Lo scrittore irlandese Jonathan Swift affermava: Le critiche sono la tassa che un uomo paga al pubblico per essere famoso”. Quando si è sulla cresta dell’onda non può che accadere quanto sostenuto dall’autore rinascimentale. E’ una questione matematica e facilmente comprensibile. La ribalta dei riflettori espone una situazione al grande pubblico e a giudizi di ogni sorta. Se si entra in determinati ambienti, occorre avere ben saldo questo principio. Solitamente si sostiene che la valutazione debba essere ascoltata allo scopo di migliorarsi. E’ assolutamente giusto, ma occorre operare importanti distinzioni. In età scolare, l’alunno ha il compito di considerare i consigli del professore o dei compagni di classe quando questi sono onesti con Lui. Il pensiero del genitore, del parente stretto, dell’amico fidato sono costruttivi. Il sentimento del datore di lavoro e del Collega hanno uno scopo positivo. Quando, però, la questione si allarga a ogni individuo che è interessato al tema, la vicenda si modifica completamente. Come si potrebbero udire tutte le voci derivanti dall’esterno senza cadere in contraddizione? E’ impossibile che, in una miriade di pareri, ognuno di essi remi nella medesima direzione. E’ necessario, quindi, “tapparsi le orecchie” e proseguire per la strada tracciata insieme ai fedeli consulenti. Nella molteplicità, poi, si trovano individui che contestano a prescindere. Pur avendo svolto un’opera magnifica, vi è chi la discute. E’ normale che sia così. Non bisogna arrabbiarsi o pensare alla falsità altrui. E’ una questione di ideali e di libertà morali. Anzi, fortunatamente non esiste un pensiero massificato che renderebbe grave pericolo alla democrazia. Tali sono i motivi per cui certe categorie di professionisti sono obbligate a ad andare avanti diritte senza badare troppo all’esterno. Non è supponenza, testardaggine o eccessiva sicurezza nei propri mezzi, ma si tratta semplicemente di una questione di sopravvivenza. Si presume che, assumendo una determinata posizione, si abbiano particolari meriti, quindi, capacità e le decisioni non vengano prese in solitario. E’ assolutamente salvifico, allo stesso tempo, che vi sia la possibilità di critica e di confronto tenendo sempre ben presente l’importanza dell’opinione altrui. Credo che sia lo scopo principale dei media. I mezzi di comunicazione hanno la fondamentale mansione di proporre “tutto e il contrario di tutto” onde evitare che si crei un’unica e sola ideologia provocante realtà nefaste come le dittature. “Fidarsi è bene e non fidarsi è meglio”. E’ chiaro che esistono situazioni in cui chi detiene un determinato potere ne abusa sfruttandolo per secondi fini e distruggendo la creatura che è chiamato a dirigere. E’ altrettanto vero che non sempre ci si avvale di persone competenti nei posti di comando e, se queste sono egoiste o troppo orgogliose, non comprendono la loro incapacità nel settore decretando la rovina di ciò che gestiscono.

Non credo proprio che gli ultimi casi rappresentino i più recenti 10 anni di Juventus. Da quando la Vecchia Signora è tornata nelle mani della Famiglia Agnelli, gli errori sono stati ridotti al minimo. Anzi, quasi annullati. I bianconeri hanno conquistato 9 Scudetti, 4 Coppa Italia e 4 Supercoppe Italiane centrando in 2 occasioni pure la finale di Champions. Qualcuno si chiederà perché rimarchi sempre il traguardo europeo che non rappresenta un successo. L’ultimo atto della massima competizione continentale per club è una sfida secca. In 90 minuti o poco più ci si gioca il trofeo. Qualsiasi componente esterna può segnare la differenza tra il successo e la sconfitta. Un errore arbitrale, un rigore fallito, un infortunio pesante o una squalifica… Credo che, in una simile competizione, l’importante sia il percorso. Quando questo è positivo, la società non ha nulla da rimproverarsi. E’ chiaro che, nel momento in cui si è eliminati dall’Europa League in un raggruppamento con Manchester City, Salisburgo e Lech Poznan, si devono operare discorsi diversi. Era il 2010-2011 e l’attuale Presidente sabaudo era appena risbarcato sul pianeta juventino. Considerato che inglesi e austriaci somigliavano a cantieri in fase di costruzione, lontani anni luce dalle attuali realtà, il risultato fu davvero deludente. Lo stesso si può dire del 2013-2014 quando, nonostante gli arrivi di cavalli di razza come Tevez e Llorente, i piemontesi giunsero terzi in un girone di Coppa con Real Madrid, Galatasaray e Copenaghen. I Galacticos erano devastanti e salirono sul tetto d’Europa, ma le altre rivali rappresentavano sicuramente avversarie alla portata dei bianconeri. A condannare gli uomini di Conte non fu soltanto la scriteriata ultima gara disputata su 2 giorni nella neve di Istanbul. Il reale problema fu determinato dal doppio pareggio delle prime giornate contro danesi e turchi. Quei risultati, sommati all’accettabile sconfitta esterna con i Blancos e al 2-2 dello Stadium, costrinsero la Vecchia Signora alla discesa nella seconda competizione europea per club dove fu estromessa dal Benfica nelle semifinali. L’ultimo atto si disputò proprio a Torino e ciò rappresentò un ulteriore colpo all’orgoglio sabaudo. Non giudico, invece, l’eliminazione operata recentemente dalla fredda mano del Lione sia per la particolarità di una stagione follemente triste, sia per il valore dimostrato più tardi dagli uomini di Garcia. E’ chiaro, comunque, che simili situazioni non sono paragonabili a una Champions persa a Berlino e combattuta sino all’ultimo istante di gara contro il Barca di Suarez, Messi e Neymar. Questo risultato giunse dopo aver sconfitto armate come il Borussia Dortmund e il Real Madrid campione in carica. Nel 2016-2017, la Juve raggiunse Cardiff con prove superlative come quella interna contro i blaugrana o l’impresa nella bolgia del “Sanchez Pizjuan” con il Siviglia. Ricordo con particolare ammirazione anche la semifinale di andata quando Higuain fece impazzire il Monaco. Quei percorsi, pur se terminati nel peggior modo possibile, non saranno mai cancellati dalla mente dei tifosi bianconeri. A volte conta più il cammino del traguardo e l’emozione di quei triplete sfiorati resterà sempre come un sussulto nel cuore del tifo sabaudo.

Queste imprese non tengono nemmeno conto delle grandi sfide disputate dai bianconeri nelle competizioni italiche che hanno esaltato magnificamente i supporter. Basti pensare alle varie vittorie a San Siro contro le milanesi, al “San Paolo” e nei derby con il Toro. Si sono imposti in stadi storicamente ostili come il “Tardini” o il “Franchi”. In Piemonte sono sbarcati campioni come Pirlo, Vidal, Pogba, Tevez, Llorente e Morata. Più recentemente sono arrivati, tra gli altri, Dybala, Khedira, Higuain, Pjanic, Ronaldo e de Ligt. Tanta roba. Marotta, poi partito per altri lidi, Paratici e i vari collaboratori hanno svolto un lavoro assolutamente egregio, ma sono contornati da critiche e la fiducia non è mai stata quella meritata. Nel 2011-2012, Agnelli scelse Conte come nuovo condottiero juventino. Quell’opzione fu considerata da molti un azzardo così come l’ingaggio di Pirlo, in uscita dal Milan e ritenuto ormai “bollito”. Dopo l’addio del salentino, le contestazioni subissarono la dirigenza per la decisione di affidare il gruppo a Max Allegri. Nacquero, così, sgradevoli soprannomi appioppati a chi gradiva un ritorno del precedente allenatore. Queste persone venivano indicate come “vedove di Conte”. Al termine di ogni stagione, spuntava senza indugio la richiesta dell’esonero del toscano. Quando è arrivato, ecco che la soluzione Sarri non era gradita così si rimpianse il livornese. In sostanza una gran confusione in cui si sono disapprovate le cessioni di Vidal e Pogba. “Pjanic è troppo lento”. “Morata è troppo giovane”. “Ronaldo è un giocatore finito venuto a svernare in Italia. Era meglio prendere Mbappé”. “Agnelli paga i suoi sfizi con il denaro della Fiat”. Devo dire che le ho sentite proprio tutte. La Juve, però, ha sempre vinto. Ha costruito uno stadio di proprietà che rappresenta un autentico gioiello tanto da attrarre l’attenzione di un colosso come Allianz. La Vecchia Signora ha dato vita alla Continassa. Si tratta di un centro sportivo favoloso, a due passi dal nuovo impianto, che contiene campi d’allenamento, un albergo e la sede. E’ stata una delle prime big del calcio italiano ad acquisire il titolo per vantare la rappresentativa nel pallone femminile. La squadra, nata nel 2017, ha già posto in bacheca 3 Scudetti, una Coppa Italia e una Supercoppa Italiana. Scusate se è poco…

Ancora, però, manca la fiducia del popolo juventino nella “sua” società. E’ particolare, ma è giusto così. E’ sintomo di grande riflessività, di ambizione e di libertà nel pensiero. Nemmeno la conquista della Champions potrebbe convincere i più “scettici”. Utilizzo questo vocabolo in senso esclusivamente positivo. Una delle critiche principali mosse ultimamente a Paratici e colleghi è stata l’assenza di razionalità nelle scelte di calciomercato. E’ come se la Vecchia Signora fosse talmente consapevole della propria forza da avere la possibilità di attendere le occasioni e sfruttarle al meglio senza seguire un progetto perfettamente disegnato a tavolino. Tanto, anche se le auspicate chance non fossero giunte, la squadra avrebbe comunque vantato un’ossatura fenomenale. In effetti, è stato così. Durante la scorsa estate Dybala e Higuain parevano sul piede di partenza, ma non vollero abbandonare Torino. Per questo, forse, si rinunciò a Lukaku. Poco male. Le alternative già pronte erano fenomenali. Khedira e Matuidi parevano inizialmente i più vicini all’addio, ma partì Emre Can. Pure Mandzukic non sembrava ai saluti, ma abbandonò il gruppo. Oltre alle scelte di Sarri, quest’ultima convinzione potrebbe essere stata pure determinata dai “capricci” del Pipita.

Nell’estate attuale la situazione sembra diversa. La Juve sta svolgendo un mercato che definirei pressoché “scientifico. Un uomo in uscita significa un altro in entrata. Questo nell’ottica di un ringiovanimento del gruppo. Partito il 30enne Pjanic, arriva Arthur che ha 6 anni in meno. Le qualità sono le medesime: visione di gioco e geometrie. Salutate le 33 primavere di Matuidi, vengono accolte le 22 di Mckennei. Texano e francese hanno la stessa “garra” e la medesima proverbiale capacità di recuperare palloni. Accanto a loro è giunto il giovane jolly Kulusevski. Nato nel 2000, può ricoprire il ruolo di attaccante esterno o di mezz’ala. Rispettando tale canovaccio, potrebbe essere prevedibile la partenza di Costa che rappresenta l’alter ego “più anziano” dello svedese. Da non dimenticare che il ruolo di ala destra può essere occupato pure da Cuadrado o Bernardeschi. Higuain è stato escluso dal progetto. Ora serve l’attaccante centrale e si parla di 2 alternative che sbarcherebbero contemporaneamente. Una sarebbe caratterizzata dalla maturità dell’esperienza anche internazionale, l’altra dal fervore della giovinezza. Per il primo ruolo, si assiste a un dualismo tra Suarez e Dzeko con l’uruguayano che, nelle ultime ore, pare avere preso un discreto vantaggio. Entrambe le alternative sono assolutamente valide. La seconda scelta potrebbe avere il nome di Moise Kean. Sarebbe perfetto. Il Figliol Prodigo tornerebbe a casa. Il giovane rampollo imparerebbe l’arte alle spalle della “vecchia volpe”. Magnifico. Matematico. Questi sono soltanto esempi ma, se si osserva la rosa bianconera, si nota una totale ricerca di simmetria. Basti pensare ai terzini destri: Cuadrado e Danilo. A sinistra, invece, spuntano i nomi di Alex Sandro e Pellegrini. De Sciglio resta un tuttofare da poter utilizzare su ambo i lati. Nel reparto centrale, ecco le 4 alternative: Chiellini, Bonucci, de Ligt e Demiral. Rugani e Romero sono in standby a causa dei vari acciacchi dei titolari. Questi ultimi, però, hanno le valige pronte. In mediana, Arthur e Bentancur rappresentano il cervello pensante. Mckennie è la roccia atta a spezzare le trame avverse coadiuvato dall’intelligenza di Khedira che, però, potrebbe partire. Rabiot e Ramsey sono “i cavalli pazzi”, gli incursori pronti a gettarsi in zona gol. Ronaldo, Costa, Bernardeschi, Dybala e Kulusevski sono la fantasia al potere. Serve il centravanti e il meccanismo parrebbe quasi completo. Il gruppo è guidato da mister Pirlo. Il lombardo ha mostrato idee ben chiare e studiate. E’ una novità, ma conosce perfettamente l’ambiente bianconero e la sua volontà è proprio quella di riportare la “juventinità” che, per alcuni, recentemente era un po’ smarrita. Il ragionamento è forzato perché ogni giocatore è duttile e può interpretare diverse posizioni con compiti differenti. Manca, inoltre, qualche ulteriore movimento che andrà considerato. Esiste, però, l’idea di una composizione di rosa maggiormente simmetrica e studiata a tavolino rispetto a quanto avvenuto negli ultimi anni. E’ quasi un ritorno al passato per una compagine che non ha mai smesso di vincere.