Chi si aspetta da Juventus-Inter una partita senza polemiche, senza veleni, senza qualche scaramuccia, allora non ha ben chiaro che quello di cui parliamo è il derby d’Italia. Sì, è semplicemente il match più sentito della penisola, con buona pace di tutti gli altri sostenitori nazionalpopolari.
Questo non giustifica mai quanto accaduto ieri: il finale è censurabile sotto ogni punto di vista, non ci sono se e ma. In attesa di chiarimenti su quello che è accaduto a livello “extra”, è urgente, per il popolo nerazzurro, porsi un quesito: è la partita della svolta?
Nel girone di andata, Inzaghi fu al centro di infuocate voci che lo volevano ben presto lontano dalla panchina meneghina. Poi, nella gara che alla vigilia ci vedeva vittime sacrificali, il tecnico piacentino ha tirato fuori dal cilindro una prestazione mostruosa contro il Barcellona, bissandola al ritorno in Catalogna, dando il via ad un buon trend che ha permesso di recuperare qualche posizione (pur con ormai un ritardo incolmabile dal Napoli capolista).
Ora siamo di fronte ad una situazione analoga: le tre sconfitte consecutive in campionato hanno fatto precipitare le ambizioni per il secondo posto, con il piazzamento in Champions League che scotta come mai in stagione.
La gara con la Juventus, a 30 secondi dal gong, sembrava aver messo un macigno sull’umore della Beneamata, che invece ha trovato un episodio favorevole (finalmente) il quale ha contribuito a rilanciare almeno dal punto di vista nervoso ed emotivo una squadra smarrita, impaurita, incapace di reagire quando subisce e soprattutto in enorme difficoltà nel segnare. Quest’ultima condizione, parliamoci chiaro, non è passata: abbiamo siglato solamente 2 gol su rigore nelle ultime settimane, un bottino misero in proporzione alla costruzione (una valanga di tiri in porta messi a referto senza riuscire a capitalizzare).
Ma il punto è solamente uno: pareggiare su penalty all’ultimo istante contro la rivale storica era forse quanto di meglio ci si potesse aspettare. Per assurdo, anche più di una larga vittoria. Perché, in quei frangenti finali, si è rivisto lo spirito interista, vero fantasma nelle ultime uscite. La fame e l’orgoglio di Dzeko per l’1-1 ottenuto andando a festeggiare nello spicchio riservato ai supporters nerazzurri dopo il gol di Lukaku che ha sancito il punteggio conclusivo sono il manifesto di un ritrovato (speriamo) entusiasmo, necessario per affrontare la doppia sfida contro il Benfica che, e non lo scrivo per alcuna scaramanzia di sorta, rappresenta un ostacolo attualmente insormontabile, se prendiamo come riferimento gli stili di gioco così differenti proposti dalle due contendenti nell'anno in corso.
Riuscire a risollevare le sorti della qualificazione in finale di Coppa Italia, obiettivo ormai fondamentale per chiudere la stagione con un altro trofeo oltre alla Supercoppa, potrebbe significare risollevare l’intero finale di una stagione che è probabilmente la più dicotomica almeno da quella targata 1993/94, che vide una squadra rischiare clamorosamente la retrocessione in cadetteria e, contemporaneamente, vincere la Coppa Uefa. Ecco, per un epilogo del genere (piazzamento anonimo in campionato e trionfo in campo internazionale) ci metterei la firma, ma se riuscissimo a percorrere entrambe le strade in modo equilibrato credo che nessuno ci resterebbe male.

La partita

Sicuramente è stato molto meglio dello spettacolo (si fa per dire) a cui abbiamo assistito in campionato. Certo, siamo ancora lontani dagli incontri top per cui piacerebbe a tutti gli appassionati sviluppare delle analisi e fare a gara a chi si ricorda più highlights, ma la realtà è che di occasioni vere, da una parte e dall’altra, se ne contano sulle dita di una mano. E non a testa, ma insieme. C’è però qualcosa che mi consola, da Interologo: il secondo tempo disputato. Nonostante lo svantaggio e il fatto che rischiassimo per l’ennesima volta di subire un ko, abbiamo letteralmente preso il campo, giocando costantemente nella metà campo avversaria, fino ai cambi.

E qui, arriviamo ad uno dei punti critici: Inzaghi, ci spiegherai un giorno il metodo delle tue sostituzioni, degno successore del metodo delle formazioni che non ti aspetti? Davvero, personalmente fatico a comprendere questo. Allegri, per quanto il suo gioco sia assolutamente criticabile, ha il grande merito di mettersi in discussione e di rischiare qualcosa, anche a costo di far venire il muso lungo ad un campione del mondo e ad uno dei più grandi talenti della storia del calcio recente quale Angel Di Maria. Noi, invece, a meno di cartellini gialli, agiamo sempre secondo copione. Vedi Lukaku, esce sicuramente Dzeko. Vedi Gosens, esce Dimarco. Vedi Asllani e pensi: allora ancora c’è speranza, anche per l’ex allenatore biancoceleste. Sul centrocampista ex Empoli ci sarebbe da sviluppare una trattazione a parte, ma vederlo affacciarsi anche solo per un ritaglio in un match così importante mi ha fatto piacere. Merita maggior fiducia, dobbiamo avere il coraggio di lanciarlo e sperimentare (Fagioli e Miretti stanno accumulando esperienza, quanto tornerà utile ai bianconeri questo anno di transizione?).
Tornando al momento in cui Chiesa, anche solo con la presenza, ha stravolto il gioco bianconero, noi ci siamo spenti e abbiamo lasciato incredibilmente campo a Cuadrado. Peccato, perché la prestazione, tutto sommato, era stata sufficiente. Certo, il problema del gol è qualcosa che va assolutamente risolto. Lautaro Martinez è un fuoriclasse, chiunque lo nega non può dirsi amante del gioco del calcio. Però, che abbia dei margini di miglioramento e che sia ancora inespresso, è anche questo fuori discussione. Non è possibile averlo sempre a periodi: ci sono mesi in cui segna anche stando fermo, ed altri che non riesce a indirizzare la sfera verso lo specchio quando ne ha l’opportunità o, nella peggiore delle ipotesi, non si vede neanche comparire.

Dunque, che ci lascia questa sfida? Sicuramente, in chiave qualificazione ci prendiamo un risultato fondamentale. La cosa che conta, però, è l’idea di aver ritrovato quella cattiveria agonistica e quella voglia sopita in troppi calciatori. L’ambiente si è riscaldato e la passione di San Siro non è mai stata nascosta: che sia davvero il trampolino per il gran finale?
Tra due mesi, ne riparleremo.

L’Interologo