Sembra quasi un’occulta maledizione quella che ha colpito l’universo nerazzurro, e che rincara la dose ogni volta che il binomio “partita decisiva” incrocia il suo percorso con la Champions League.  
L’Inter non convincente, (senza alcun dubbio), di questo avvio di stagione arriva con il fiato corto alla partita con lo Shakhtar Donetsk, dato che non può concedersi risultato diverso dalla vittoria se vuole proseguire il proprio cammino europeo.  

Nonostante le buone premesse scaturite dall’ultima vittoriosa trasferta in Germania della scorsa settimana, tra le due compagini termina a reti bianche ed il pareggio condanna la formazione guidata da Antonio Conte all’eliminazione non solo dalla Coppa dei Campioni, ma anche dalla finestra rappresentata dall’Europa League.  
Un fallimento su tutta la linea, tanto per dirla semplice, in cui non manca la presenza di tante attenuanti come alcuni incredibili episodi, che però non possono in alcun modo giustificare un percorso che definirei un po’ troppo barcollante
Come due anni fa, anche stavolta è un solo goal a fare la differenza tra la gloria e l’oblio: con il PSV finì 1 a 1, con l’illusione della rete di Icardi nel finale a riaccendere delle speranze, poi spente da un secondo centro mai arrivato.  
Anche stavolta sarebbe bastato metterla dentro una volta in più degli avversari, per riapprodare agli ottavi di Champions League, ma come in occasione del match disputato contro gli olandesi, la formazione nerazzurra non è riuscita nella propria impresa. 

La partita non era semplice, e non lo si può di certo nascondere, ma le diverse occasioni create e non concretizzate lasciano una sensazione di amarezza, che soltanto qualcosa di importante in campionato, riuscirà a compensare.  
Ma siamo davvero sicuri che almeno lì si riuscirà a combinare qualcosa di buono? 
È un’Inter davvero strana quella di Conte, spesso e volentieri frutto di scelte indecifrabili, con un Eriksen di troppo, almeno secondo l’opinione del tecnico salentino, ma probabilmente essenziale nei fatti, per una squadra che fatica incredibilmente quando deve giocare di fronte a delle difese schierate come quella degli ucraini nella fattispecie di ieri sera. 
È un’Inter spesso e volentieri prevedibile, che cerca sempre le stesse giocate sugli esterni, oppure la palla sui piedi per uno dei due attaccanti, che a sua volta cerca di combinare con i compagni per guadagnarsi la conclusione: mai un tiro dalla distanza, soluzione improponibile forse, oppure una palla in verticale che spezzi la linea difensiva avversaria.  
Probabilmente ciò coincide con una visibile mancanza di personalità da parte dei giocatori che scendono in campo, i quali non rischiano praticamente mai l’azzardo nell’arco dei 90 minuti, cercando invece sistematicamente le stesse identiche trame, puntualmente neutralizzate dai difensori avversari. 
È un’Inter senza fantasia, poco dinamica, incapace di adattarsi alle partite e volgerle a proprio favore creando episodi che possano sbloccarle; in generale una squadra poco matura, la quale adesso deve interrogarsi seriamente sui propri obiettivi. 
Quindi, mi permetto di suggerire una domanda al mister e ai giocatori, che in cuor mio spero si pongano reciprocamente: ma noi, chi siamo davvero?  
L'Inter, adesso come non mai, deve scegliere quale strada intraprendere per il proprio futuro: da un lato c’è la concreta opzione di rimanere una squadra mediocre e ricalcare i primi anni 2000, quando viveva all’ombra dei successi di Juventus e Milan, mentre dall’altro si potrebbe finalmente pensare di crescere e cercare di inseguire gli stessi sogni conquistati sul campo durante la gestione Mancini-Mourinho. 

Sia chiaro, questo club non ha gli stessi mezzi tecnici della formazione guidata dal Mancio, né tanto meno si potrebbe chiedergli di emulare le grandi imprese del 2010.  
Quella lì era di certo un’altra Inter, ormai svanita quasi del tutto come una fotografia in cui non si riesce più a cogliere le fattezze della persona raffigurata. E adesso, conseguenza gravissima di un’eliminazione scottante sotto ogni punto di vista, si comincerà con insistenza a parlare di scudetto, anche se ahimè ne sono amaramente convinto, non si riuscirà a vincere nemmeno quello. 

Se vi state chiedendo le motivazioni delle mie catastrofiche idee sull’avvenire della squadra allenata da Conte, vi risponderei dicendo che sarà un’altra stagione senza infamia e senza lode con l’ennesimo secondo/terzo posto; perché se per paura di perdere contro gli ucraini, non alzi i ritmi di una partita che poi scivola sullo 0 a 0, e sei ben consapevole che tale risultato ti condannerà al nulla cosmico... allora c’è poco da aggiungere. 
Da bambino sono cresciuto nel mito di un’Inter incapace di arrendersi, una squadra in grado di lanciare grandi messaggi di vita, oltre che gioie o dolori sportivi: le lacrime di Esteban Cambiasso in un Inter-Catania, pareggiato 2 a 2 con la forza della disperazione non potrò mai dimenticarle, perché in un certo senso erano il simbolo di ogni interista in quel preciso momento
Fragili sì, ma uniti per un’unica causa, questo era il mantra di quel recente passato, anche se tale obiettivo appare ormai sbiadito, e proprio per questo bisognerebbe interrogarsi sulle proprie intenzioni. 
Fare un passo avanti è ancora possibile, anzi lo sarà sempre, ma per riuscirci serve gettare il cuore oltre l’ostacolo, ed essere appassionati come noi tifosi che dal primo all’ultimo incontro ci emozioniamo di fronte ad uno schermo.  

Caro Antonio, metti da parte la logica per una volta se puoi, e cerca di tirar fuori il meglio dai tuoi ragazzi, e vedrai che con la fantasia, uno dei motivi principali che rendono il calcio qualcosa di magico, riuscirai a sconfiggere anche la sfortuna