TORINO “Su, su. Saliamo”.
Durante il match contro la Lazio e nel primo tempo soprattutto, Cristiano Ronaldo è stato più volte inquadrato mentre “consigliava” alla squadra di salire. Di alzare il baricentro. Di provare, in sostanza, a fare la partita. Tentativo vano perché nei primi 45 minuti e non solo, la Juventus ha sbagliato tutto lo sbagliabile e anche di più.

Ci ha messo del suo Allegri, come ha sottolineato con lucidità lo stesso allenatore bianconero nel post gara. Ci ha messo del suo proponendo Emre Can direttore di un’orchestra che non riusciva mai a seguire, anzi addirittura a suonare, lo spartito richiesto. Ci ha messo anche del suo, però, rovesciando con i cambi - Bernardeschi per Matuidi e Cancelo per Douglas Costa - una sfida che la Lazio ha dominato e che la Juve alla fine ha vinto in rimonta.
Vinto. Vincere. Vittoria, dunque. Un particolare fondamentale nello sport ma che dalle parti della Continassa si dice sia l’unica cosa che conti davvero.
Attenzione, però. Non sempre vincere aiuta a vincere, soprattutto se l’obiettivo dichiarato dei bianconeri è quello di (provare) a sollevare al cielo di Madrid la Champions League 2019. 

Historia magistra vitae, dicevano i latini. Ecco allora che la storia potrebbe aiutare.
Al netto di alcuni successi ottenuti da squadre poco propense al gioco offensivo (Inter in parte nel 2010, Chelsea nel 2012), la “coppa dalle grandi orecchie” viene solitamente sollevata da chi osa. Da chi fa pesare le proprie differenze. Da chi tiene l’avversario nella propria metà campo. Da chi sa unire la praticità al piacere di offrire un calcio divertente. Non è un caso che negli ultimi 10 anni, la Champions League sia sempre stato un affare esclusivo o quasi del Barcellona e, soprattutto, del Real Madrid. Certo, avere avuto Messi e Cristiano Ronaldo ha aiutato ma al netto di rose estremamente qualitative, c’era anche la volontà di fare emergere il lato più tecnico dei vari interpreti e la ricerca di un calcio fatto di equilibrio ma allo stesso tempo propositivo. 

Qualità che la Juventus 2018/2019 sta faticando a far emergere con costanza soprattutto negli ultimi due mesi. Durante il ciclo di ferro di dicembre-gennaio, Chiellini e compagni hanno fatto sfoggio delle principali doti della casa: praticità e concretezza. E così, sulla ruota bianconera sono usciti tanti 1-0 (con l’Inter, con il Torino, con la Roma e con il Milan in Supercoppa), uniti ad alcune vittorie di misura (contro Sampdoria e Lazio ieri sera) utili, fondamentali per allungare sul Napoli in campionato e per portare a casa il primo trofeo stagionale ma che fanno pensare che, come cantavano i Pooh, si possa comunque dare e fare di più. 

L’idiosincrasia nel chiudere le partite, nel non sfruttare transizioni o contropiedi scolastici (ricordate quello di Cancelo proprio ieri contro la Lazio?), nel non far pesare davvero la propria superiorità tecnica e di talento sono aspetti con i quali la Juventus dovrà probabilmente convivere in Champions League. A maggior ragione in una sfida contro un avversario per certi aspetti comparabile ai torinesi: l’Atletico Madrid.

Da qui a fine febbraio aiuterebbe ritrovare quanto prima una squadra più coraggiosa, armoniosa, propositiva, continua e bella (perché no?). Una Juve, tra i tanti, con un Dybala più incisivo, con un Pjanic ritrovato, con un Bernardeschi più al centro della scena, con una mentalità forse anche più offensiva. Anche qui Allegri dovrà metterci del suo. Altrimenti se dovesse ripresentarsi con continuità quel “su, su, saliamo” di Ronaldo sarebbe un segnale preoccupante.
Perché vincere non sempre aiuta a vincere.