Avvalendoci di dati statistici e di una costante osservazione pluriennale del calcio di Allegri, possiamo riconoscere un'impronta senz'altro unica del mister toscano. Inizialmente la sintetizzeremo in senso qualitativo, successivamente passeremo ad un'analisi quantitativa, ottenuta secondo dati ricavati dai siti Whoscored e Wyscout, sforzandoci tuttavia di rimanere nel campo di una lettura agevole.

Allegri si manifesta attraverso un lavoro che è un mix tra linee generali e psicologia che vogliamo numerare senza pretendere di essere esaustivi:
1) La titolarità di giocatori fisici pronti a inserirsi e deviare ben si coniuga con un lento giropalla che sfocia sui quinti di centrocampo per generare cross.
2) La scelta della formazione di partenza ben si sposa con la strategia delle sostituzioni, grazie a giocatori in grado di rompere gli equilibri in panchina.
3) La densità, il baricentro basso e la pressione passiva sul portatore, occupano i posti normalmente riservati a intensità, linea alta, pressing attivo. In questo modo è residuale la delicata fase della transizione difensiva. Queste strategie riducono i cali di tensione contro le piccole sul lungo periodo. 
4) La concessione di frequenti giorni di riposo "dobbiamo recuperare energie" (come ama ripetere Allegri) al posto della ricerca di maggiori standard di forma fisica, è una filosofia che sembra possa predisporre ad infortuni muscolari ed ha dimostrato di avere risvolti negativi nelle fasi calde delle competizioni, allo stesso tempo però facilita la gestione dello spogliatoio e stabilizza le energie psichiche nel medio-lungo periodo. 
5) Le conferenze stampa sono impostate anche per gestire i malumori e manifestare il sostegno societario
 
In linea generale possiamo affermare che dalla squadra il tecnico livornese riesca ad "ottenere il massimo che si possa realizzare col minimo sforzo" in una Serie A che lo permette, ma allo stesso tempo questo "minimo sforzo" sembra non bastare contro grandi squadre che praticano un gioco europeo, dominante, ovvero organizzato in modo capillare. Spalletti è maestro proprio delle fondamenta del mestiere dell'allenatore, ovvero nel "dare un gioco", nell'orchestrare in ogni zona del campo sincronismi che possano venire in aiuto anche di quei campioni cui si conceda molta libertà.
Eloquente è quanto sia aumentata la distanza tra Napoli e la Torino bianconera e come il Napoli dia l'impressione di poter aprire un ciclo europeo, al netto delle cessioni e di futuri mal di pancia di chi vorrà spiccare il volo verso altri palcoscenici. E' abbastanza chiaro che i potenziali campioni, quelli che valgono un sacco di soldi, di norma offensivi ma non solo (vedasi De Ligt), subiscano una svalutazione in un contesto macchinoso, al contrario di quelli fisici alla Rabiot: ciò si evince dai dati Transfermarkt sul valore della rosa, in sensibile calo. Tuttavia il mercato non è prevedibile e non è nostra intenzione esprimerci sugli effetti economici provenienti dalla componente tecnica, anche perché, poco prima degli anni '90 quando ancora imperava il catenaccio, è lecito pensare che un Allegri avrebbe fatto le fortune di ogni società, per tutto il contorno non prettamente tattico in cui si distingue. 
Affermare che Allegri "sa quello che fa" non è perciò eresia, il problema potrebbe essere il "cosa fa" soprattutto in un contesto europeo, mondiale, iperprofessionistico ed accelerato.
 
Passiamo alle due fasi di gioco tralasciando tecnicismi quali la geometria della costruzione dal basso che riserveremo ad un pezzo successivo:
1) In fase di possesso la Juventus, utilizza un catenaccio destinato a confluire sulle fasce, dove Kostic e Cuadrado, molto abili nell'avanzare palla al piede quel tanto che basta per crossare, possono generare deviazioni vincenti o rimpalli per tiri da dentro o fuori l'area. 
Questo approccio non si tratta di una novità ma della storica filosofia britannica (risalente agli anni 1950/'60) ed è reso possibile ed efficace grazie alla fisicità scelta dal tecnico, presente in tutti i reparti.
Attenzione non tutto si riassume in questo: nei primi minuti di gioco per scopi solo apparentemente preventivi ma soprattutto nelle fasi finali per scopi offensivi, la Juventus grazie ad una "virilità" statisticamente, significativamente vincente nei contrasti ("Il calcio è il contrasto", cit. Allegri) e nei duelli aerei, toglie luce agli avversari, intercetta linee di passaggio turnando in transizione offensiva in contropiede e dà la sensazione all'avversario di perdere rovinosamente terreno mettendogli pressione. Sembra quasi che i giocatori bianconeri in queste fasi, aumentino di dimensioni come in un videogioco! In questa dinamica, secondo la nostra analisi, si costruiscono molte delle certezze juventine in campo.
Questa impostazione all'italiana della squadra bianconera (si noti la combinazione di diverse tradizioni) può letteralmente bullizzare chi per decine e decine di minuti l'ha assediata improduttivamente. Se la Juve riesce a mantenere questi equilibri poi passa all'assalto finale per romperli, con l'ingresso dei vari Chiesa, Milik, Iling, Soulé motivo per cui Max ricerca sempre sul mercato più opzioni costose e di pregio. Le moltissime frecce di talento individuale nella faretra del tecnico livornese sono il completamento di questa strategia, compensando, probabilmente solo in parte, la carenza di velocità della palla. Questo limite non crediamo sia dovuto alla qualità nel tocco dei singoli ma alla scarsità dei movimenti complessivi senza palla (intensità), non trasmessi dal tecnico che riducono le linee di passaggio. 
Non passa inosservato che formazioni più attrezzate che praticano un calcio europeo, ciniche sotto porta, siano riuscite a chiudere il conto prima che la formazione di Allegri riuscisse a stabilizzare la partita: l'hanno scardinata facendo saltare in aria una fase difensiva imperniata sulla densità. Questa Juve ha moltissima qualità, è sicuramente tra le prime 8 d'Europa ma non ha né Scirea, né Platini nella costruzione bassa e alta della manovra (sempre che nel calcio moderno basti lasciare tutto al singolo, le Champions degli ultimi 30 anni dicono di no).
 
2) In fase di non possesso, la Juve punta sul binomio basso baricentro/densità, una impostazione poco europea che penalizza la risalita del campo ed il dominio moderno del gioco.
Ciononostante questo dettame permette di adattare in zone meno calde (es. le fasce) ed arretrate giocatori offensivi riportando alla mente la Fiorentina del Trap. Questi calciatori, sebbene sacrificati e distanti da dove possano esprimersi al meglio, sanno far male ed essere cinici su situazioni di palla inattiva e sui rimpalli nell'area avversaria o su azione insistita personale. 
Grazie alla densità ed alla pressione passiva, al posto del pressing attivo, in fase difensiva questi talenti istintivi, senza spiccato senso della posizione (es. Chiesa), avranno compagni molto più vicini, pronti a dar loro manforte, a fare diagonali, riuscendo così, con un po' di applicazione, a coprire la relativa parte di campo senza particolari criticità. Raramente andranno in tilt questi adattati perché non ci saranno spazi in cui un offendente potrà affrontarli 1 vs 1 in corsa. La presenza di attaccanti al posto di centrocampisti di ruolo in queste zone del campo tuttavia, è un ulteriore fattore che rende la manovra lenta, prevedibile, compassata, la ricerca di qualcosa di più elaborato viene quindi tendenzialmente abbandonata.
La densità è un principio difensivo risalente alle difese anni '30 quando alcune formazioni optarono per il terzo centrale in area (prodromo del libero e del mediano metodista peraltro) per risolvere il problema degli 1 vs 1. Il livornese scegliendo di non giocare con la linea alta, una costante delle big europee, rispolvera questa opzione in un contesto, si sottolinea, di scomparsa pluridecennale delle marcature a uomo.
 
Concludiamo quindi con una rassegna di statistiche a supporto delle nostre osservazioni:
Serie A:
Risultati Juve in casa: 10 vittorie, 3 pareggi, 1 sconfitta.
33 gol fatti, 12 gol subiti.
Risultati Juve fuori casa: 7 vittorie, 2 pareggi, 4 sconfitte.
12 gol fatti 10 gol subiti.
 
La differenza reti juventina è buona, nello specifico la Juve non esagera come reti (subite/realizzate), sia che giochi in casa, che fuori, per questo spesso ci troviamo di fronte il "corto muso".
Per quanto riguarda i gol, in termini comparati, sulle palle inattive soprattutto in casa (39% Juve, 18% ad esempio il Napoli) si impernia il ritrovato buon cammino dei bianconeri, mentre ridotto (42% Juve, 73% il Napoli) è il contributo su azione manovrata. Evidentemente nei minuti finali, in situazioni di pathos, col trasporto del proprio pubblico, la Juventus sa essere letale.
Nei tiri effettuati, come nei contropiede, la formazione di Allegri non ha numeri quantitativamente elevati, tuttavia, grazie alla capacità tecnica dei suoi giocatori, risulta statisticamente efficace mentre è vulnerabile nel difendersi dalle conclusioni dalla distanza. I bianconeri sono particolarmente pericolosi sui calci piazzati, soprattutto corner (40.8% di score rispetto, al 25% di chi la affronta a parità di situazione).
Dal punto di vista difensivo la Juve, sulle palle inattive totali si sa difendere molto bene (18% gol subiti) mentre concede qualcosa sulle azioni manovrate (68% gol subiti). Sulle fasce laterali agisce con ottime percentuali di capitalizzazione sul numero di azioni tentate.
 
La Juve in casa, come tipologia di gol subiti, subisce di più su azione manovrata, prova che in questo contesto tende a coprirsi per poi colpire e poiché, chi le fa visita, sceglie di sorprenderla affrontandola a viso aperto (spesso perdendo il confronto) mentre fuori dalle "mura domestiche" subisce più in contropiede .
Fuori casa la Juve esce relativamente dal guscio difensivo sentendosi in una situazione meno familiare, segna poco, spesso quel tanto che basta ma principalmente su azione manovrata (60%), non potendosi avvalere del proprio tifo infatti si depotenzia sulle palle inattive (20%) e ricerca inconsciamente soluzioni diverse.
 
Juve nei 90 minuti:
I bianconeri nei 90 minuti non sono costanti: sul finire di partita, particolarmente a Torino, diventano più efficaci minacciando l'area avversaria.
La Juve eccelle nei duelli 1 vs 1 (che ricerca) in situazione di attacco, sia dal punto di vista del dribbling (65 a partita, con oltre 40% di successo) che nel binomio contrasti/duelli aerei.
Le incursioni ubriacanti di Di Maria e Cuadrado (o Iling) spaccano letteralmente gli spazi ed insieme ai cross millimetrici di Kostic favoriscono le deviazioni in rete (Vlahovic, Rabiot, Bremer ecc) e i tiri da fuori (Danilo). Quando tutto ciò non basta, può essere il turno di magie dei singoli (Di Maria, Chiesa, Fagioli). Di contro la Juventus non è percentualmente efficiente nel creare occasioni da squadra vincenti, ovvero attraverso triangoli, azioni rapide, filtranti, molto è quindi lasciato al rimpallo, ai rimbalzi fortuiti ecc. A centrocampo, i passaggi in avanti e quelli progressivi sono più rari rispetto alla media, a testimonianza ulteriore di una impostazione sparagnina.
La squadra di Allegri non eccelle né nel possesso né nelle palle recuperate, due elementi per giunta concentrati nella propria metà campo. Sono scarsi i duelli a centrocampo e la bassa intensità è confermata dall'indice PPDA, ovvero da quanto i bianconeri riaggrediscano nella metà campo avversaria.
Il difensivismo tradizionale proiettato al recupero della palla che accumuna allenatori molto diversi quali Conte, Klopp, Lippi, Mou prima maniera e Simeone, non ha niente a che vedere con quello allegriano che predilige una globale staticità (o "equilibrio" per utilizzare un sinonimo ma con differente accezione).
Una verticalità proattiva senza scomodare per forza i livelli guerrieri di Lippi e Klopp, non può essere pretesa dal livornese che ne restituisce una versione vintage, calma e british: risultano spesso stucchevoli quindi, le diatribe sul suo conto.

Allegri in conclusione ha plasmato a sua immagine una Juve atipica, camaleontica, meritoriamente ha rispolverato diversi ingredienti del passato attraverso un mix inaspettato, resta la sensazione secondo la nostra analisi (o forse la certezza), di una squadra che potrebbe competere a livello mondiale se guidata su altri princìpi.