A pranzo ho mangiato la lasagna e giustamente, per controbilanciare l'effetto iperglicemico e il conseguente rischio pennichella, ho messo su una combo di red bull e caffè per garantirmi la veglia e guardare col giusto piglio Atalanta - Juventus. Risultato? Non è servito a nulla e per circa 80 minuti ho profondamente sonnecchiato, salvo poi risvegliarmi nel finale grazie a quel punturone a tradimento di Malinovsky. Ma andiamo con ordine e ridestiamo la penna dal torpore bianconero, anche perché dopo questo gran finale più che sonnolenza provo sintomi ben più "rigettanti", e di certo non è colpa della mia fantastica lasagna.

Primo tempo, che noia che barba, che barba che noia. Piove nel regno di Zingonia, Pirlo indossa un grazioso cappellino per schermare la sua fulgida chioma lavata con Pantene; Gasp entra il campo con lo sguardo languido e malinconico, forse rimembra i bei tempi in cui svezzava Pericard e Zeytulaev per il gran ducato sabaudo. Rabiot ha ancora i capelli legati, aspettiamo il secondo tempo per vedere il suo selvaggio alter-ego. Ronaldo da casa si instagramma con un post intitolato: "free your mind", manco avesse patito chissà quale sindrome da "burnout" sul lavoro; però lo capisco e mi auguro che stia recuperando in una delle sue vasche criogeniche. Dybala, già c'è lui dal primo, "all eyes on him", tutti ci aspettiamo una sua pennellata: le condizioni sono a suo favore, quel bullo di Cristiano non c'è, Pirlo ti mette anche il galoppino McKennie a disposizione sul tuo lato e se hai qualche problema ci pensa poi Cuadrado a toglierti le castagne dal fuoco. Dai Paolino, fai una magia alla Ortega, lascia cantare il tuo sinistro liftato; macché, rincula come al solito a centrocampo, fa sembrare stupido McKennie e costringe Cuadrado a diventare l'unica fonte di gioco lucida e sensata della squadra. Unica nota positiva, il taglio sfumato col ciuffo impomatato, si vede che hanno riaperto i parrucchieri.
Passiamo alla retroguardia: mamma che ordine, che solidità, quanta granitica compattazione difensiva. E che De Ligt, francobolla quel ciclope di Zapata e chiude ogni pertugio, tanto che Muriel si intimidisce e sta alla larga dalle sue robotiche gambe bioleofilizzzte. E niente, si tira avanti come se fosse una partita a scacchi, massima attenzione e zero divertimento, nel frattempo il mio picco glicemico sale. Ogni tanto però ci pensa l'allegra banda del Gasp, che con Pessina e Zapata provocano qualche piccolo sobbalzo, ma nulla di che. Cuadrado è in modalità "Jesus dal film il grande Lebowski", salta sempre l'uomo ed è l'unico che mi fa venir voglia di non fare zapping e andare a finire sulla Rai. Brancola nel buio il colombiano, fossi in lui mi fingerei infortunato e tornerei a casa a giocare alla play, non lo capisce nessuno. Menzione speciale per Alex Sandro: ha capito che per non fare troppi danni la deve sempre spazzare, con tanti saluti al palleggino metafilosoficomdi Pirlo e alla costruzione dal basso. Ad ogni modo si passa alla ripresa, sperando in un qualcosa di più movimentato.

Secondo tempo, purga nel finale. Ripresa scandita dai capelli slegati di Adrien il bello. Chiesa a sinistra si sente offeso e porta giustamente il broncio: per tutto il primo tempo viene incredibilmente ignorato, solo perché la palla deve girare a destra per far giocare il rientrante Dybala. Federico immagazzina veleno e rabbia repressa e prova a sprintare come solo lui sa fare, ma avendo assistito per 50 minuti abbondanti ad una partita di cricket, al primo boost si strappa e tante grazie a chi lo ha fatto raffreddare inutilmente nel primo tempo. Esce Fede e entra mister stakanov Danilo, finalmente uno che col pallone ci ragiona. Paolo pensa a tirarsi il ciuffo all'indietro, ogni tanto si esibisce in qualche mancinata da Instagrammare, ma per il resto non vale manco lo stipendio di un lustrascarpe; l'atalantino Palomimo prende le impronte e i connotati a Morata, che stasera e per tutta la settimana avrà gli incubi, oggi l'ariete è stato utile quanto uno sgabello messo al posto del portiere. Gasperini sente di poterla accendere e butta dentro i jolly Pasalic e Malinovsky; Pirlo, assorto in chissà quale meandro cerebrale, attiva il logaritmo del cambio e butta dentro Kulusevski al posto di Paolino, che anche oggi ha "meritatamente" guadagnato la pagnotta, si certo... Si completa l'opera dei cambi con il festaiolo Arthur al posto del compagno di merende McKennie, oggi in formato cowboy con pistola caricata a salve. Il brasileiro perde la prima palla, poi perde la seconda e poi si nasconde: forse ha ancora dentro il trauma della strega di Benevento. Ad ogni modo Zapata fa uno squillo di quelli che ti fanno saltare dal tavolo e Szczesny, che nel frattempo guardava sui siti degli allibratori consigliati da Buffon a quanto erano quotate la sua cessione e l'arrivo di Donnarumma, si sveglia e realizza che per poco non si era avverato il disastro. Ma tanto è questione di poco, perché Malinovsky prima preannuncia la catastrofe come un indovino, tirando una punizione al fulmicotone con tanto di fantozziana caduta rinculante, e poi tira fuori nell'azione successiva un tiro "alla viva il parroco" che sbatte sull'incolpevole Sandro e purga la Juventus a 6 minuti dal termine. Il resto è uno sterile e invano tentativo di riacciuffarla, col povero Cuadrado che gioca da solo, mentre Pirlo dalla panchina non riesce nemmeno a realizzare luogo, tempo e spazio del suo essere.

Ma in Europa League l'inno si canta o no? Domanda legittima a questo punto, con una Juve che viene sorpassata in classifica proprio dai bergamaschi e subisce indirettamente anche la vittoria in contemporanea della Lazio. Col Milan ormai in fuga a 66 punti e Roma e Napoli ancora da interrogare, per la Juve la Champions diventa un po' come la Leotta per il carrozziere di Grassobbio Ernesto Fumagalli. Forse sarebbe opportuno cominciare a studiarsi l'inno dell'Europa League, mentre Cristiano da casa comincia a tartassare il cellulare di papà Mendes...

Salvatore Zarrillo