Dopo la partita di andata degli ottavi di finale di Champions League, Borussia Dortmund/PSG, si sprecano i commenti entusiastici per due calciatori, che militano nella squadra tedesca: Emre Can e Haaland, entrambi autori di una maiuscola prestazione contro i transalpini.

Nell'ambito dei commenti positivi, si distinguono quelli da parte dei tifosi bianconeri nei confronti del granitico tedesco e del giovanissimo norvegese, in quanto trattasi di calciatori, che potranno costituire un grande rimpianto per “tutto quello che poteva essere ma non è stato”, tenuto conto che il primo, sino ad un mese fa, militava nella compagine bianconera e che il secondo sembrava un obiettivo di mercato, assolutamente alla portata, stante il modesto corrispettivo, che sarebbe stato necessario per l’acquisizione e della prossimità al mondo bianconero del suo procuratore, Mino Raiola.

Inoltre, l’attuale situazione, che evidenzia una palese sofferenza del centrocampo e la mancanza di un uomo d’area di peso, acuiscono un senso di insoddisfazione per una gestione delle risorse umane da parte della Juventus quantomeno discutibile, per cui forse varrebbe la pena di approfondire aspetti, che appaiono, inevitabilmente, ipercritici nei confronti della dirigenza, “rea” – per rimanere solo ai due casi citati – di una certa miopia, perché non in grado di valutare con la giusta attenzione profili, che, forse, avrebbero consentito di colmare le correnti lacune.


Il “caso” Haaland

Sulla base di notizie apparse su diversi organi di stampa, sin dalla scorsa estate, il giovanissimo attaccante norvegese del luglio 2000 era da considerarsi un obiettivo già entrato da tempo nel mirino della “Vecchia Signora” (non fosse altro perché tra i calciatori assistiti da Raiola e la Juventus si è consolidato da tempo un reciproco polo di attrazione, che ha avuto la sua consacrazione con l’affare Pogba), ovvero sin da quando il ragazzo militava nella squadra norvegese del Molde (febbraio 2017).
L’affare non si concluse perché il ragazzo - consapevole che a 18 anni ben difficilmente sarebbe rimasto in rosa alla Juventus e, in ogni caso, non sarebbe stato certamente titolare – scelse di approdare (decorrenza gennaio 2019) nella squadra del Salisburgo, in grado di garantire al ragazzo la titolarità e il palcoscenico europeo. All’epoca il ragazzo ammise (fonte bbc.com) quanto segue: «Ho avuto contatti con la Juventus, Pensavo però che fosse troppo presto per andarci. Ho pensato che il Salisburgo fosse, in questo momento, la squadra perfetta per me. Qui ho più possibilità di giocare con continuità».

Come noto, con la squadra del Salisburgo, il norvegese è immediatamente esploso, segnando, con impressionante continuità, anche nel girone di Champions League (otto reti in sei partite giocate). E’ ovvio che le prestazioni offerte da Haaland abbiano, da una parte, attirato le mire dei principali top club europei (in particolare il Manchester United) e, dall’altra, fatto lievitare il valore complessivo del ragazzo, non tanto per il costo del cartellino (esisteva la possibilità di liberarsi a prezzo di “saldo”) quanto per commissioni ad agenti e procuratori e compensi al calciatore.
E così, nel mercato di gennaio, dopo una ridda di voci, che davano quasi per fatto l’ingaggio da parte della Juventus, il giovane attaccante è invece approdato al Borussia Dortmund, con un’operazione complessiva di 125 milioni di Euro (di cui 22 per il costo del cartellino; 8 per commissioni al padre, 15 all’agente Mino Raiola ed un contratto quinquennale da 40 milioni netti, equivalente a quasi 80 lordi). Profonda delusione allora da parte del tifo bianconero e grandi rimpianti oggi, tenuto conto che le prestazioni di Haaland continuano ad essere letteralmente strepitose, in Bundesliga come in Champions.

Se, però, analizzassimo con lucidità la situazione, non potremmo fare a meno di rilevare che l’operazione Haaland non era configurabile, non solo per motivi economici, quanto sotto l’aspetto sportivo e ciò per le seguenti ragioni:

  • Haaland non avrebbe mai accettato di venire a fare la riserva nella Juventus, alla Kean per intenderci né tantomeno di essere “parcheggiato” in qualche club minore, per fare esperienza, in quanto il calciatore, da una parte, voleva giocare con continuità e, dall’altra, sarebbe stato contrario ad esibirsi in un palcoscenico ritenuto dallo stesso non adeguato;
  • è inevitabile che la presenza di Ronaldo (in primis), ma anche di Higuain e Dybala rende insostenibile l’arrivo di una quarta punta di un certo livello. In sostanza, siamo “ingabbiati” da una situazione in cui eroghiamo ingaggi faraonici a calciatori, che non fanno più parte del progetto tecnico (Higuain) o che sono, forse, rientrati nei radar (Dybala) ma, ancora sub judice in relazione a come evolverà la stagione. Per fare un esempio dell’“insostenibilità” in organico di un calciatore come Haaland basta rifarsi al caso di Kean, che aveva chiesto più spazio per giocare con continuità. Ebbene, la sua cessione è stata motivata dal fatto che la sua crescita non era più paradossalmente compatibile con gli equilibri in attacco. Kean voleva giocare e la Juventus non era in grado di garantirlo, per cui cessione inevitabile e scongiurato il rischio di perderlo a parametro zero;
  • dopo l’ingente investimento effettuato per acquisire De Ligt , cui peraltro è seguito un rendimento contraddittorio, non era ipotizzabile una nuova, rilevante, operazione finanziaria per un altro millennial, con il rischio, reale, che alle mirabolanti premesse non seguissero prestazioni all’altezza. Anche in questo caso, basta rifarsi al caso recentissimo di Kean, che era considerato un enfant prodige del nostro calcio (potente, veloce e tecnico) e tutti erano pronti a scommettere su una crescita esponenziale nel brevissimo termine. Nonostante ciò, la Juventus non ha ritenuto di investire sul ragazzo e, alla prova dei fatti, l’esperienza di Kean all’Everton sembra aver dato ragione alla scelta della dirigenza e dimostra quanto possa essere rischioso investire in modo importante su un giovane non ancora “formato”
  • l’acquisizione di Kulusevsky presenta tratti simili (anzi, forse ancora più rischiosi) a quello che sarebbe stato l’ipotetico acquisto di Haaland, con due sostanziali differenze. In primo luogo, l’onere economico complessivo (soprattutto in termini di ingaggio) è nettamente inferiore a quello necessario per Haaland. Inoltre, lo svedese di origini macedoni rappresenta, in prospettiva, un profilo per un reparto, che ha la necessità di essere quasi completamente rivitalizzato (allo stato attuale, a parte Bentancur non vedo altri centrocampisti bianconeri, che resteranno con certezza in bianconero il prossimo anno).

 

Il “caso” Emre Can

Non appena trasferitosi in Bundesliga, il centrocampista tedesco di origini turche, ha sfoderato una serie di prestazioni di assoluto livello, culminate con l’ultima grande partita nell’andata degli ottavi di finale di Champions League.
Ora, se pensiamo all’esperienza bianconera di Emre Can (18 mesi), dobbiamo necessariamente rilevare che il tedesco non ha lasciato un’impronta indelebile nel popolo bianconero. Grande agonismo (anche troppo), corsa e fisicità ma, in quanto a tecnica, Emre Can ha mostrato, nell’esperienza bianconera, limiti evidenti.
Nella scorsa stagione (la prima in bianconero), Emre Can è stato peraltro penalizzato dal problema alla tiroide, che l’ha tenuto fuori dal campo sino alla fine del 2018. Rientrato all’agonismo nell’anno successivo, il tedesco ha disputato un’unica partita, realmente incredibile, contro l’Atletico Madrid a Torino (sostanzialmente svolgendo il duplice ruolo di centrocampista e terzino destro) ma, per il resto, non ha mai particolarmente brillato, facendosi preferire “nonno” Khedira.
In questa stagione, l’esonero di Allegri (prima) e, a seguire, la mazzata dell’esclusione dalla lista Champions hanno fatto comprendere ad Emre Can che l’esperienza in bianconero poteva ritenersi conclusa, per cui le (rare) volte che è stato chiamato in campo, lo stesso ha fornito prestazioni deludenti, prive tra l’altro delle caratteristiche peculiari del calciatore (fisicità ed agonismo).
La cessione era quindi ineludibile (anche perché era l’unico centrocampista cedibile che avesse mercato) ed è del tutto inutile che, ora, si decantino le prestazioni che il calciatore sta offrendo in terra tedesca, in quanto, se dotati di spirito critico, non possiamo non rilevare che trattasi di performance che alla Juventus, salvo l’eccezione contro l’Atletico, non ci sono mai state.
D’altra parte, le motivazioni nel calcio sono fondamentali così come lo spirito di rivalsa. In tal senso, mi piace ricordare l’acquisizione da parte della Juventus del mitico Edgar Davids, letteralmente epurato dal Milan. Alla corte bianconera, l’olandese è stato tassello fondamentale di una squadra di marziani.

In conclusione, ritengo che circostanze oggettive dimostrino che le scelte di non acquistare Haaland e di cedere Emre Can trovino ampie motivazioni se riuscissimo a ragionare in modo oggettivo sugli eventi, anche se, in fatto di rimpianti, la Juventus, già in passato, si era “macchiata” di scelte rivelatesi improvvide.
Mi riferisco a Cristiano Ronaldo che nel 2003 era stato praticamente già preso dal Direttore Generale Moggi per 10 milioni di Euro ma il rifiuto di Salas di trasferirsi in Portogallo fece sfumare l’affare, in quanto la Juventus non poteva procedere (stante crisi Fiat) all’acquisizione con solo cash per un atleta diciottenne che avrebbe potuto rivelarsi una meteora (sic!).

Anche l’acquisizione di Marco Verratti dal Pescara (2012) sfumò per una questione, che si poteva considerare marginale, in quanto l’accordo era stato raggiunto con uno scambio di calciatori ma quelli bianconeri rifiutarono il trasferimento e la Juventus decise di non convertire in denaro la valorizzazione data a quei calciatori, per cui Verratti fu ingaggiato dal PSG, che non fece alcuna obiezione a riconoscere l’integrale corrispettivo in denaro.

Infine, veniamo a quello che, personalmente, considero il vero, grandissimo rimpianto, ovvero il “caso” di Thierry Henry, che approdò ventunenne alla Juventus dal Monaco nel gennaio del 1999 per andarsene ad agosto dell’anno successivo.

Il rimpianto nasce dalla considerazione che due grandi tecnici come Marcello Lippi (prima) e Carlo Ancelotti (dopo) non riuscirono a comprendere il ruolo, ovvero punta centrale e non esterno, di un calciatore dal talento cristallino, celebrato, a buon diritto, come uno dei migliori della sua generazione.

Ma, nella vita come nello sport, arriva sempre il momento in cui sei costretto a scegliere  tra il correre il rischio di pentirtene o convivere con il rimpianto di non averci provato, sempre però con la consapevolezza che vivere di rimpianti ci impedisce di guardare avanti.