Perseveranza e piedi pensanti hanno permesso a Jorginho di diventare uno fra i migliori centrocampisti d’Europa e pedina inamovibile dell’undici di Mancini. Contro la Repubblica Ceca l’italo brasiliano sfoggia la personalità di fresco campione d’Europa e, pur non brillando, si conferma leader silenzioso (ma efficace) della mediana azzurra.

Dalla Quarta Serie alla Champions. Nel postpartita di Chelsea-City, il centrocampista dei Blues è incredulo: “Una grande squadra che ci ha messo in difficoltà. E tu non molli. Stai lì. E vinci.” Come d’altra parte non ha mai mollato lui. Quando, allora diciassettenne in forza alla Beretti Verona, si trova ad un passo dal rinunciare al sogno, ma stringe i denti (grazie al supporto dei genitori) e va avanti. Quando passa in prestito alla Sambonifacese in Lega pro Seconda Divisione. Oppure quando lascia la confort zone di Napoli, dove il suo talento era esploso, per mettersi alla prova in Premier League. Una prova tosta, perché il campionato inglese è poco congeniale ad uno come lui che non spicca per doti atletiche. Al Chelsea, dove ritrova Sarri, fatica a trovare il feeling con l’ambiente, e neanche la vittoria dell’Europa League nel 2019 smorza le critiche nei suoi confronti. Però lui sta lì e non molla. Con Lampard soffre ma si adatta ad un calcio che gli impone la copertura di spazi più ampi. Finalmente l’occasione arriva con Tuchel che, prediligendo un calcio più elaborato, riesce ad esaltarne le doti.

Punti di forza. Partiamo da cosa Jorginho non è. Non è dotato fisicamente. Non ha la potenza per basare il suo gioco sul corpo a corpo nella riconquista della palla, né l’esplosività per recuperare tanti metri in transizione. E anche la sua tecnica, per quanto purissima, non strappa l’occhio. La sua grandezza sta nel saper dettare i tempi e disegnare traiettorie di gioco, semplici (spesso) ma efficaci (quasi sempre). Prevede i movimenti di compagni e avversari e sceglie di conseguenza il passaggio utile a far avanzare l’azione. Un centrocampista cerebrale, non adatto a tutti i contesti di gioco. Un’identità unica, forse difficile da decifrare. Ma che Mancini ha da subito integrato nella sua idea di gioco.

Dal Blu all’Azzurro. Con 17 presenze in gare ufficiali (come Barella e dopo Bonucci a 19) Jorginho è il secondo giocatore più utilizzato da Mancini nella sua esperienza azzurra. Una pedina inamovibile per il ct che attorno al duo Verratti-Jorginho ha costruito il suo gioco. Sembrava che i due si pestassero i piedi, ma così non è stato: Jorginho interviene in prima battuta, muovendo palla velocemente; al suo fianco Verratti aggiunge estro e imprevedibilità. Contro la Repubblica Ceca Verratti non gioca (ancora alle prese con i postumi della lesione al collaterale), Jorginho sì: lontano dalla prestazione monstre della finale Champions, si è confermato comunque indispensabile. E d’altra parte lo aveva assicurato lui stesso: “Non finisce qui, la fame è sempre la stessa, devo lavorare ancora di più per continuare a vincere con il club e con la Nazionale.” Un Jorginho carico è proprio quello di cui ha bisogno Mancini, perché quando gira il suo numero 5, gira tutta la squadra.

Chiara Saccone