Il latino aiuta a comprendere meglio: progetto viene da projectus, che significa gettare avanti. Gettare è un'azione che spinge verso il futuro e non comprende la possibilità di voltarsi indietro. Nostalgia viene invece dal greco nòstos che è un ritorno al paese, un voltarsi indietro. Bisogna decidersi (decidere viene dal latino de-cidere che significa tagliare via), quindi è necessario parlare chiaro e agire secondo la scelta adottata. Klopp, un allenatore che oggi è considerato vincente, arriva sulla panchina del Liverpool nel 2015 e il primo anno si classifica ottavo nella Premier League. Nel secondo campionato alza l'asticella e arriva quarto; solo nel suo quarto anno alla guida degli inglesi vince la  Champions League. Prima di lui, Sir Alex Ferguson, un totem della panchina, giunse a Manchester nel 1986 e vinse la sua prima Premier solo nel 1993. Sono allenatori vincenti dopo fallimenti o comunque stagioni non brillanti. I presidenti hanno deciso di puntare su di loro, di tenere duro, di difendere il loro lavoro e quindi di raccogliere grappoli di vittorie. In Italia questo non succede più. Si affida il progetto (solo a parole) ad un allenatore e alle prime difficoltà si cambia. A questo contribuiscono i tifosi, che nella migliore tradizione becera del tifo, preferiscono crocifiggere i propri beniamini piuttosto che sostenerli. Siamo un popolo di poeti senza poesia, di navigatori senza stella polare, di santi senza aureola.

Quello che sta accadendo alla Juventus è l'immagine chiara di tale deriva. C'è un bellissimo mito che testimonia alla perfezione il risultato di questo comportamento. Orfeo perde Euridice grazie al morso di un serpente. Euridice viene gettata negli inferi. Il pianto di Orfeo commuove gli dei, tanto che permettono al musico di andare a riprendersi l'amata, con l'impegno che non si volti finché i due non saranno entrambi alla luce del sole. Orfeo si mette in gioco, ma appena varca la soglia della luce si volta indietro, quando Euridice è ancora nell'ombra. A causa di quella avventatezza, Orfeo perderà per sempre il suo amore. Ecco il risultato: la sconfitta.

La Juventus ha puntato su una squadra giovane, su un allenatore inesperto, ma alla prima vera difficoltà le fondamenta del progetto cominciano a scricchiolare. Ci si volta indietro, a rimpiangere Allegri e a rimpiangere Sarri, un altro buttato via come il bambino con l'acqua sporca. Ma allora è giusto parlare di progetto? L'Italia non conosce l'attesa, siamo nel tempo del tutto e subito, nel tempo dell'irrisolto, come se bastasse cambiare le pedine per vincere una partita complessa a dama. La Juventus viene da nove anni di vittorie, da una supercoppa vinta nella stagione e da una finale di Coppa Italia ancora da giocare. Ma il progetto vacilla. Mi chiedo come sarebbe andata per Liverpool e Manchester Utd se fossero state squadre italiane.

Così non va bene, così si butta tutto all'aria. In questi momenti uno come Confucio avrebbe detto che “il successo dipende dalla preparazione precedente, e senza una tale preparazione c'è sicuramente il fallimento”. La Juventus dovrebbe pazientare. Si è deciso di puntare sui giovani e su un allenatore "bianconero", perché non continuare su questa strada? Ci sono giovani che sanno giocare a calcio, giocatori a fine ciclo, areee della squadra da migliorare, ma è giusto buttare tutto all'aria? Perché non avere coraggio e continuare su questo rinnovamento? E' possibile tenere in squadra giocatori sulla via del tramonto, sempre infortunati, come se fossero vincolati da un patto eterno? Perché non dispensare coraggio e liberarsi di un giocatore come Ronaldo che capitalizza ma che catalizza tutte le scelte dell'ambiente?
Churchill avrebbe detto che “il successo non è mai definitivo, il fallimento non è mai fatale; è il coraggio di continuare che conta”. E se i tifosi si lamentano, pazienza; Hornby avrebbe detto che “tenere il muso e lamentarsi della società può essere d'aiuto, ma non ti porterà lontano”.
Secondo me vale la pena tentare.