La novità rappresenta sempre una situazione importante. Quando si verifica, la persona vive particolari sentimenti ed emozioni che modificano il suo pensiero e lo stato d’animo. Può essere positiva, negativa o non avere alcuna particolare accezione, ma quando si presenta porta sempre a differenze rispetto al passato.

Tale avvenimento, naturalmente e inconsciamente, è utile ad accrescere il livello di attenzione di un individuo. Le situazioni nuove, infatti, hanno la forza di aumentare lo stato di allerta dell’essere umano. Questo si trova di fronte a un evento che non è abituato a gestire. Allo scopo di svolgere tale attività, ha la necessità di implementare la concentrazione.

La routine è utile al fine dell’apprendimento. La ripetizione di un esercizio agevola il suo svolgimento. Occorre, però, che tale reiterazione non avvenga in un lasso temporale troppo prolungato altrimenti il rischio è quello di una meccanicizzazione del comportamento. A quel punto, il pericolo è di svolgere il proprio compito con una soglia di attenzione così bassa da apparire quasi un’operosità automatica. In questo modo si perdono la cura dei dettagli e tante altre prerogative indispensabile per la buona riuscita della propria attività. Diventa, così, indispensabile aprire le porte a una situazione diversa che torni a stimolare l’individuo costringendolo alla concentrazione. Alla lunga, ogni routine è stancante e rischia di logorare.

Altre volte, invece, la novità è assolutamente determinante per modificare una realtà negativa. Il procrastinare un’attività che non porta risultati soddisfacenti attraverso le medesime forme è chiaramente un esercizio da evitare. Occorre operare il cambiamento per modificare la situazione e cercare strade differenti al fine di agguantare il proprio target.

Tutte queste circostanze sono tipiche della vita quotidiana e anche del mondo del calcio che è componente di essa. La Juventus delle ultime 8 stagioni è un esempio calzante di quanto affermato. La storia degli ultimi anni della panchina bianconera ha un evidente trait d’union. La prima stagione che la squadra affronta con un nuovo tecnico è sempre piacevolmente sorprendente.

Il tifoso bianconero ripercorrerà sicuramente volentieri il racconto del 2011-2012. Quella fu la stagione del risorgimento della Vecchia Signora. Dopo la decadenza di Calciopoli, il rinascimento con Deschamps e i quasi 2 anni di “regno Ranieri”, la squadra fu affidata prima a Ferrara, poi a Zaccheroni. Infine, ecco Delneri. Senza avere particolari colpe, ma questi ultimi 3 tecnici non raggiunsero risultati soddisfacenti. Così, Andrea Agnelli stabilì che a guidare la sua creatura dovesse essere un ex calciatore bianconero che conosceva a menadito l’ambiente sabaudo e il suo famigerato “stile”. Si tratta di Antonio Conte. Sino a quel momento, il pugliese era un allenatore giovane che aveva ottenuto 2 promozioni con Bari e Siena. Il leccese aveva già avuto una breve esperienza in serie A con l’Atalanta. Questa fu tutt’altro che positiva. Era celebre per il suo 4-2-4 dal quale non sembrava potesse prescindere. Insomma, il suo arrivo sotto la Mole rappresentava un’autentica incognita. Già dal ritiro di Bardonecchia, Antonio iniziò a forgiare il carattere dei suoi uomini. Alla sua corte arrivarono, tra gli altri, Pirlo, Vidal, Lichtsteiner, Vucinic e il pupillo Giaccherini presto ribattezzato “Giaccherinho”. Nella calura estiva, Conte spiegò alla sua truppa cosa significasse indossare la maglia della Vecchia Signora e quale avrebbe dovuto essere il sentimento con cui affrontare ogni singolo minuto in cui si aveva l’onore di difenderla. Per uno sciopero indotto dall’AIC, la serie A 2011-2012 iniziò con una giornata di ritardo. Si partì dunque dal secondo turno.
Nel suo nuovo impianto costruito sulle ceneri del Delle Alpi, la Juve ospitò il Parma e fece subito emergere un netto cambiamento rispetto al passato. Lichtsteiner, Pepe, Vidal e Marchisio demolirono gli emiliani che riuscirono a segnare solo nel finale con un rigore di Giovinco. Il prosieguo della prima parte di torneo fu caratterizzato da alcuni pareggi ottenuti all’insegna del bel gioco. Insomma, la Vecchia Signora appariva una magnifica incompiuta. Il 2 ottobre, il Milan dei Campioni d’Italia giunse allo Stadium. Allegri guidava una grande compagine che vantava giocatori del calibro di Nesta, Thiago Silva e Ibrahimovic. Si trattava di un’autentica armata favorita per la riconquista del titolo. Quella sfida, però, pose molti dubbi sulla realtà di tale pronostico. Gli uomini di Conte parevano delle autentiche furie che non lasciarono il minimo scampo ai rossoneri disarmati di fronte al tremendismo avversario. Non si comprende bene in che modo, ma la fortuna lombarda permise all’undici del toscano di rimanere sullo 0-0 quasi sino al termine dell’incontro. Poi, ecco che una doppietta di Marchisio rese giustizia all’andamento del match. Poco più tardi la Juve trionfò anche a San Siro sull’Inter di Ranieri mostrandosi sempre più competitiva. Il 12 dicembre, la Vecchia Signora fece visita alla Roma. Con le unghie e con i denti, i bianconeri riuscirono a pareggiare un match che pareva indirizzato verso la sponda giallorossa del Tevere. Un grave errore di Vidal spalancò la porta al vantaggio di De Rossi. Chiellini replicò di testa. In un finale di grande sofferenza, Buffon parò un rigore a Totti. I bianconeri dimostrarono di essere combattenti disposti a versare ogni singola goccia di sudore per raggiungere il risultato e pure la fortuna non era certamente loro nemica. Si andava così delineando un duello con il Milan che arrivò allo scontro diretto con 4 punti di vantaggio in classifica. Diventa ridondante rimarcare il grave errore di Tagliavento e dei suoi collaboratori che non videro una rete nettamente regolare del rossonero Muntari. Anche se sono trascorsi solo 8 anni, con l’attuale tecnologia, tale fatto non sarebbe certo accaduto. In ogni caso, gli uomini di Allegri disputarono un grande match e si portarono in vantaggio con Nocerino. La Juve, però, riuscì a rimanere in vita e nella ripresa fu lesta ad approfittare del calo degli avversari. Matri pareggiò l’incontro che si chiuse sull’1-1. In quella stagione, una Vecchia Signora bella e assatanata ebbe una caratteristica fondamentale e assolutamente palese: la costanza. Non a caso, i bianconeri non persero mai. Approfittarono così delle sbavature rossonere e nel finale di annata “rubarono loro la merenda” conquistando uno Scudetto incredibilmente inaspettato.

Conte proseguì la sua avventura piemontese con altre 2 stagioni vittoriose. A quel punto comprese che, onde evitare un terribile logorio, era giunto il momento di preparare armi e bagagli salutando la Vecchia Signora. La figura della dirigenza divenne di nuovo fondamentale e a Torino sbarcò Allegri.
Inutile ribadire continuamente la “sommossa popolare” che accompagnò questa scelta rivelatasi poi vincente. E’ interessante piuttosto constatare come, dopo la decisione di portare il pugliese in Piemonte, Agnelli e collaboratori ne presero un’altra ancora più contestata. Anche questa volta, però, ebbero ragione. Conte sbarcò sul pianeta Juve con l’obiettivo della rinascita italiana, il toscano avrebbe dovuto portare al salto di qualità europeo. Il leccese aveva stremato i suoi uomini con un continuo martellamento (nell’accezione positiva del termine).
L’indole del livornese, invece, conduceva a un atteggiamento “più sereno”. Risultato: nel 2014-2015 la Vecchia Signora sfiorò il triplete spaventando in maniera estremamente elevata l’orgoglio dei tifosi interisti detentori di questo fantastico primato italico. La Juve sollevò lo Scudetto e una Coppa Italia che mancava da circa 20 anni. In Champions si fermò solo all’atto finale nella triste notte di Berlino. Il 6 giugno 2015, Messi e compagni vinsero 3-1 spegnendo i sogni di gloria. In ogni caso, lo sviluppo bianconero a livello internazionale resta il magnifico capolavoro dell’Allegri juventino. L’ottimo operato di Conte, seppur con importanti giustificazioni, non aveva donato ai Campioni d’Italia quella tranquillità e quella sicurezza nei propri mezzi indispensabili per certe competizioni. Il racconto della cavalcata europea operata dalla Vecchia Signora nel 2014-2015 non può che cominciare con la prima giornata e la gara interna contro il Malmö. Nelle 2 precedenti annate in cui la Vecchia Signora aveva affrontato la Champions, la truppa di Conte non aveva mai iniziato con un successo. La doppietta di Tevez, invece, stese gli svedesi. Nelle 2 successive sfide, però, si ripresentarono i fantasmi della precedente gestione. La Juve cadde sotto i colpi dell’Atletico Madrid e dell’Olympiacos. La fase a gruppi giunse così al giro di boa. La prima partita di ritorno, in casa contro gli ellenici, divenne un crocevia fondamentale. Per proseguire il loro cammino nella competizione, i piemontesi dovevano vincere. Allegri, che sino a quel momento era stato molto umile e astuto nel non modificare i “meccanismi contiani”, decise di abbandonare il 3-5-2 per affidarsi a un rombo di centrocampo che disegnò i successi dell’immediato futuro. Con grande sofferenza e un Pogba fantastico, la Juve sconfisse 3-2 i greci ponendosi nuovamente in piena bagarre per il passaggio del turno. Il toscano mostrò la sua indole social coniando il famoso #fiuuuu che spopolò su Twitter. Qualche settimana più tardi, i bianconeri conquistarono Malmö trionfando 2-0 con i centri di Llorente e Tevez. A questo punto, un pareggio interno con l’Atletico del Cholo, già aritmeticamente agli ottavi, era sufficiente per garantirli pure agli italiani. La gara terminò 0-0. Dal turno successivo iniziò una nuova era Europea della Vecchia Signora. La Juve si mostrò forte e determinata non chinando il capo di fronte ad avversari tremendi e blasonati. Affrontò a testa alta la doppia sfida con il Borussia Dortmund non lasciando scampo all’allora squadra di Klopp. In questo magnifico doppio incontro si illuminò la stella di Morata che realizzò 2 centri contribuendo in maniera importante al passaggio del turno. Il gol di Reus, dettato da uno svarione di Chiellini, fu l’unico sussulto tedesco dei 180 minuti nei quali la Juve impose una netta superiorità sbancando il Signal Iduna Park con un secco 3-0 che ammutolì il temuto “Muro Giallo”. Ai quarti, la Juve pescò il Monaco. Al cospetto di un’avversaria che partiva senza i favori del pronostico, i bianconeri non mostrarono la forza spavalda vista nel turno precedente. Bastò loro un rigore contestato di Vidal per sbarazzarsi della compagine del Principato esibendo una fase difensiva eccellente che non subì manco un centro nell’arco delle 2 gare. Da rimarcare, però, che la Juve si presentò al Louis II falcidiata da un virus intestinale. A corredo di questa fastidiosa disavventura rimane “l’attacco gastrico” che colpì Morata appena sostituito da Allegri. Nonostante questo inconveniente, la Vecchia Signora volò in semifinale dove non sbarcava da 12 anni. Affrontò il Real Madrid detentore del trofeo. Qualche giornalista iberico si lasciò trasportare dall’euforia per aver evitato avversarie più temute come Barcellona o Bayern Monaco. Giunse così a un grido di esultanza che, con il senno del poi, si rivelò assolutamente fuori luogo. Nel match di andata giocatosi allo Stadium, la Vecchia Signora sfornò una prova fantascientifica. Passò subito in vantaggio con il solito Morata, ormai un cecchino. Sul finale del primo tempo, però, ebbe un leggero calo che gli uomini di Ancelotti sfruttarono solo parzialmente. La sentenza Ronaldo calò nuovamente la sua mannaia sulla Juve. Nella ripresa, la tracotanza di chi non si accontentava di un pareggio esterno, regalò un contropiede agli italiani. Carvajal stese Tevez nell’area ispanica. L’argentino non sbagliò il penalty. Gioco! Partita! Incontro! Nella sfida di ritorno Allegri e i suoi uomini pagarono il solito conto salato a CR7 che portò in vantaggio i Blancos su rigore. La Juve aveva ormai assunto una nuova mentalità. Era serena. Non si lasciava sopraffare da ansie e fantasmi attendendo il momento opportuno. Ecco che Morata, il ragazzo di casa, fece soffrire il suo vecchio pubblico che l’aveva cullato e cresciuto. Lo spagnolo pareggiò l’incontro e la Juve volò a Berlino. La trasferta tedesca non ebbe l’esito sperato dai bianconeri, ma non cancella la grande cavalcata insperata che alla Vecchia Signora mancava da oltre un decennio.

Queste narrazioni riportano alla mente dei tifosi bianconeri momenti di grande felicità, ma sono utili a mostrare come, ultimamente, la novità in panchina abbia sempre prodotto frutti importanti nonostante lo scetticismo iniziale. Dopo Conte e Allegri, tocca a Sarri. A lui il compito più difficile. Maurizio dovrebbe essere l’uomo che completa definitivamente l’opera ponendo l’ultimo tassello del mosaico. Se il toscano guarda ai precedenti non può che sorridere.