Noi Allegri non lo vogliamo!”. Era cominciata così, tra i fischi, l’avventura in bianconero di Max Allegri ed è terminata con una conferenza stampa di addio con l'intera Juventus schierata davanti ai giornalisti e segnata dalla commozione.
I singhiozzi e le pause per evitare le lacrime hanno restituito quell’umanità bella del tecnico livornese che forse avevamo dimenticato a furia di vincere titoli.
Non ha alzato la coppa dalle grandi orecchie, ma neanche Guardiola in 8 anni, dopo l’avventura al Barça, ci è ancora riuscito. La dimostrazione che il calcio non è una scienza esatta. Vincere non è mai facile e non bisogna dare per scontato che oramai il campionato è solamente una formalità. Difendere certi colori è molto impegnativo e lo sarà ancor di più con questa pesante eredità: 11 trofei in 5 anni, 5 Scudetti, 4 Coppa Italia, 2 Supercoppa Italiana.
La pressione e le aspettative per il successore saranno molto elevate. Allegri ed Agnelli erano entrambi emozionati, ma consapevoli che questa era l’unica strada percorribile per il bene della società, per fare un ulteriore step in avanti e perché no… sognare anche questa benedetta Champions.
Passano gli allenatori, i giocatori, i dirigenti, i presidenti: la Juventus resta.

Alla conferenza stampa c’erano tutti, tranne Pavel Nedved, assente per impegni personali. I più informati dicono che sia stato lui a voler a tutti i costi il cambio in panchina.
A molti – soprattutto tra i piani alti dirigenziali – la sconfitta contro l’Ajax non è piaciuta, ed è piaciuta ancora meno la mancanza di autocritica in Allegri. Vedere il Tottenham, battuto nella scorsa stagione, in finale a Madrid è un grande rimpianto. Per quello che poteva – e forse doveva essere – e non è stato. Allegri ha fatto un ottimo lavoro in Italia, ma in Europa gli è sempre mancato quel qualcosa in più che fa la differenza. E poi c’è da considerare che la sconfitta contro l'Ajax è costata alla Juventus un centinaio di milioni di mancati introiti.
Per il livornese perdere con l’Ajax era una cosa che ci poteva stare e non ha neanche mandato giù le maree di critiche che gli “opinionisti” – o sarebbe meglio dire i cecchini appostati – gli hanno sparato contro per quella che ai loro occhi era un fallimento. Fu Andrea Agnelli in ritiro a stabilire gli obiettivi stagionali: al primo posto la Champions. Aver fallito per l’ennesima volta questo traguardo, per di più uscire ai quarti contro una squadra olandese, è una disfatta. E dato che il motto della Juve è “vincere è l’unica cosa che conta” ciò non è tollerabile.
Il cambio era necessario.

L’unica cosa che mi sorprende, forse, è stato che l’ufficialità della separazione sia arrivata quando mancano ancora due giornate alla fine del campionato. Certo, la Juventus non ha più nulla da giocarsi e ha già, da tempo, la testa alla prossima stagione, però sarebbe stato più opportuno rinviare l'annuncio dopo il 26 maggio.
Però le chiacchiere erano tante, gli pseudo tifosi da settimane sfogavano le proprie frustrazioni sul web con l’hashtag #AllegriOut, quindi meglio chiuderla subito.
Agnelli è proiettato al futuro, vuole innovare. Prima lo stadio, poi ha rivoluzionato il logo, poi la maglia totalmente stravolta rispetto la tradizionale solamente per essere più appetibile su mercati poco affascinati dalle classiche strisce, ed ora l’allenatore. Il presidente ha capito che non si può solamente vincere, bisogna anche saper dare un gioco migliore alla squadra affinché anche altri potenziali tifosi (visti come consumatori) possano esseri attratti dalla Vecchia Signora.

Ciò potrebbe comportare dei rischi, snaturare se stessi può essere pericoloso. L'ultima volta che è accaduto – mi riferisco al calcio champagne di Gigi Maifredi – la Juventus rischiò la retrocessione.
Non si arriverà a tanto, ma penso che l’Inter avrà Antonio Conte l’anno prossimo in panchina, non l’ultimo dei pivelli, bensì colui il quale riportò in alto una squadra reduce da due settimi posti consecutivi. Inoltre i nerazzuri sono fuori dal Settlement Agreement e quindi in teoria (vederemo se sarà così in pratica, ma ne dubito) potrebbero fare ingenti investimenti per tentare di vincere. In passato – leggi Massimo Moratti – non ha funzionato, ma adesso al comando della barca c’è un vecchio filibustiere di nome Beppe Marotta. Un altro pezzo di Juve che è andato all’Inter non certo per vedere gli altri vincere...

Quindi scaramanzie a parte, servirà individuare l'allenatore giusto. I nomi sono tantissimi e questo mi lascia un po’ perplesso. Infatti sembrerebbe, ed ho la sensazione che sia così, che questo cambio non sia stato programmato per tempo.
Al momento la stampa da per favorito Simone Inzaghi. Ma sarebbe un allenatore da formare e non pronto per la Champions, anche se poi in fine dei conti l’ha vinta anche un outsider come Di Matteo. Ho sentito anche i nomi di Mihajlovic, spero che sia una boutade; Didier Deschamps, un’incognita dopo essersi abituato ai ritmi di una nazionale; Conte, che riprenderei solamente per levarlo all’Inter dato che, come detto in precedenza, con lui al timone potrebbe essere pericolosa; Sarri, che a mio avviso è sicuro che lasci il Chelsea dopo la finale di Europa League, qualunque sia l’esito, per i contrasti sempre più aspri con la proprietà, è forse il nome più intrigante ma dopo essere stato il vessillo dell’antijuventinità non credo sia adeguato. Poi veniamo ai nomi pesanti. Klopp, dubito possa lasciare il Liverpool, sinceramente non mi piace. Il tedesco è arrivato a questi livelli solo dopo facendosi comprare i migliori giocatori in ogni ruolo, questo non credo sia possibile alla Juventus. Uno dei motivi per cui Allegri è stato allontanato è proprio quello della rivoluzione della rosa che voleva fare: cedere 5-6 giocatori per comprarne altrettanti. Non una cosa facile soprattutto se si parla di calciatori di altissimi livello. Guardiola nelle mie gerarchie sarebbe il numero uno, però è difficile che lasci il City. Anche se spero che l’Uefa ci dia una mano e poi anche Ronaldo era impossibile che vestisse i colori bianconeri. Non c’è nulla di impossibile nel calcio. Pochettino forse è quello che arriverà alla fine, perché a mio avviso Simone Inzaghi sarebbe solamente una seconda scelta. Se vuoi cambiare per vincere quella coppa… devi prendere un allenatore straniero, è l’unica via percorribile secondo me.
Parole forti quelle di Zidane, il vero pallino di Agnelli, ieri in conferenza: «Io sono l’allenatore e faccio ciò che voglio. Se non sarà così, me ne andrò». Quindi si aggiunge un’altra candidatura eccellente alla panchina della Juventus. L’unica certezza è che chiunque arrivi dovrà prendersi le responsabilità per far vincere la squadra facendo un calcio più coinvolgente per il pubblico.

Infine voglio chiudere sottolineando le differenze tra l’addio di Allegri con quello di Daniele De Rossi.
Da un lato i tifosi tutti dalla parte di Andrea Agnelli, dall’altra le le contestazioni a James Pallotta e la società. Durante la conferenza di Allegri non c’è stato nessun attacco alla società, bensì un divorzio consensuale con toni pacati e commossi.
Di tutt’altro tenore invece le parole polemiche pronunciate dal capitano giallorosso.

Da domani si tornerà a lavorare per vincere, non c’è più il romanticismo di una volta. Oramai il calcio è questo. Con o senza Allegri vincere è l'unica cosa che conta.