"Football is most than a simple game". Il calcio è di più. Si scorge tale passione in poche figure, coloro che hanno riscritto la storia di questo sport. L'eroe è colui che per merito delle sue gesta fa breccia nei cuori e nelle menti, come Jurgen Klopp è stato capace sinora. Lui, da sempre, si è contraddistinto dalla monotematicità del suo essere allenatore. I colleghi, persi in divergenze superflue, vicissitudini che a lungo li hanno trainati. Tutti ne possiedono alcune. Non lui. Coniuga lo spirito libero del suo mostrarsi alla capacità di trarre una leadership silenziosa da ciascuna situazione, un binomio regale, frutto della semplicità che sempre ha portato con sé. E poi vi è il jolly, un proficuo tecnicismo adottato nelle prime esperienze: la pazienza nel baratro, l’essere capace di risollevarsi, complice la sua forza interiore: questa è la mentalità che ha affibiato ad ogni squadra sia passato sotto la gestione del nativo di Stoccarda. Andiamo a scoprire, chi, per merito di attimi iconici, è divenuto "il Normal One".

Mainz, un trampolino per la leggenda

Magonza, città passionale, che vive il calcio come Jurgen. Chiamatele coincidenze, il puro caso che la natura fornisce per la creazione di una leggenda, una coppia durata diciotto anni. Il primo Klopp è un calciatore di discreto livello, che resta nel corso della sua carriera in Zweite Bundesliga, bandiera del club che lo ha accolto appena ventenne. L’astio tra lui e la scuola ampia l’amore verso il calcio, viscerale e contagioso. Il riscatto pallonaro, come alla Ruhr, 2008, sarà accolto. Il riscatto è la metafora della sua vita: carattere tranquillo, ma opposto alle convenzioni della società. Dal suo ego si intravede il diverso, incompreso. "Se non lavorerai nel calcio, non so cosa aspettarmi da te" disse un suo professore. La separazione dalla normalità, la ricerca di sé stesso attraverso la sua vita, il calcio, connubio indissolubile. Mainz ci punta. Un discreto attaccante, che seppur con dei limiti tecnici, ha la fame. Lacune, colmate dal suo essere pretenzioso. Nel frattempo lui studia la tattica, vuole essere avvantaggiato rispetto agli avversari, leggere alla perfezioni le situazioni di gioco. Nel corso degli anni viene arretrato a difensore centrale in virtù della sua stazza, ruolo a lui più congeniale. Passa un decennio a lottare per la causa, lasciando il segno con situazioni indelebili, sinchè, a sorpresa, avviene un fatto che muterà la sua carriera. La squadra, nell’annata 2000-2001, ha già esonerato tre allenatori e si trova a lottare per non retrocedere. La dirigenza che vede in Jurgen un faro all'interno dello spogliatoio, lo convoca. Parla di un progetto ambizioso, una ripartenza segnata da un condottiero sia in campo che fuori. Lui, lasciando sbigottito l'ambiente, sarà il nuovo tecnico, senza nessun preavviso. Passa dal terreno di gioco alla panchina, ma quando si siede su essa è come se fosse sempre in campo: una carica unica. Salva la squadra e viene confermato alla sua guida. Il rapporto durerà sei lunghe stagioni, sino al 2008, quando dopo aver portato i biancorossi alla storica promozione in Bundesliga, retrocede. Quel fatto lo spinge ad una scelta dolorosa, la sua contestualizzazione: opta per la testa, mettendo da parte il cuore, il sentimento fortissimo che lo lega a quel popolo, che ricambia, lo ha visto crescere. Mainz ha ospitato una mente ribelle, non conforme alle logiche del quotidiano. E’ stato facile far scoccare l’alchimia, fortificata dal duraturo stare insieme. Partito con l’obiettivo di esser un tecnico a breve periodo, si è incanalato appieno nello spirito della nuova avventura, rendendo grande la squadra. Riscatto e scintilla. Il primo arrivato più da calciatore, il secondo colpo di genio. Il suo accanimento nei confronti del duro lavoro, nel plasmare chi passasse sotto la sua guida e la conformazione di uno stile di gioco invidiabile, è l'ennesimo atto che comprova la dedizione verso ciò che svolge. Passionale, attaccato anche da fuori al calcio. Lodato e stimato. Perché, come dice lui: "Non importa come ti accolgono all’arrivo in club, è importante il ricordo che resta di te". Una frase che lo descrive appieno. Gli piace che il suo operato sia stimato. Esulta con i tifosi al termine di ogni sfida, celebra con loro le imprese. Celebre, il discorso di fronte a 10mila persone nel giorno del suo addio. Ha approcciato il pallone non impuntandosi sulla tecnica, ma ricreando la forza dall'interiore, con il continuo stimolo a migliorarsi, la ricerca platonica, talvolta ossessione, della vittoria. Vittoria che non sempre sarà nel suo bagaglio, ma che non sarà mai il solo motivo che lo porterà in alto.

Dortmund, la consacrazione

Kloppo, come l’han chiamato dalle parti di Mainz, gradisce le sfide intricate, dalle quali espropria il suo lato migliore: d'altronde, la sua carriera d'allenatore è nata cosi, frutto di una scelta fulminea, inaspettata. Dortmund lo chiama, in cerca di una risalita dopo anni d'oblio, passati ad osservare compagini differenti spartirsi il Meisterschale. Lui gradisce da subito. La Rifondazione è lecita, pretenziosa. Jurgen, sottolinea, non ama la fretta. Carbura con il tempo, instaura un rapporto encomiabile con i giocatori, che lo seguono. Quest'ultimo concetto sta alla base del suo Gegenpressing, filosofia tedesca per eccellenza nel vedere il pallone. Pratica e pratica per elevarla, renderla avvezza al calcio moderno. Consiste in un pressing alto sul portatore palla, giocatori sempre in movimento ed un ritmo costante nell'impostazione. Nel 2010 la svolta: con il passare del tempo crea consapevolezza, ed i suoi apprendono del tutto gli ideali del loro mentore. Arrivano i primi titoli importanti, quali due campionati consecutivi, strappati ai rivali del Bayern Monaco. L'esecuzione della strategia lo rende il maestro di tattica, ciò che gli era mancato in passato, anche se, artefice principale dell'avvento dei successi è la dedizione imposta al collettivo, più del 100%, come da lui sempre ribadito. Vede il pallone come ragione di vita, affermarsi, un motivo d'orgoglio per aver portato in alto la filosofia "operaia", non estetica, ma unita. Altro aneddoto: prima di un acquisto vuole conoscere il calciatore, ma non il suo profilo sul terreno verde, bensì il suo carattere e la sua persona. D'altronde, per applicare il Gegenpressing ci vuole l'armonia, l'insieme. L'organico, a sua immagine somiglianza. Klopp resterà per i gialloneri più di un allenatore: le dichiarazioni spontanee, le scene divertenti di fronte alla tv, il divenire fenice dalle ceneri. Parallelismo degno, che lo descrive. Certo, un personaggio diverso dall’immaginario collettivo non è semplice da raccontare, ma per Kloppo bastano quei fatti memorabili che l'hanno inserito nel gotha. Resta alla Ruhr sino al 2014, centrando una finale di Champions League, annientando nel corso del cammino il blasonato Real Madrid, affondato da un 4-1 davanti al proprio pubblico. E poi vi è lui, vive le situazioni in maniera emozionale, rende tale caratteristica plateale: si sbraccia, urla, incita. Sembra di averlo davanti a Weidenfeller, grintoso, a dirigere la difesa. Le doti da leader, da trascinatore, il faro che fa luce. Tredici contro undici nella contesa che li vede opposti ai Blancos. Lui ed il muro, scenario affascinante, simbolo del popolo che lo ama. Klopp gli tributa le vittorie e viceversa. Non sarà una sconfitta in finale, contro gli acerrimi avversari bavaresi, a rendere meno magico un cammino lunghissimo, incominciato ben sei annate prima. Nella celebrazione per assegnare il trofeo, l'ex Mainz riceve la medaglia e va a salutare i propri supporters, le cui lacrime sono un immagine che gli appassionati non possono negare. Stagione 2014. Una fredda e cupa mattina di dicembre, arriva in sede. "Devo comunicarvi una decisione" esclama con toni poco allegri. A prevalere nel ciò che sta per annunciare vi è la riconoscenza a chi l'ha seguito passo per passo, ma, allo stesso tempo, il desiderio di voltare pagina e prendersi del tempo. "E' finita". Nell'atto finale al Signal Iduna Park, il muro gli tributa la miglior coreografia, anzi gigantografia mai eseguita. Il suo nome scritto a toni verticali, grandi, grandissimi, come lo era stato lui. La stima imponderabile del popolo. Jurgen riecheggia dalle parti di Borussia, l'uomo al quale la tifoseria è più legato.

Liverpool, l'essenza

A chiamarlo è il Liverpool, club in rottura da tempo, le cui voragini sono molteplici. Ricorda assai l'invito precedente: collettivo allo sfascio da ricostruire. D'altronde i Reds  non vincono da tempo immemore e le disfatte subite l'ultima stagione hanno sancito il gelo totale con i tifosi. Gelo e tifosi. Immaginatevi Klopp. Insomma, l'ideale per decretare un nuovo inizio. La conferenza d'esordio testimonia i suoi obiettivi: vincere. Pretende pragmatismo e supporto dalla società. Incomincia con il valorizzare una rosa precaria, adattandola alle sue idee. Organizza al meglio i suoi ragazzi ed i risultati migliorano. Con i suoi fedelissimi si confronta, corregge le imperfezioni rendendole punti di forza. Parla costantemente ai giocatori, li motiva sempre. I suoi discorsi costituiscono lo stimolo ideale, mentre la gente percepisce la soglia della nuova era. Klopp, complice la sua esperienza, sa rendere al meglio i concetti complessi in nuove occasioni, nuove circostanze favorevoli. Le prime due annate vanno in crescendo, con la conquista di un piazzamento Champions, lontano ricordo negli anni precedenti. Jurgen, un giorno, esce con una richiesta: nessuno deve toccare la scritta Anfield, situata all'interno dell’omonimo stadio prima dell'inizio della sfida. Scritta dal valore centenario. La toccherà chi sarà il vincitore. La dirigenza incomincia ad acquistare calciatori interessanti, voluti dal tecnico ed analizzati a lungo. Chiunque approdi sotto la gestione del nativo di Stoccarda loda il suo operato, curato nei minimi dettagli. E' la motivazione che spinge Salah a scegliere Anfield: l'egiziano crede nel tedesco, che, a sua volta, è rimasto folgorato da Momo. Gli allenamenti sono mirati a rendere il Gegenpressing completo, lavorando su un giro palla fluido ed una maggior, definitiva, dispensione delle energie. "The Normal One", titolo autofornitosi nel giorno della presentazione, è convinto. Il successo è vicino. Dopo aver centrato e perso l'ennesima finale della carriera, chiama a rapporto i giocatori. A fine di ogni allenamento li carica, li coinvolge sempre di più nella sua mente. Comprensione al primo istante. Mai Liverpool aveva visto tale alchimia. E' il mix con il quale si vive l'intera stagione 2018-2019: calcio champagne e secondo posto, a -1 dal Manchester City in Premier. La rabbia, acquisita ed accumulata dalle sconfitte precedenti è troppa: Jurgen, nel corso d'ogni sconfitta importante, ha intrapreso un tassello, lo ha analizzato e reso a favore. E' il caso della mentalità: concentrazione massima, fattore che è mancato nelle due finali giocate. Questa volta è vietato sbagliare: il cammino verso Madrid è spettacolare ed al suo interno spicca la rimonta sul Barcellona nel teatro di Anfield con il punteggio di 4-0. "You'll never walk alone" intonato a fine partita è da brividi. La squadra che canta e si abbraccia sotto la Kop, storica tribuna dello stadio. Sciarpe al cielo, bandiere che sventolano. Il gelo tre anni prima. L'impronta marchiata del Normal One. Quella canzone lascia un presagio: le condizioni per affrontare l'ultimo atto sono idilliache, frutto della costruzione minuziosa di Klopp. E' ora di affermarsi del tutto, entrare nel Gotha. Nella capitale iberica i Reds contano su un tifo incredibile, che sovrasta quello del Tottenham. Il calore che scioglie il ghiaccio ed apre le danze ad un successo annunciato, 2-0 netto, senza storia. Ora si può esultare. E' completato il tassello che mancava al tecnico per entrare di diritto nell'apogeo. Un anno dopo arriva l’affermazione in Premier che mancava da 30 interminabili stagioni. Le lacrime del tedesco rappresentano con clamore la sua essenza, pura, genuina. Lacrime per il calcio, spezzate da un Covid che ha reso la celebrazione priva di pubblico. Vederlo cantare sotto la Kop con il titolo in mano è solo episodio rimandato. Intanto Jurgen puoi toccare la scritta, lo hai meritato. "You'll never walk alone". Vedere Liverpool, sbocciata, maturata ed affermata per merito di un allenatore che ha la vena per il calcio. Le parole le ho concluse. Jurgen, the beast.