Un noto dizionario della lingua italiana definisce il pessimismo come una "disposizione di spirito, naturale o acquisita per dolorosa esperienza di vita, a considerare la realtà nei suoi aspetti peggiori, a giudicare negativamente avvenimenti e situazioni, a prevedere che le cose volgano in ogni caso al peggio". In effetti non è difficile trovare individui che abbiano una simile visione dell'esistenza e che tendano a essere influenzati da tale condizione durante il corso di essa. Chi possiede questa caratteristica non avrà certamente una vita facile. Sarà costantemente sull'attenti e soprattutto molto ansioso riguardo al futuro. E’ una naturale conseguenza del suo modo di pensare. E’ chiaro che, ipotizzando sempre il peggio, le difese innate di una persona sono costantemente allertate. Questo potrebbe facilmente condurre a un loro logorio e a uno stress pericoloso per la salute dell’individuo. Combattere la propria natura, però, non è mai semplice e diventa difficile cambiare tale modo di essere. Un’altra fondamentale conseguenza del pessimismo si può trovare nella difficoltà di guidare un determinato gruppo e di assumere, quindi, ruoli di comando. Si immagini, infatti, di far parte di una squadra condotta da un individuo che ha una visione negativa del futuro e che preveda costantemente sventura. E’ molto complicato riuscire a gestire una simile situazione e non è facile raggiungere un obiettivo nel momento in cui chi dovrebbe essere a capo della spedizione considera negativamente ogni aspetto della vicenda. Diventa complicata anche soltanto l’idea di vivere o lavorare a fianco di una persona pessimista. Ogni individuo è naturalmente in grado comprendere chi gli è vicino. Questa capacità innata gli consente di soppesare e filtrare le opinioni altrui. Non tutti, però, hanno il medesimo livello di abilità nel compiere tale operazione e il rischio è proprio quello di esserne facilmente influenzati.

L’ottimismo, invece, è quella disposizione naturale "che induce a scegliere e considerare prevalentemente i lati migliori della realtà, oppure ad attendersi uno sviluppo favorevole del corso degli eventi". Nel mondo odierno è una qualità abbastanza rara, ma non introvabile. Pure chi è dotato di una simile facoltà deve maneggiarla con grande cura. Tale prerogativa è sicuramente positiva. Agevola l’esistenza personale e conseguentemente i rapporti sociali. Facilmente, però, si può trasformare in pericolosa spavalderia e spregio del pericolo. A quel punto, le conseguenze possono essere nefaste. Le vicende vissute nel corso dell’esistenza hanno una naturale influenza sull’essere umano ed è logico che questi ne risenta. Chi ha avuto trascorsi ricchi di difficoltà tende ad avere una visione più complessa e meno positiva del futuro. La persona che, all’opposto, non si è mai trovata di fronte a enormi problematiche, penserà che questo non accadrà mai. L’esperienza è sempre un’importante insegnante di vita.. Spesso, tuttavia, non esiste alcun collegamento tra il passato negativo o positivo di un individuo e il suo futuro. Chi ha dovuto affrontare importanti sofferenze potrebbe raccogliere gioie. Chi, invece, ha avuto un’esistenza senza particolari difficoltà potrebbe improvvisamente trovarsele di fronte. Sotto questo punto di vista, nulla è scontato.

Lo scrittore francese Sebastien-Roche Nicolas, conosciuto come Chamfort, affermava che "il pessimista si lamenta del vento, l'ottimista aspetta che cambi; il realista aggiusta le vele". L’obiettività è la migliore chiave di lettura dell'esistenza. Se si escludono le Divine Entità, nessuno è in grado di prevedere il futuro. Proprio per tale motivo, un sano realismo è una dote assolutamente difficile da trovare e chi ha la fortuna di essere in grado di analizzare la vita con una simile caratteristica, è sicuramente privilegiato. Potrà, infatti, costruire la propria esistenza e coadiuvare quella altrui avendo sempre "una mossa di vantaggio rispetto alla concorrenza". E' praticamente impossibile trovare una persona dotata di realismo in ogni ambito della vita. Sarebbe un automa, una macchina perfetta. Si riesce, invece, a pensare a un individuo che possiede tale prerogativa per un particolare aspetto dell’esistenza. In quel caso dovrebbe riuscire a concentrarsi su di esso facendone la propria professione. Così eviterà di sprecare un importante talento.

Tra gli addetti ai lavori del mondo del calcio esistono parecchi individui che posseggono una simile dote. Molti di questi ricoprono ruoli di comando all’interno della società o della squadra. Tre note compagini si trovano in una strana e a tratti inspiegabile situazione che necessita proprio dell'intervento dei citati interpreti. Si tratta della Juventus, del Manchester City e del Psg. La domanda sorge spontanea: perché queste squadre dominano in patria e non riescono a esprimere il loro potenziale in Europa mostrando una doppia personalità come fossero Dottor Jekyll e Mister Hyde del calcio? La risposta più inflazionata è legata alla competitività del campionato che disputano. Si potrebbe pensare che all’interno del torneo italiano, inglese o francese vi sia un livello medio inferiore rispetto a quello che si trova in Champions League. E’ naturale che sia così. Già l’appellativo “Coppa dei Campioni”, trasformato poi nel moderno format che ha assunto un nome di carattere anglosassone, denota l’elevata caratura di chi partecipa a questa competizione. Si tratta delle migliori espressioni del calcio continentale ed è assolutamente logico che il loro potenziale sia superiore rispetto a quello che si può trovare all’interno del singolo torneo nazionale. Non può, però, essere una motivazione sufficientemente completa a spiegare il descritto problema.

Se si osserva la serie A e, soprattutto, la Ligue 1 si può notare che ultimamente il livello di questi tornei non è propriamente eccelso. Non è un caso se Juventus e Psg dominano i loro campionati da anni (con l’eccezione del torneo transalpino vinto dal Monaco nel 2016-2017) non lasciando il minimo spazio di respiro alla concorrenza. Quando la forbice è così ampia sia relativamente ai tempi che ai distacchi, è chiaro che non la si può giustificare esclusivamente con la bravura dei vincitori. Sicuramente gli sconfitti sono a conoscenza della situazione e si staranno ponendo importanti interrogativi al fine di migliorare la loro posizione. Lo stesso concetto, però, non può valere per l’Inghilterra. Recentemente il Manchester City ha vinto tutte le competizioni che il calcio di Sua Maestà metteva a disposizione delle proprie compagini. Nell’ultimo anno solare, la squadra di Guardiola ha centrato 2 Community Shield, l’FA Cup, la Coppa di Lega e la Premier. Il livello delle avversarie era scadente? Assolutamente no. Il Liverpool, giunto secondo nel principale campionato d’Oltremanica, ha conquistato la Champions. Il Tottenham, finalista della massima competizione per club continentale, ha chiuso la più importante categoria inglese al quarto posto e il Chelsea, trionfatore di Europa League, è arrivato terzo. Tutto questo senza citare l’Arsenal che ha terminato la Premier in quinta posizione disputando la finale del torneo vinto dai Blues con l’ormai ex squadra di Sarri. Carta canta. I dati sono assolutamente utili a spiegare la situazione. Le debacle europee di Juve, Citizien e Psg non sono giustificabili semplicemente alla luce del livello dei loro campionati che non sarebbero sufficientemente allenanti. Questo presupposto può rappresentare una componente importante, ma la situazione del Manchester City è un’eccezione da tenere in assoluta considerazione. Non può essere sottovalutata e sottaciuta dando per scontata la validità dell’editto.

Sfatato questo tabù, si cercano altre motivazioni che sono meno frequentemente utilizzate per spiegare la particolare posizione in cui vertono tali tre importanti compagini. Non si può certo prendere in considerazione il valore delle loro rose. Se si guarda ai bianconeri, agli uomini di Guardiola e ai rossoblù transalpini non è possibile affermare che non abbiano tutte le carte in regola per centrare la vittoria della Champions League. Ai tempi in cui era allenatore della Vecchia Signora, Conte era solito sostenere come “non si possa pasteggiare in un ristorante stellato avendo a disposizione 10 euro”. I suoi successori non possono addurre a una simile discolpa. La qualità di queste tre compagini è assolutamente paritaria rispetto a quella della migliore concorrenza europea. Rappresenterebbe inutile esercizio di stile elencare quali siano i campioni a disposizioni delle citate armate facendo un confronto con altri noti top club. Questo paragone è già ben conosciuto al lettore. Basti quanto scritto per considerare negata pure la tesi proposta dai pochi che ancora vedono queste compagini inferiori alle migliori squadre del Vecchio Continente.

Quali altre motivazioni si può addurre? Il campo inizia pericolosamente a restringersi. Si rischia di addentrarsi in argomenti complessi introducendosi in pericolosi ragionamenti ricchi di particolari insidie. Qualcuno ha persino parlato di una sorta di maledizione europea che veglierebbe su queste squadre come il più terribile dei gufi. Si pensi al celebre caso del Benfica e di Bela Gutmann. Era il 1962 e il tecnico ungherese lanciava un tremendo sortilegio alla compagine lusitana. I portoghesi non avrebbero più vinto alcuna competizione internazionale per cent’anni. In effetti sono trascorsi quasi 60 anni e la squadra di Lisbona non ha ancora festeggiato alcun trofeo fuori confine. Non si vuole, però, pensare che una simile vicenda possa aver influenzato la storia del Benfica altrimenti ci si troverebbe in una situazione davvero scabrosa. Questo ragionamento vale anche per Juventus, Psg e Manchester City.

E’ più probabile che la risposta sia da ricercare proprio nel preambolo dell’articolo. Il pessimismo non aiuta certamente a raggiungere lo scopo che l’uomo si prefigge. Ormai, intorno a queste squadre, perdura un alone di negatività europea che è difficile da sbaragliare. Chi gioca a calcio nel ruolo di attaccante comprenderà questo concetto che sovente si esemplifica pensando a un barattolino di ketchup. Chiunque avrà avuto a che fare con il vuoto d’aria che crea un tappo nel contenitore impedendo alla salsa di scendere. Perseverando, però, si è certi di ottenere il risultato sperato e di potersi godere le patitine fritte con il gusto del rosso intingolo che cadrà a flotte. Così accade anche al bomber che non riesce a trovare la via della rete. Come d’incanto si sbloccherà e non smetterà più di segnare. Lo stesso potrebbe valere per Juve, Psg e City in Champions League. Hanno tutte le carte in regola per arrivare al trionfo. Dovranno solo avere la pazienza di trovare la via giusta. A quel punto, potrebbero spartirsi il bottino europeo per parecchi anni. Per riuscirvi, però, è necessario che si lascino guidare da un sano realismo. Guardando sovente le gare internazionali di queste compagini si nota come, in maniera differente, approccino alle partite in modo spesso negativo.

Si pensi alla Juventus che, alle prime difficoltà, pare rintanarsi in vecchi dilemmi. Abbassa eccessivamente il baricentro come una tartaruga che si protegge all’interno della sua corazza. Si mostra spaventata ed entra in confusione concedendo il fianco all’avversario di turno. Gli esempi sono molteplici. Basti ricordare le due gare contro l’Ajax giocate durante la trascorsa stagione o la finale di Cardiff disputata con il Real Madrid nel 2017. Nell’ultima edizione di Champions, invece, gli uomini di Guardiola stavano per ribaltare l’1-0 patito a Londra contro il Tottenham, ma gli Spurs persero 4-3 accedendo al turno successivo a causa della regola del gol in trasferta. E’ semplice intuire come possa essere desolante venire eliminati in codesta maniera, ma pure quali siano le problematiche espresse da una compagine che è estromessa dalla Coppa dei Campioni per mano di un’altra che ha chiuso il campionato con ben 27 punti in meno. Risulta ancora più facile trovare un esempio relativo al Psg. Durante il 2017, nel match di andata degli ottavi, i parigini rispedirono a casa il Barcellona con un secco 4-0. Nella gara di ritorno persero 6-1 e furono eliminati. Qualcuno potrà ribattere che ultimamente tale situazione è stata sovente vissuta anche dallo stesso Barça e che fa parte delle emozioni regalate dalla Champions League. Certo, è vero. Detto questo, non può non considerarsi un problema sul quale anche i catalani dovranno lavorare ardentemente. Da questi esempi emergono difficoltà legate al fattore psicologico e non ad altre motivazioni.

I tornei non troppo allenanti, la sfortuna o la forza delle avversarie europee possono avere un’influenza negativa sul cammino internazionale di queste tre corazzate, ma il motivo principale delle loro debacle extra confine dev'essere ricercato nel Dna. Solitamente la genetica di una squadra, così come quella di un individuo, non può essere modificata, ma si tratta di una diversa casistica. Con l’aiuto dell’ambiente che non deve porre troppa pressione sulla compagine o mostrare grande sconforto, con il trascorrere del tempo, la perseveranza e l’esperienza, queste gloriose società troveranno sicuramente il bandolo della matassa. Attenzione perché il vero rischio è che quando ciò accadrà non si fermeranno più. Proprio la Juve deve fungere da dimostrazione palese di quest’ultimo “pericolo”. Dopo Calciopoli e i due settimi posti consecutivi in serie A, in molti la davano già per definitivamente spacciata e invece…