è uno dei più nervosi. Sarri, che dal canto suo non fa nulla per tranquillizzare la squadra, è costretto a sostituirlo per evitargli guai disciplinari. I minuti finali vedono due occasioni per Kean che in contropiede impegna Reina, bravo a contenere in entrambe le circostanze le conclusioni dell’attaccante.
La Juventus conduce la partita fino al minuto 96' senza concedere alcuna occasione alla Lazio per riaprire l’incontro. Un coro sarcastico da parte dei tifosi juventini all’indirizzo di Sarri accompagna le due squadre fino al triplice fischio di Di Bello che sancisce la conclusione della sfida. La Juventus esce dall’Olimpico con tre punti fondamentali per rilanciare la rincorsa al quarto posto. Una vittoria ottenuta contro una diretta concorrente, su un campo sempre complicato dove in questa stagione erano già cadute Roma e Inter. I bianconeri scavalcano un ostacolo scomodo, in una situazione resa ancora più complicata dai numerosi infortuni, e lo fanno in maniera autorevole.
Il calendario ora mette di fronte alla squadra di Allegri una sfida affascinante contro il Chelsea, partita dalla quale la Juventus avrà verosimilmente una risposta su quelle che potranno essere le ambizioni bianconere nella massima competizione europea, e subito dopo la visita a Torino dell’Atalanta, un’altra partita fondamentale, contro una diretta concorrente, da vincere assolutamente per continuare a recuperare il terreno perduto.