Sono undici, undici le vittorie consecutive, undici i punti sulla seconda, undici i passaggi eseguiti per arrivare al goal di Darmian.
Undici: numero primo, indivisibile. In senso metaforico i numeri primi rimandano alla solitudine, in quanto sono quei numeri che sono divisibili solo per sé stessi e per zero, ossia che non hanno relazioni con altri che non con sé stessi e con il nulla. Ecco, in questo momento l’Inter è sola, sola davanti a tutti, ma anche, come spesso accade, sola contro tutti. E se Conte dice che “Venire all’Inter è stata la scelta più difficile. Io mi metto sempre in gioco e in discussione e l'Inter è stato il non plus ultra in questo senso” non lo dice per esaltare ancor di più ciò che sta facendo, lo dice perché all’Inter si è davvero soli: criticati quando si perde, ma addirittura quando si vince. E se le vittorie consecutive sono undici, la cosa fa ancora più strano, ma così è.
Dal momento dell’uscita dalla Champions si è parlato solo di quanto l’Inter fosse avvantaggiata, per poi vedere tutte le italiane (Roma esclusa) uscire agli ottavi.
Nella settimana dell’ottava vittoria consecutiva è scoppiato il caso contagi con conseguente rinvio di Inter-Sassuolo. L’Inter avrebbe giocato quella partita con i soli Handanovic e De Vrij fuori dall’undici titolare e contro un Sassuolo che aveva giocato tre giorni prima. Si è detto che l’Inter è stata “fortunata”.
Dopo la nona consecutiva si è detto che il Bologna aveva dominato nel gioco.
Dopo la decima si è detto di tutto. Dai maestri del bel gioco che parlavano solo di percentuali per far valere le proprie tesi guardiolane, a quelli che dicevano che l’inter gioca solo in contropiede, ai complottisti che vedevano nella maglietta tirata di Raspadori un campionato falsato, a quelli che hanno tirato fuori l’eliminazione dalla Champions di tre mesi prima per convincerci che il gioco dell’Inter non va bene. Si è letto di tutto, insomma.
Ma sapete in tutto ciò cosa è rimasto? È rimasto che l’Inter, ancora una volta, domenica è andata in campo e si è presa la sua undicesima vittoria consecutiva, contro un Cagliari affamato di punti e sicuramente più riposato. E tutto ciò con il 53% di possesso palla (avete letto bene!) e con un dominio totale della partita, almeno fino all’80esimo quando il Cagliari, per forza di cose, si è riversato in avanti e l’Inter si è chiusa.

Ma allora ha ragione chi dice che il gioco dell’Inter è un insulto al calcio moderno o ha ragione Conte che si avvia sempre di più a spezzare un dominio durato nove anni? Io penso che la verità, come quasi sempre accade, stia nel mezzo. L’Inter ora gioca male, sono d’accordo. Ma bisogna avere l’onestà intellettuale di dire che non è sempre stato così.
La stagione dell’Inter si può fondamentalmente riassumere in 3 momenti principali (guarda caso un numero primo):

1) 3-4-1-2 e disequilibrio tattico
Inizio stagione: Conte tenta un approccio più aggressivo e offensivo per la sua Inter. Pressing a tutto campo, due mediani e un trequartista dietro alla LuLa. Risultato: disequilibrio tattico, tanti goal fatti e una marea quelli subiti. Il passaggio al 3-4-1-2 si pensava fosse il preludio perfetto per un tentativo di inserire Eriksen, in realtà da trequartista gioca quasi sempre Barella, e alcune volte addirittura Vidal. È in questo periodo che si perdono tanti punti in campionato e partite decisive per il passaggio in Champions.

2) Il ritorno al 3-5-2
Conte, dopo il 2-0 subito in casa con il Real (probabilmente la partita più brutta della stagione), capisce che c’è qualcosa che non va e cerca di tornare alle origini. Il 28 novembre, contro il Sassuolo, vediamo per la prima volta un’Inter diversa: 3-5-2 secco, solidità difensiva, momenti di pressing alto alternati a momenti di attesa, ripartenze fulminee. Risultato: 3-0 e consapevolezza che quella è senza dubbio la strada da seguire. Anche in Champions arriva il cambio di marcia con la vittoria a Mönchengladbach, tutt’altro che scontata, che tiene tutto ancora in gioco. Purtroppo, una settimana dopo, arriva il dolorosissimo pareggio con lo Shakhtar che costa l’ultimo posto nel girone e l’uscita da tutto in ambito europeo. È il momento più difficile della stagione, ma anche l’Inter vista contro lo Shakhtar è un’Inter che ha dominato la partita dall’inizio alla fine contro una squadra venuta a San Siro solo ed esclusivamente per lo 0-0. Probabilmente, in quel caso, è mancata soprattutto la qualità tecnica per giocare nello stretto contro una squadra che si è chiusa ermeticamente, ma anche quella arriverà. Arriverà perché il 26 gennaio succede l’inimmaginabile. Quel 97esimo ce lo ricordiamo tutti molto bene. Il maestro danese suona la sua sinfonia più bella e ci fa vincere un derby che, soprattutto psicologicamente, sposta tanto. Da quel momento l’Inter fa quello step in più, con la presenza sempre più costante di Eriksen nell’undici titolare, prima come regista, poi come mezz’ala. La qualità tecnica in mezzo al campo si alza vertiginosamente e l’Inter ingrana la quarta. In questo periodo l’Inter gioca il miglior calcio della stagione. Dominio della partita alternato a momenti di attesa e ripartenza, momenti di pressing alto alternati a momenti di baricentro abbassato. È un Inter che finalmente capisce i momenti della partita, è un Inter solida, è un Inter che quando ha la palla gioca divinamente a calcio. Il tutto culmina con la splendida vittoria nel derby, un 3-0 che sa di sentenza. Da qui in poi non ci sarà più storia.

3) Solidità e cinismo verso qualcosa di troppo importante
Nella partita contro l’Atalanta dell’otto marzo per la prima volta vediamo un Inter decisamente diversa, una squadra che si chiude con undici giocatori dietro la linea di metà campo, che si difende 5-4-1 con Lautaro a fare l’esterno di centrocampo, una squadra che, però, quando riconquista palla, con campo davanti, è sempre in grado di far male. È un Inter brutta, lo penso anch’io, ma allo stesso tempo estremamente efficace e solida. Quell’1-0 con l’Atalanta è un risultato che spezza le gambe alle inseguitrici. Da qui in poi l’Inter sarà questa: brutta, sporca, difensivista, tutto quello che volete; ma incapace di perdere.

Ma quindi questa è una squadra che non sa più giocare a calcio? Assolutamente no. Che piaccia o non piaccia l’Inter ha già ampiamente dimostrato di saper giocare a calcio, eccome se lo ha dimostrato. 68 goal fatti (non male per una squadra che fa catenaccio), di cui 13 arrivati dopo azioni con 8+ passaggi (non male per una squadra che gioca solo in contropiede).
Semplicemente ora l’Inter non ha più nulla da dimostrare a nessuno. Ora che mancano sempre meno partite alla fine, ora che ogni partita vinta è un passo verso la fine di un dominio, ora che quello per cui si è lavorato quattro anni è lì ad un passo, si è deciso di serrare i ranghi, di evitare ogni tipo di rischio, di giocare sui propri punti di forza, di mettersi tutti a disposizione del collettivo verso qualcosa di più grande, qualcosa che a Milano manca da davvero troppo tempo. E, a questo punto del campionato, chissenefrega se si gioca male, se si fa il 30% di possesso palla o se Cassano non apprezza. A questo punto l’unica cosa che conta è quel traguardo finale, quel qualcosa di bellissimo, quella cosa che solo a nominarla mi vengono i brividi. L’Inter non è che non riesce a giocare meglio di così, anzi ha ampiamente dimostrato il contrario, l’Inter ha semplicemente deciso di voler giocare così, e, piaccia o non piaccia, si è rivelata una scelta più che azzeccata.
Per cui, prima di criticare a prescindere solo perché una cosa non rientra nel proprio gusto personale, prima di aprire un dibattito su come si debba giocare a calcio, prima di prendere posizioni rigide che non servono a nulla se non a fossilizzarsi su preconcetti e a fare la guerra su cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, bisognerebbe essere in grado di analizzare tutto il contorno, tutta la situazione, ricordando anche ciò che c’è stato prima: analizzare solo ciò che porta acqua al proprio mulino è troppo facile, e non serve a nessuno.
Ora, come dice Conte, sarebbe il caso che se ne stessero tutti zitti, perché, sinceramente, ne abbiamo sentite anche troppe.