Poco più di un anno fa la Juventus annunciava l'ingaggio di Maurizio Sarri come nuovo allenatore della prima squadra. L'arrivo del tecnico di origini toscane rappresentava nell'immaginario bianconero il punto di rottura con il recente passato, vincente ma poco convincente sotto il profilo del gioco; rottura con il pragmatismo del collega Massimiliano Allegri e dei suoi cinque scudetti, vinti senza incantare i palati calcistici più raffinati; rottura, ben più discutibile, con un concetto di "stile" che troppe volte si è scontrato con i modi e l'attitudine fin troppo genuini dell'allenatore ex Napoli e Chelsea. Un anno, dicevamo, ma sembra trascorso un secolo.

Maurizio Sarri è stato esonerato l'8 agosto, dopo la cocente eliminazione dalla Champions League a favore del Lione, e da quel giorno si è chiuso nel silenzio più assoluto (forse anche per accordi presi con la società bianconera, che continuerà a pagargli lo stipendio per altri due anni, a meno che il tecnico non trovi prima un'altra squadra). La Juventus nel frattempo ha presentato Andrea Pirlo come nuovo allenatore, perché come ha dichiarato il presidente Agnelli: "Dobbiamo ripartire con rinnovato entusiasmo...". Quell'entusiasmo che, evidentemente, era venuto meno sotto la direzione Sarri, come si poteva intuire dalle espressioni di insofferenza di Cristiano Ronaldo, catturate puntualmente dalle telecamere a bordo campo, o dalle interviste televisive dello stesso Sarri, quasi sempre con occhi bassi, pochi sorrisi e un malcelato imbarazzo. Già, perché la sensazione è che il ruolo di allenatore della Juventus sia sempre stato troppo ingombrante per un uomo semplice come Sarri e rimangono non pochi dubbi su quanto le due parti (dirigenza e allenatore) si siano realmente corteggiate e desiderate prima di convolare a giuste nozze. A dispetto delle dichiarazioni di facciata, infatti, sembra evidente che il tecnico toscano non fosse in cima alla lista dei possibili successori di Allegri, ma con Guardiola e Klopp divenuti ben presto sogni irraggiungibili e con un Zidane non ancora pronto a ritornare alla corte di Madama, Sarri restava l'unica scelta logica per voltare pagina nel nome dell'auspicata rivoluzione tattica.

Quello di Sarri in bianconero è stato un percorso con luci ed ombre. Vittorie e sconfitte fanno parte del gioco, ma dove l'allenatore toscano ha perso la sua personale partita è stato nella gestione del gruppo nei momenti chiave della stagione. Troppo incerto nelle dichiarazioni successive alle due finali perse (Supercoppa e Coppa Italia), giustificate con "mancanza di energie fisiche e mentali" e "incapacità di trovare le giuste motivazioni": frasi che certo non sono piaciute alla dirigenza Juve e che hanno incrinato ulteriormente i già fragili equilibri all'interno dello spogliatoio. Per non parlare poi dell'intervista post-Lione e di quella frase: "Se ci fosse una classifica della Champions League saremmo primi" che ha messo a nudo tutte le insicurezze del tecnico e ha certificato la resa incondizionata di un uomo ormai consapevole del suo imminente destino.

"#SarriOut" scrivevano sui social i tifosi, che già a inizio stagione avevano mal digerito gli accantonamenti prematuri (e per certi versi incomprensibili) di gente come Mario Mandzukic, un vero beniamino del popolo bianconero, ed Emre Can, il centrocampista più duttile presente in rosa, e la decisione di Andrea Agnelli non si è fatta attendere. A meno di ventiquattr'ore dall'uscita dal massimo torneo Europeo per club, l'esonero del buon Maurizio diventava ufficiale e con un sintetico comunicato stampa, veniva cancellata in un sol colpo l'era del Sarrismo e tutto ciò che ha rappresentato. E c'è da scommettere che dei nove scudetti consecutivi, quest'ultimo sarà quello che solo in pochi ricorderanno: perché è passato solo un anno, ma dell'ex allenatore con il filtro della sigaretta sempre tra le labbra, nessuno sembra avere più memoria.