VIII puntata 

La sconfitta nel triangolare aveva momentaneamente ridimensionato le mie certezze, mentre Vittorio, sulle ali dell'entusiasmo per il viaggio a Genova, intensificava i suoi allenamenti aumentando sia la bravura che la notorietà. Era sempre alla ricerca di una perfezione, impossibile, ma allo stesso tempo curava le relazioni con giocatori di altre città. Non bastasse, cercava altri ragazzi che potessero unirsi a noi. 

Che il Subbuteo fosse qualche cosa di più di un semplice gioco, lo avevo capito fin dall'inizio, quando lo avevo visto alla Pizzeria Progresso, ma certamente non immaginavo che sarebbe diventato una Federazione con tanto di tesseramento, rappresentativa Nazionale e responsabili regionali.  
Ora partecipavamo solo a competizioni qualificate e riconosciute. Si incominciava a sentir parlare della possibilità che venisse organizzato un torneo italiano, non solo nella già collaudata formula in singolo, ma anche a squadre. Vittorio guardava avanti senza lasciare nulla al caso. Lo capirono ben presto anche due nuovi ragazzi, Edoardo Bellotto e Nicola Di Lernia che si sottoposero a casa sua, ad una partita di prova per verificare le loro capacità e  capire se fossero in grado di giocare ai nostri livelli. Bastarono pochi minuti e, come gli osservatori che giravano per i campi di calcio della periferia alla ricerca di bravi giocatori, così noi intuimmo che eravamo in presenza di due talenti.                                                      Edoardo e Nicola abitavano in un'altra zona di Mestre,  esattamente in via Cappuccina, che ha preso il nome dalla chiesa dei frati cappuccini che si trova ad inizio strada, in un palazzo edificato dalle assicurazioni INA.

Edoardo Bellotto, mio coetaneo, era il classico ragazzo nato per fare sport, non c’era disciplina o gioco che non sapesse fare, sempre in modo eccellente. L’invidia fortunatamente, non ha mai fatto parte della mia cultura, ma ho molto ammirato questa sua predisposizione, che abbinata alla passione ed all’impegno che ha sempre messo in ogni occasione, gli hanno consentito di arrivare ai vertici. Il suo atteggiamento mai burbero, sempre cordiale e disponibile, anche quando le arrabbiature sarebbero state inevitabili, lo resero presto un elemento fondamentale nello smorzare le tensioni di un gruppo sempre in competizione ed in espansione. Un leader silenzioso, un esempio per tutti. Giocare con lui era divertimento puro. Per superarlo dovevo impegnarmi al massimo delle mie possibilità e a volte non era sufficiente poiché, giorno dopo giorno, diventava sempre più bravo. In attacco, in difesa, nel gioco al volo, tutto gli riusciva con semplicità, sempre con la massima correttezza, dote molto rara fra chi giocava solo in funzione della vittoria. Una domenica pomeriggio, a Padova, in un torneo organizzato in un patronato vicino alla Basilica di Sant’Antonio, Patrono della Città, arrivammo entrambi in finale.                             

La vittoria e la conseguente consegna di una delle coppe più belle che andava ad aggiungersi a molte altre, nelle mensole della mia camera, certamente gratificava il mio ego, ma mi rendeva consapevole che un altro Campione ora calcava le stesse zolle d’erba del mio campo. Forse ero stato una stella, ma certamente non sarei più stato, la più lucente.                                   

Nei paragoni calcistici che ho fin qui proposto ho scritto che io mi ispiravo a Rivera, il “Golden Boy” e stava accadendo un’analogia successa al grande calciatore milanista.
La sera del 28 Maggio del 1969, allo stadio Bernabeu di Madrid, il Milan alzava per la seconda volta la Coppa dei Campioni, battendo per 4 a 1 una squadra Olandese di nome Aiax. I ragazzi del Paron Rocco non sapevano che quella squadra sarebbe diventata fra le più belle e vincenti, così come ignoravano quanto forte sarebbe diventato quel ragazzo dai capelli lunghi e la maglia con il numero quattordici di nome: Johan Cruijff. Alzavo la coppa battendo un amico, colui che sarebbe diventato un “mito”. Campione d’Italia, terzo ai Campionati del Mondo del 1978, la sua fotografia, un’icona su tutti i cataloghi delle squadre Subbuteo, il leader della squadra mestrina che vincerà i trofei più ambiti. Uno dei giocatori più corretti e rispettati nel mondo del Subbuteo, Edoardo Bellotto detto Eddy, che ancora oggi (che si gioca a CDT, come leggerete) è fra i più ammirati e conosciuti giocatori e non solo in ambito nazionale. Da quel giorno, un nuovo personaggio era presente nel mio immaginario, dopo Rivera e Mazzola si aggiungeva il grandissimo giocatore dell’Aiax, il “profeta del gol” come era intitolato un film sulla sua luminosa carriera.            Eddy sarebbe stato Johan Cruijff e mai paragone fu più azzeccato. 

Nicola di Lernia era più giovane di noi di ben cinque anni, una  differenza notevole fra i suoi dodici anni e i nostri diciassette. Colmava la differenza di età con la maturità e l’intelligenza, superiore ai suoi coetanei a cui abbinava un atteggiamento rispettoso per noi, più grandi, che lo rendeva simpatico e gradito. Ho ricordi piacevolissimi di Nicola, minuto nella statura, tenace ed aggressivo, faceva della velocità e del tiro al volo le sue doti migliori.
Un pomeriggio eravamo a casa di Eddy ed io giocavo contro Nicola. Il suo modo di interpretare il Subbuteo lasciava poco spazio allo spettacolo, preferendo la concretezza e basandosi su passaggi corti e lenti che, improvvisamente, come un serpente cobra quando si avventa sulla preda, acceleravano per concludersi con tiri in porta tanto inaspettati quanto per lui redditizi. Poteva la grande Velox perdere con quello “stroppolo”, il piccolo tappo della bottiglia di sughero, per descrivere in modo affettuoso, il mio giovane avversario? Non in quella occasione per fortuna, ma in altre a seguire purtroppo sì. Tenace su ogni pallone, aggressivo su ogni marcatura, benché come detto molto più giovane, non disdiceva il confronto specialmente in quelle situazioni dubbie, che in assenza dell'arbitro, si affidano al fair play dei contendenti, pretendendo la ragione, anche quando non era certa. Oltretutto con un sorriso sempre pronto, che mi disarmava e smorzava totalmente quella rabbia che mi montava dentro quando, questo giovane e piccolo giocatore, incominciò più a vincere che a perdere
Anche Nicola sarà artefice di splendide vittorie. Campione Italiano nel 1979, convocato nella Nazionale Italiana e pilastro della squadra mestrina che per anni gareggerà ai vertici nazionali. Benchè si percepisse che Nicola aveva grandissimi margini di miglioramento, non avevo  certamente la sfera di cristallo per leggere un futuro così blasonato, quindi può essere comprensibile perché nel mio immaginario non lo avevo paragonato, come era successo per Vittorio, Eddy e me, ad un campionissimo del pallone. Scelsi un giocatore olandese anche per la grande amicizia che lo legava ad Eddy, sconosciuto a molti, ma meno famoso di quelli citati. Paragonavo Nicola ad un olandese che rappresentava il "calcio totale", cioè la consapevolezza che ogni atleta potesse interpretare tutti i ruoli, in difesa, a centro campo o in attacco, con lo stesso rendimento. La Nazionale Olandese con il suo calcio innovativo, fatto di pressione sul portatore della palla, raddoppi di marcatura e tattica del fuorigioco, si sostituiva al "calcio bailado" della Nazionale Brasiliana tre volte campione del Mondo. P
er tutti gli anni settanta sarà un esempio molto imitato, arrivando a due finali mondiali, perdendole entrambe, non senza subire ingiustizie arbitrali, a favore delle Nazionali organizzatrici, Germania nel 1974 e Argentina del 1978. Per questo motivo lo paragonai a Rudolf Jozef Krol, un difensore che sapeva adattarsi ad ogni ruolo. Elegante, forte di testa, difficile da superare nell'uno contro uno per la sua forza fisica abbinata alla velocità. Il suo carisma ne faceva una guida per i compagni. Un paragone che ai più potrebbe sembrare poco calzante, fra il mio piccolo e giovane rivale e il "gigante" che giocava nell'Ajax di Amsterdam, viceversa Nicola per me, aveva tutte le caratteristiche che gli stavo attribuendo ed il tempo, ancora una volta, mi diede ragione. 





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