Se certamente si può affermare che il mese di agosto sia ormai archiviato, è altrettanto vero che ugualmente non può dirsi per l'estate, nemmeno lontanamente agli sgoccioli, o almeno non in Italia, dove le temperature resteranno roventi ancora per un bel po'. Chissà che questo clima arido possa accompagnare fino in fondo il calciomercato, slittato di circa un mese a causa dell'emergenza "Covid-19" con chiusura prevista per il 5 di ottobre. Difficile pensare che anche in quel momento possano regnare i famigerati "quaranta gradi centigradi", ma insomma ormai, dopo aver visto la Champions League a ferragosto, tutto sembra essere possibile. 

O almeno quasi, perché come ogni anno, anche stavolta certi sogni d'estate sembrano essere destinati a rimanere tali: inutile rimuginare sul tanto agognato tema Messi-Inter, il quale continua a scemare sempre di più, di ora in ora, perdendo quota come un aereo colpito dalla flotta nemica. Ma non allarmatevi, non sono tornato qui per continuare ad infierire sull'argomento, poiché da tifoso neroazzurro sono consapevole che non sia proprio il caso. E così dunque, messo da parte Messi (scusate il gioco di parole, ma non ho resistito) non resta che lasciare tutto nelle mani del sergente Antonio Conte, l'uomo più chiaccherato del momento in casa interista, confermato per l'ennesima volta in seguito ad una sfliza di polemiche, che nemmeno la domenica nei salotti di Barbara d'Urso. Senza contestare in modo alcuno la scelta della società e del presidente Zhang, il quale ha deciso di affidarsi con estrema fiducia al tecnico salentino anche per la prossima stagione, nell'indole del tifoso interista sorge comunque un amletico dubbio, quasi naturale: "non è che finirà male anche stavolta, vero?"

Chi conosce la storia del club interista, perché l'ha vissuta direttamente o magari scoperta come me in quanto giovane, può di certo capire quello che intendo, poiché tornando soprattutto al periodo a cavallo tra il tramonto della presidenza di Ernesto Pellegrini e gli esordi della gestione targata Massimo Moratti, i fallimenti in casa neroazzurra sono stati davvero moltissimi. In particolare, quelli legati alla scelta degli allenatori, con nomi dal grande fascino accompagnati spesso da poca sostanza in campo, lasciano ferite profonde sulla pelle di chi durante quasi tutto il trascorrere degli anni '90 ha dovuto trascinarsi al seguito di una squadra dalle performance altalenanti, incapace di emulare gli straordinari successi delle rivali.

Dalla storica stagione dello scudetto dei record conquistato da mister Trapattoni infatti, l'Inter smette di vincere titoli in patria, trasformandosi in una formazione di seconda fascia, esperta di successi soltanto in Coppa Uefa, con un incredibile susseguirsi di fallimenti clamorosi nella principale competizione nazionale. Dalla sfilza di scudetti vinti dal Milan e dalla Juventus, all'indecifrabile stagione disputata nel 1993/94 con il brivido della retrocessione a spaventare la storia di un club così glorioso, salvatosi a malapena di 1 punto. Senza contare gli innumerevoli acquisti di calciatori etichettati come fenomeni prima di sbarcare a Malpensa, per poi trasformarsi in autentici bidoni da rivendere il più rapidamente possibile, onde evitare di rivederli in campo con la maglia neroazzurra.

Tra le tante vicende bizzarre, occupa un posto d'elité quella legata al brasiliano Roberto Carlos, letteralmente fuggito dall'Inter dopo esser stato violentato tatticamente da un allenatore, il quale lui stesso apostroferà come un incompetente in materia di calcio, e che per alcuni rappresentava una sorta di guru del pallone: stiamo parlando del buon vecchio Roy Hodgson.

Perché rispolverare un cimelio così antico e impolverato della storia neroazzurra?

Bene, perché la vicenda inerente al rapporto mai decollato tra Antonio Conte e Christian Eriksen rischia di trasformarsi in una storia già vista dalle parti di Milano. Infatti, secondo quello che fu il protagonista di uno sketch della "Gialappa's Band" in merito alla pronuncia del suo cognome, il terzino verdeoro acquistato per 7 miliardi di lire dal presidente Massimo Moratti, rappresentava un giocatore alquanto indisciplanato, incapace di adattarsi al suo stile di gioco ed al quale dichiarava apertamente di preferire un modesto gregario come Pistone. Incastrato dalla mentalità chiusa del "british man" alla guida dell'Inter, colui che di lì a poco sarebbe divenuto un fuoriclasse in grado di vincere tutto con il Real Madrid e la sua nazionale, decise di chiedere la cessione per abbracciare la causa di Fabio Capello in Spagna. Ed è un po' quello che potrebbe accadere prossimamente se Antonio Conte dovesse continuare a relegare il centrocampista danese al ruolo di "scalda-panchine", preferendogli la goffa presenza di un non esaltante Roberto Gagliardini, con quello che sarebbe l'ennesimo assurdo errore di valutazione di fronte ad un potenziale top player. Certo, bisogna doverosamente aggiungere che il buon vecchio Roy riuscì a farsi mandare a quel paese perfino da Javier Zanetti (e qualcosa vorrà dire), mentre invece il tecnico salentino sembra godere del pieno appoggio di gran parte dello spogliatoio, senza contare che il suo palmares è indubbiamente superiore a quello dell'allenatore inglese, capace di vincere titoli solo in scandinavia. 

Resta comunque un monito per la dirigenza neroazzurra, che con uno sguardo rivolto al proprio passato può osservare una collezione di colossali allucinazioni in chiave di interpretazione del reale valore di un calciatore, con acquisti o cessioni che in apparenza sembravano brillanti intuizioni di mercato, ed invece si rivelavano ben presto clamorosi buchi nell'acqua. Il motivo di tali inspiegabili eventi non lo si conosce ancora, forse era tutto organizzato da qualcuno per rendere l'Inter sempre più ridicola agli occhi dei detrattori, o magari in realtà faceva tutto parte di un romanzo più vasto, in cui non possono di certo mancare le vicissitudini in cui il protagonista rimane irrimediabilmente coinvolto, per poi scrivere eroicamente la storia del proprio riscatto

Con la speranza che la sconfitta in finale di Europa League sia solo una "simpatica" coincidenza archietettata dal destino per accomunare momentaneamente le esperienze dei due allenatori sulla panchina neroazzurra, ci auguriamo per il bene non solo dell'Inter, ma dell'intero calcio italiano, che almeno stavolta la storia possa evitare di ripetersi.