Una bella Italia. Il commissario tecnico, Roberto Mancini, sta costruendo una nazionale che entusiasma, una compagine che diverte, che corre, che verticalizza e che gioca da squadra. Non essendoci un campione che emerge sugli altri come un dio pallonaro, l'unica possibilità di vittoria è il gruppo. Così diceva Chuck Noll, ex allenatore dei Pittsburgh Steelers: "Essendo specializzato in matematica, credevo che tutto fosse uguale alla somma delle sue parti, finché non ho cominciato a lavorare con le squadre. Poi, quando divenni allenatore, capii che il tutto non è mai la somma delle sue parti – è maggiore o minore, a seconda di come riescono a collaborare i suoi membri". Mi sembra che questa filosofia sia ben compresa dalla squadra e che questa filosofia faccia ben sperare come fu per l'Italia mondiale di Lippi. Così Marco Materazzi: "in Germania abbiamo combattuto l’uno per l’altro, l’unità del gruppo è fondamentale. Quelli che non giocano sono più importanti di quelli che scendono in campo, nel 2006 eravamo pronti a vendere l’anima per la nostra maglia".

Ma il gruppo ha bisogno comunque di piedi buoni, di calciatori che sappiano stare in campo e che conoscano a meraviglia come si occupa la posizione di competenza. Barella ad esempio non è un fenomeno (non so se lo diventerà), ma ha voglia di crescere, di comprendere fino in fondo le dinamiche del centrocampo. Così altri giovani o meno giovani che fanno parte di questa squadra, penso a Donnarumma, a Pellegrini, Chiesa, Emerson Palmieri, Verratti, Zaniolo, Kean, tutti giocatori che formano un puzzle che diventa gruppo. L'Italia gioca bene, costruisce, ma non segna, o segna poco. Mancini ha dichiarato di non essere preoccupato, convinto che i gol arriveranno. Non so. A me sembra che il puzzle che sta costruendo, abbia perso un pezzo fondamentale: l'attaccante. Cynthia Lewis dice che: "Ogni pezzo del puzzle che non si adatta ti avvicina alla soluzione". Ecco forse è l'unica speranza che ci resta, ma il Commissario tecnico non può nascondersi dietro un improbabile "i gol arriveranno".

Manca l'attaccante, manca uno che sappia fare gol. In Italia non ci sono più grandi attaccanti, ma buoni giocatori che solo nel proprio club riescono ad emergere. Immobile è uno di questi. Se la squadra esalta le sue caratteristiche allora diventa devastante (6 volte capocannoniere: 3 in Serie A, 1 in Serie B, 1 in Europa League e 1 nella Viareggio Cup), ma se è uno dei tanti sembra mancargli la personalità. I due gol sbagliati ieri sera non sono di certo un caso, visto che nei Club Immobile viaggia con il 60% di gol realizzati per presenza e in Nazionale solo con il 24%. Poi c'è Belotti, un attaccante atipico, tanta corsa ma poco lucido sotto porta; Belotti in Serie A ha realizzato 87 reti, con una media del 40% di realizzazione per presenza. In Nazionale la media scende al 31% e non è certo la caratteristica di Belotti quella di fare il cecchino d'area. Mancini ha convocato Caputo, buon attaccante, maturato negli ultimi anni tanto che in Serie A ha realizzato 41 gol su 89 presenze con l'exploit di 21 gol nella stagione 2019/2020. Ma in Nazionale ha solo due presenze. Potrà essere la prossima sorpresa? Vedremo. E Kean?

Proviamo a confrontare l'oggi con i campioni di ieri, e non vado troppo indietro nel tempo. Nel 1970 in attacco avevamo Prati, Boninsegna e Riva, nel 1982  c'erano Altobelli, Graziani e Rossi, nel 1990 Vialli, Baggio, Schillaci e Serena, nel 2006 Inzaghi, Totti, Del Piero e Toni. Oggi?
Il dato stupefacente è che in Italia non abbiamo più campioni che fanno la differenza. Credo che un ragionamento lo si debba fare, partendo proprio dalle giovanili delle Società professionistiche e da quelle di provincia, dove non ci sono istruttori all'altezza. L'improvvisazione non produce genialità, perché come diceva Seneca: "La fortuna non esiste: esiste il momento in cui il talento incontra l'opportunità". I nostri giovani dove la incontrano?

C'è poi l'aspetto più inquietante, che è quello che abbiamo trasferito ai nostri bambini, ossia l'elogio del risultato e mai del percorso. Non mi riferisco al risultato di una partita, ma all'esito evolutivo del talento. Mi spiego. Oggi proponiamo modelli che sono già definiti, senza mai fare l'analisi di quale sia il percorso fatto dal modello. Oggi proponiamo ai ragazzi il modello Ronaldo, ma cosa sanno i ragazzi dei sacrifici fatti dal Portoghese prima di diventare il genio che conosciamo? Presentiamo sempre il risultato, dimenticando il sacrificio, bollandolo spesso come colpo di fortuna o peggio di raccomandazione. Peccato che poi con possibilità simili, uno diventa Ronaldo e l'altro si ferma a Balotelli.
Scusate, ma Immobile, Belotti e Caputo sono quel pezzo di puzzle in meno. Riusciremo a trasformare un giovane di belle speranze in un talento?