Dopo otto anni di dominio incontrastato in Italia e di ottime prestazioni in Europa, soprattutto negli ultimi cinque anni, la Juventus ha avvertito il bisogno di cambiare la guida tecnica della squadra, nonostante i successi conseguiti. Lo scopo era quello di andare alla ricerca di un tecnico, che potesse garantire un salto di qualità sotto il profilo del gioco, tenuto anche conto che, soprattutto nella stagione calcistica appena trascorsa, le prestazioni avevano lasciato l’amaro in bocca, nonostante, come citato, il raggiungimento di parte degli obiettivi stagionali.

Evidentemente, il socio di riferimento e di conseguenza la dirigenza bianconera – tenuto anche conto dell’eliminazione subita dall’Ajax in Champions e dell’epilogo stesso della Coppa dei Campioni, vinta dal Liverpool contro il Totthenam, dopo una favolosa rimonta in semifinale con il Barcellona – ha deciso di virare verso la ricerca di un gioco spettacolare d’attacco, più in linea con gli attuali dettami europei, soprattutto anglosassoni.

E’ maturata quindi la scelta – non sappiamo se mirata sin dall’inizio od obbligata, per una serie di rifiuti opposti dalle prime, prestigiose, opzioni – di affidarsi a Maurizio Sarri, in quanto il tecnico di origini partenopee si era distinto (soprattutto a Napoli) per un calcio caratterizzato da gioco d’attacco, fraseggi veloci, aggressività, difesa altissima. Si tratta di un calcio in qualche modo caratterizzato da elementi di novità e, quindi, addirittura ribattezzato con il termine nostrano “sarrismo” o, in modo più internazionale “sarri- ball”, come immediatamente rielaborato durante l’esperienza inglese al Chelsea del tecnico nato a Napoli.

Esaurita la doverosa premessa, invito tutti i lettori di fede juventina ad incrociare le dita, perché, in questa sede, vorrei ricordare prologo ed epilogo di quando la Juventus decise di compiere la medesima scelta epocale, perché l’analogia tra le due esperienze appare, per certi versi, inquietante, se non addirittura imbarazzante.

Se torniamo con la mente a circa 30 anni fa - e precisamente alla stagione 1990/91 – ci corre un brivido lungo la schiena. In quella stagione, si accomodò infatti in panchina il tecnico più improbabile della storia recente del calcio bianconero, l’indimenticato ed indimenticabile Gigi Maifredi.

Il tecnico di Lograto subentrò alla leggenda bianconera Dino Zoff (e già questa sostituzione avrebbe dovuto essere considerata sintomo di funesto presagio). Zoff era appena reduce, tra l’altro, dalla conquista della Coppa Uefa e della Coppa Italia, nonostante una rosa da far accapponare la pelle tanto era scarsa. Ma Luca Cordero di Montezemolo, all’epoca vicepresidente della Juventus, voleva dare una svolta al gioco bianconero e quindi scelse Maifredi, ideatore del c.d. “calcio champagne”. Evidentemente Montezemolo, direttore generale del Comitato Organizzatore dei Mondiali delle “Notti magiche”, voleva diabolicamente perseverare negli errori appena compiuti (non riflettendo affatto sull’aforisma “herrare humanum est, perseverare autem diabolicum” ), con l’epica costruzione di stadi, come il Delle Alpi di Torino, autentiche cattedrali nel deserto. Lo stadio, dove ora sorge l’Allianz Stadium, fu innalzato per i Mondiali di Calcio ma con la pista di atletica. In circa 20 anni di vita, l’unico meeting di rilievo di atletica leggera, che si svolse a Torino riguardò la finale dei 100 metri dei pensionati dei dopo lavori ferroviari del Nord Ovest, davanti a una maestosa cornice di pubblico.

Occorre premettere che Maifredi aveva un curriculum di tutto rispetto, prima come calciatore dei club più prestigiosi d’Europa (formatosi alla scuola calcio del Brescia, militò infatti nel Rovereto e nel Portogruaro) e poi come allenatore, tra i più apprezzati del calcio internazionale. Esordì con i dilettanti del Real Brescia, poi al Crotone in Serie C quindi a Lumezzane, dove guidò l'Orceana Calcio, squadra dilettantistica di Orzinuovi, dall'Interregionale alla C2. Nel 1986-87 approda all'Ospitaletto, che traghetta in C1. L’anno seguente approda al Bologna e ottiene la promozione. In due stagioni nella massima serie, raggiunge con la squadra felsinea una salvezza e la qualificazione per la Coppa UEFA.

Era ovvio che un simile percorso, lastricato di successi memorabili, non poteva non portare Gigi Maifredi sulla panchina della squadra più titolata d’Italia! E il buongiorno si vide, come si suole dire, sin dal mattino. Nel primo appuntamento ufficiale, la Supercoppa italiana, la squadra bianconera fu travolta da Maradona e soci per 5-1 al San Paolo di Napoli. In campionato, la Juventus chiuse il girone d'andata a soli due punti di distacco dalla vetta, ma nel girone di ritorno si assiste ad un tracollo verticale, per giungere a fine campionato al settimo posto, centrando lo storico traguardo della mancata qualificazione alle coppe europee, dopo ventotto anni di presenza ininterrotta.

Eppure la campagna acquisti bianconera, per allestire la squadra dei sogni della stagione 1990/91, fu addirittura stellare, con un investimento di oltre 70 miliardi delle vecchie lire, che determinò, tra gli altri, gli acquisti di Roberto Baggio, Eugenio Corini, Paolo Di Canio, Thomas Hassler (neo campione del mondo) e Julio Cesar. Peccato che furono acquisiti anche due pupilli del nuovo tecnico, ovvero i difensori Marco De Marchi e Gianluca Luppi, che contribuirono in modo determinante alla Maginot difensiva bianconera.

Dopo la brillante parentesi bianconera, il tecnico bresciano subì, nelle successive fantastiche esperienze, esoneri continui, in Italia e all’Estero (dal Bologna al Genoa, passando per il Brescia; dall’Esperance in Tunisia all’Albacete in Spagna). Ma il record lo raggiunse sulla panchina del Brescia nel 2013 (serie B), dove ritorna il 25 settembre per sostituire l’esonerato Marco Giampaolo (un altro profeta del calcio). Siede sulla panchina solo il 30 settembre, perché perdendo con il Latina viene immediatamente esonerato per far posto a Bergodi.

Prima di approdare alla Juventus, il calcio praticato da Maifredi, come ricordato sopra, fu definito “calcio champagne, in quanto ritenuto “spumeggiante” perché tutto incentrato sul gioco d’attacco. Dopo l’esperienza bianconera, il calcio di Maifredi mantenne l’etichetta di “calcio champagne” (magari sfiatato) ma solo per effetto del fatto che, prima di iniziare la carriera di allenatore professionista, il tecnico di Trogolo svolgeva il ruolo di agente di commercio della Veuve Clicquot Ponsardin, nota azienda produttrice di champagne.

Insomma, l’esperienza di Maifredi nel mondo del calcio può essere sintetizzata nella frase “braccia rubate alla… viticoltura”.

Purtroppo, le analogie – a livello di prologo - con Maurizio Sarri sono evidenti e in qualche modo... agghiaccianti (aggettivo non nuovo nel vocabolario dei tecnici juventini del passato) se confrontiamo la prima (e fortunatamente unica) stagione di Maifredi (1990-91) con l’odierna prima stagione di Sarri.
In entrambe le circostanze, la scelta societaria di puntare su Sarri è stata sostanzialmente analoga a quella che portò Maifredi sulla panchina bianconera. Anche Sarri, come Maifredi, all’epoca, è fautore di un calcio d’attacco e spettacolare, che non rientra, da sempre, nelle corde della realtà bianconera, dove vincere è l’unica cosa che conta, al di là del gioco espresso.

Il modo di interpretare il calcio da parte di ambedue i tecnici ha generato, nel lessico giornalistico, una denominazione originale per distinguerlo, il “calcio champagne” e il “sarri-ball”.

Anche Sarri, come Maifredi, è andato a sostituire un totem sulla panchina bianconera, perché Allegri come allenatore vincente, al pari di Zoff come calciatore ed allenatore, è da considerare tale e, in entrambi i casi, gli allenatori uscenti avevano appena conquistato due titoli (nel caso di Zoff, Coppa Italia e Coppa Uefa; nel caso di Allegri, Supercoppa Italiana e Campionato).

Nella stagione 1990-1991, l’Inter era allenata da Giovanni Trapattoni, nell’odierna stagione, da Antonio Conte, in entrambi le situazioni si tratta di due icone bianconere.
L’unico auspicio è che, a livello di prologo, la storia non si ripeta...