Io mi ricordo (forse anche in modo nitido) una squadra.

Da bambino non pretendevo certo da me stesso la comprensione di ogni sfumatura che un mondo come quello del calcio offriva, per me il calcio era un quadro semplice, quasi monocromatico, un quadro estremamente espressivo che alternava due soli colori, il rosso e il nero. Non me ne vogliate, come potrebbe un bambino amante di uno sport comprendere in modo esplicito il significato di un mondo così grande e articolato? Semplicemente per me esisteva un Milan che giocava le partite e poi le vinceva, non esistevano i tre punti o la qualificazione, la coppa o il mercato, i miei eroi vincevano le battaglie e io esultavo, nulla di più, nulla di meno.

Nel 2003 avevo appena sei anni e la mia prima finale di Champions League era alle porte, non capivo con esattezza e precisione cosa ci fosse in palio ma non importava, l'aria di una finale ha un profumo pungente che sa di fango, erbetta fresca e sudore, essenze che messe insieme si fondono in un aroma solo, l'aroma del calcio. Ricordo bene il divano su cui sedevo con mio padre in quell'occasione, aveva ancora il  classico buon aspetto di ciò che è nuovo, faticavo infatti a sprofondare nel cuscino, forse perché troppo rigido o probabilmente solo perché ero troppo piccolo e quindi troppo leggero.

Ricordo che non capivo, ma sapevo. La squadra scese in campo e tutto era diverso: la gente, il campo, il cielo, solo una cosa restava invariata, gli uomini. Sì, perché il Milan non era tatuaggi, look, outfit, social e foto, erano uomini, semplici uomini, non importava quanto la partita fosse importante perché io vedevo undici uomini calpestare il campo di battaglia per novanta minuti pieni sia in finale che alla prima di campionato.

La finale subito fa sentire la sua pressione, era come se mi sentissi parte della squadra in campo, capii d'essere diventato non un semplice tifoso ma un milanista, capisci? Un milanista.

Io mi ricordo novanta minuti passati senza assistere a un solo gol, perché in questa partita che tutti chiamano "finale" le squadre sono così cattive, così guerriere? Solo dopo capii, quando arrivò il momento, quel momento, il momento di calciare da un punto in particolare. "Come si chiama? Ah, sì, papà lo chiama dischetto" (in questo modo riuscivo a ricordare quello strano nomignolo), ogni volta questa frase rimbombava dentro la mia testa e contemporaneamente andava via un rigore quasi come fosse un sonno durante un lungo viaggio: uno, due, tre, arrivati, prossima fermata usignolo di Kiev...

"Alzala Paolo, Alzala!"

 

Io ricordo uomini chiamati calciatori, io ricordo un luogo chiamato San Siro, Io ricordo un capitano e un mister.

Io ricordo un centrocampo, io ricordo dei tifosi, io ricordo un campo.

Io ricordo, non ricordo proprio tutto ma ricordo una squadra, una squadra chiamata Milan.