Sono le notti della Champions. I momenti in cui le squadre, sotto le stelle luminose che ormai accompagnano al Natale, cercano di lottare contro il tempo, per conquistare la gloria in risposta al passato, ma anche per non arrendersi alle utopie, da sempre nemiche dei sognatori sportivi. C’è chi esce osannato dalla folla e chi, invece, si accascia a terra trafitto dalla superiorità dell’avversario. Entri in un mondo astrale, analizzi la sconfitta e trovi la risposta che sa di vendetta nel tuo stadio, quello che ti ospita per una stagione intera e che canta in coro il tuo inno, la tua identità che mai verrà calpestata, perché splende sotto il cielo stellato, sotto il manto blu della Champions.     

Le sensazioni percepite dall’Inter di Spalletti, che si è lasciata perforare a 10 minuti dalla fine da un gol di Eriksen; una rete che sa di beffa atroce, ma l’unica amara certezza è che il Tottenham è ancora in vita e una vittoria sul campo del Barcellona, comunque vada a finire tra Inter e Psv Eindovhen, porterebbe gli Spurs direttamente agli ottavi. Una sfida, quella di Wembley, che ha fatto capire come la concentrazione e la prontezza di fare cambi siano alla base per meritare il pass dei campioni perché in campo internazionale niente è oggettivo e definito, tutto può essere scritto e il pallone rotola velocemente per non far perdere tempo ai protagonisti in campo. 

E poi, quando allenatori come Pochettino si trasformano in maghi notturni scaccia-fantasmi, tutto diventa più complesso. Si, perché il tecnico del Tottenham ha azzerato ogni commento proponendo un undici iniziale strano, paranormale e distante da ogni logica calcistica; fuori Eriksen e Dier, rispettivamente fantasista e mediano. Già dai primi minuti, questa trappola pochettiana mirava a prendere forma grazie alla scarsa pressione degli Spurs, che per merito dell’Inter, ma anche per intelligenza tattica non hanno optato per una folle partenza. Il tutto per risparmiare quelle energie che poi sarebbero diventate utili nella ripresa, quando l’Inter abbassava il ritmo e credeva di aver espugnato il Tempio. E così è stato. Al minuto 80, dopo una percussione solitaria di Sissoko, la palla passa a Eriksen che batte un incolpevole Handanovic. Fine della favola. L’Inter se ne torna a Milano con 0 punti e vede rimandare la qualificazione agli ottavi all’ultima giornata.

Adesso ci sono solo due rami a cui aggrapparsi, San Siro e il Camp Nou. La squadra di Spalletti non dipende più da se stessa, ma da quello che succederà a Barcellona dove Mauricio Pochettino cercherà di arginare e perforare la tela perfetta catalana. Non sarà facile, perché i blaugrana non fanno regali, ma gli Spurs ci proveranno consapevoli di avere una grande squadra in grado di lottare contro tutti. E nel frattempo Icardi e compagni saranno impegnati in un San Siro sold out (si presume sia così) contro l’esercito di Van Bommel, gli olandesi volanti che incantano l’Eredivise con prestazioni fiabesche; gli occhi dei tifosi saranno sul campo, ma non verrà disdegnato di certo il maxi schermo, nella speranza che a Barcellona succeda qualcosa di positivo. 

Per l’Inter dantesca che desidera riveder le stelle, adesso c’è un momento di pausa e di riflessione. Un po’ come nel Purgatorio, quando Dante e Virgilio venivano accompagnati da Sordello nella valletta dei principi, quella dov’è risiedevano le anime dei principi peccati di negligenza. In quella circostanza, consapevoli che il giorno volgeva al termine, tutto si ferma, arriva la notte ed è tempo di riflettere. La legge divina del Purgatorio imponeva che di notte non può e non deve esserci movimento, perché è impossibile progredire verso la luce divina della salvezza e il rischio è quello di tornare indietro oppure di affidarsi alla casualità estrema.

All’Inter sta succedendo questo; pensare per ripartire. Adesso ci sono due trasferte delicate che diranno veramente qual è il valore dell’Inter, ma la data che tutti i tifosi segneranno sul proprio calendario sarà quella dell’11 dicembre, il martedì delle stelle, di San Siro e i suoi eroi.
Ci sarà un filo diretto con Barcellona, con la speranza che come canta Elodie, gli spagnoli caccino “fuori dalla rambla “ gli inglesi.