Immagino già la reazione di alcuni tifosi dell’Inter che al termine della partita pareggiata contro il Psv Eindhoven hanno innalzato il coro anti Barcellona affermando che un pareggio in una sfida delicata come quella di ieri sera è inammissibile alla luce dei precedenti casalinghi del team guidato da Ernesto Valverde. Oppure ci saranno coloro che si attaccheranno al confine netto tra fortuna e verità appoggiando apertamente la teoria del caso e il mancato apporto degli astri milanesi, da sempre amici dei calciatori dotati di qualità e in grado di aizzare il popolo del Meazza.     

Ecco, la verità però sta in un altro punto. L’Inter ha meritato di retrocedere in Europa League perché non è ancora una squadra in grado di lottare per il vertice e non riesce ad avere un’identità, un gioco appassionante e una cattiveria agonistica degna di ingolosire l’enorme quota di spettatori che ogni domenica popola San Siro. 

Per l’ennesima volta, i nerazzurri si sono dimostrati fallimentari nel coronare un traguardo e un progetto che alla lunga poteva portare un po’ di tranquillità alle casse di Corso Vittorio Emanuele, da sempre vittima dei famosi prestiti con diritto di riscatto che hanno fatto da sfondo alla squadra negli ultimi anni. 

Tutto rimandato o meglio abbandonato. Sì, perché l’Inter ha detto addio alla massima competizione europea nel peggiore dei modi. I ragazzi di Spalletti arrivavano alla sfida con gli olandesi con lo sguardo rivolto al Camp Nou, dove il Tottenham di Pochettino sognava la vittoria, ma era ben conscia che alla luce del successo ottenuto contro i nerazzurri, un arrivo a pari punti avrebbe soddisfatto gli spurs per differenza reti. E non solo gli inglesi non hanno compiuto l’impresa, ma è stata proprio l’Inter a non andare oltre il pari contro un Psv temibile ma non irresistibile.

Non sta a me giudicare l’aspetto tecnico del match anche perché gli errori imperdonabili di Asamoah sono sotto gli occhi di tutti e ora chi si divertiva a criticare Cancelo e a trovare punti deboli al portoghese dovrà riflettere e rivedere i propri piani. 

La concentrazione e l’analisi dettagliata della partita e del momento che stanno vivendo i nerazzurri dovrà riguardare l’assetto societario e i piani futuri del club. Tanti coloro che continuano a considerare l’Inter la vera anti-Juve per giocatori e blasone, ma la verità è che a differenza dello scorso anno i nerazzurri stanno iniziando a mostrare un calo di rendimento e un attenzione non più congrua alle aspettative. La sconfitta di Wembley, il pari di Roma e il crollo in casa della Juventus simboleggiano un po’ una nave che pian piano sta affondando, portando con sé la fiducia che arriverà un aiuto esterno ad evitare il naufragio. Il problema per l’Inter è che questo aiuto divino non esiste perché per vincere c’è bisogno di campioni, ma soprattutto di mentalità. E stasera ai nerazzurri è mancata quella qualità necessaria per strappare i tre punti. 

Verrebbe da personalizzare un famoso brano musicale degli anni 90 in un “notti tragiche, regaliamo un gol”, per sottolineare gli orrori della serata e completare in modo adeguato il diario delle incertezze interiste. E così, Perisic che corre senza un obiettivo, Brozovic che è fuori dal match e Borja Valero che viene soppresso dalle marcature degli uomini di Van Bommel. In alto a comandare si piazza Spalletti, che toglie ancora Politano senza un motivo valido. Non sappiamo più cosa dire. Ci chiediamo insi
stentemente perché l’allenatore nerazzurro si ostina a puntare su Perisic e a togliere coloro che si sentono nel cuore della sfida con passione e voglia di fare.

Ancora non possiamo trovare risposte esaurienti, ma la chiave di lettura e forse il futuro potrebbero identificarsi nella figura di Marotta, neo dirigente nerazzurro. Nella giornata di domani tutto dovrebbe essere reso ufficiale, ma si può già iniziare a pensare al prossimo futuro perché l’ex dirigente bianconero non scherza e non ha paura di prendere decisioni importanti. E forse è il caso di iniziare a prendersi le proprie responsabilità; primo su tutti, la questione allenatore. Premesso che ho sempre supportato Spalletti per serietà e capacità di assemblare la squadra, in questa stagione il tecnico toscano risulta imbalsamato sulle proprie posizioni, senza mai cambiare giocatori e scelte tattiche. I punti regalati dall’Inter vanno dal crollo casalingo dello scorso settembre con il Parma al drastico stop targato Psv Eindovhen. Troppi passi falsi, anche perché in Italia la Juventus è avanti di 14 punti e in campo internazionale rimane la magra consolazione dell’Europa League, se si può definire tale. 

La stagione 2018/19, se finisse adesso, dovrebbe essere considerata fallimentare per le tante parole e il poco arrosto visto sul campo. Gestione errata dei calciatori, incapacità di colpire quando è necessario e carenza di continuità. 

C’è bisogno di cambiare senza appoggiarsi a fortune o miracoli; la storia dell’Inter racconta di uomini di polso e di sceriffi di alta classe. A Manchester la rottura fra dirigenza e tecnico sembra ormai totale: quell’allenatore si chiama Mourinho e suona familiare nella Milano nerazzurra. La storia è fatta per essere scritta e a volte è necessario ricominciare a programmare rifugiandosi nel passato. E il passato recita Mourinho, l’uomo dei record che ha voglia di tornare in alto per l’ultima corsa, per compiere il passo della grandezza, per sognare in alta quota, per confermare che cos’è l’Inter.
Marotta saprà tutto questo, ma è bene ricordare che per tornare a risplendere c’è bisogno di una persona sola, lo Special One.