Questa volta ne avevo la ferma convinzione: fin dal giorno dell’arrivo di Cristiano Ronaldo ho sempre pensato che quest'anno non ce n’era per nessuno.
C’erano infatti tutte le condizioni: l’acquisto del giocatore più forte del mondo, un campionato vinto ancor prima di cominciare, lo strapotere mostrato in patria, pur con assenze costanti. Vedi Douglas Costa, Cuadrado, i frequenti stop di Khedira e quelli che nel corso della stagione hanno colpito Pjanic, Can, Dybala o Mandzukic.
E poi la rimonta contro l’Atletico Madrid: 90 minuti di puro dominio che hanno spinto la Juventus ad acquisire una maggior consapevolezza dei propri mezzi, semmai ce ne fosse stato ancora bisogno. In giro poi non ne vedevo di più forti: fuori il Real e il PSG (che già non consideravo superiori ai bianconeri), restavano Liverpool, Manchester City e Barcellona. Ma né le due inglesi né i catalani, per quanto forti e favoriti, mi davano quella sensazione di completezza che invece poteva offrire la Juventus. Tecnica, qualità, solidità e fisicità, un mix perfetto per chi vuole puntare al trono d’Europa e che spesso è mancato a quelle che fino a ieri erano le principali rivali dei bianconeri.

E poi alzi la mano chi avrebbe scommesso un solo euro sull’arrivo in semifinale dell’Ajax.
Gli olandesi a questo giro meritano la coppa.
Basterebbe già solo il fatto di aver eliminato Real Madrid e Juventus, ma se ciò non dovesse essere sufficiente, c’è un gioco che ti fa innamorare di questi ragazzi.

Non siamo abituati, soprattutto noi italiani, a squadre capaci di coniugare il bel gioco ai risultati. Vogliamo vincere, punto. Non importa come, non importa se attraverso 90 minuti di noia, frutto a volte anche di un tatticismo esasperato volto ad annullarsi a vicenda. Conta solo il risultato, perché tra il bel gioco e la vittoria scegliamo quest’ultima e per alcuni la pratica del primo può non portare alla seconda. E uno dei maggiori fautori di questo pensiero è proprio quel Max Allegri il cui motto “il bel gioco non riempie le bacheche” si è dovuto piegare allo spettacolo offerto dai lancieri. Una squadra capace di tutto, di alternare i momenti e le fasi: tutti dietro la linea della palla quando serve o pressing feroce; palleggio con pochi tocchi, verticalizzazioni veloci e scambi rapidi o lancio lungo ad appoggiarsi alla punta; o ancora ripartenza fulminee che portano dritte in porta.

Ci ha provato la Juventus e c’è pure riuscita nei primi 45 minuti di gioco. Una pressione alta e intensa volta a non far giocare gli olandesi e subito tutti all’attacco. Poi il black out, nel secondo tempo si spegne la luce, i bianconeri crollano fisicamente e psicologicamente, restando in balia dei ragazzi di ten Hag. Vallo a capire cosa è successo negli spogliatoi, vallo a capire come spiegare ciò che non ti aspettavi dopo un gran primo tempo.

I processi alla Juventus e ad Allegri sono già cominciati: la Champions era l’obiettivo principale, nonostante il tecnico continuasse a negare di essere tra i principali pretendenti. Del resto non prendi Cristiano Ronaldo per puntare al minimo sindacabile. È come comprare una Ferrari per andare a fare la spesa fuori casa. E, mentre a Torino CR7 abdica dal trono di Re d’Europa (viene da 3 Champions vinte consecutivamente con il Real Madrid), in quel di Barcellona un certo Lionel Messi decide di fare il bello e il cattivo tempo nel match contro il Manchester United. Doppietta e semifinali: che sia un indizio? L’eterno duello continua a distanza.