Siamo tifosi e, in quanto tali, ci piace prenderci in giro per difendere i nostri colori. La colpa, probabilmente, è nostra, ma anche (soprattutto) degli interpreti principali del calcio: dai presidenti agli allenatori, dalle conferenze stampa agli articoli sensazionalistici sui maggiori quotidiani sportivi. Si parte dalla contestazione del var nelle interviste post-partita, molte volte senza nemmeno conoscere bene il regolamento, per finire con i tweet delle "celebrità" che si indignano solo quando l'episodio è a loro sfavore.

In tutto questo marasma, come se non fosse già abbastanza, si aggiunge una giustizia sportiva invocata ed accettata a piacimento, forse perché, negli anni, la credibilità è andata scemando sempre di più. Se si invoca la penalizzazione (eticamente giusta) quando non si sono trovati elementi per condannare la Juventus a causa del tentativo di tesserare Suarez in maniera molto poco trasparente, non possiamo far finta di dimenticarci di chi fece addirittura peggio e venne salvato dal cambio di regolamento a campionato in corso: il riferimento va ai famosi passaporti falsi. Vogliamo parlare, poi, della sopraggiunta prescrizione per casi come l'abuso di farmaci o delle intercettazioni di calciopoli nascoste perchè ritenute "non rilevanti"? Sono casi per i quali non dovrebbe esistere la possibilità, almeno per quanto riguarda il codice sportivo, di far cadere il reato in prescrizione.

Con queste premesse arriviamo ad analizzare il caso delle plusvalenze. Prima della recente condanna della Juventus a 15 punti di penalizzazione, altre squadre sono passate per la lente di ingrandimento riguardo le varie operazioni sospette. In tutti i casi si è stabilito che non è possibile dare una valutazione oggettiva ad un giocatore. La discriminante che ha permesso di condannare la Juventus è l'ammissione da parte di alcuni soggetti che alcune operazioni non rispecchiavano la valutazione dei giocatori. La credibilità di questa scelta viene meno, nel momento in cui le società implicate in questi scambi non vengono condannate, perché non è provata la mancata buona fede; e qui mi chiedo: può un presidente di una società di calcio, che si avvale anche dell'aiuto di altri soggetti, valutare male un calciatore che è causa di una plusvalenza "fittizia"?
E la domanda successiva è: possibile che tutte le squadre coinvolte (visto che nella sentenza si parla di illecito ripetuto e prolungato) abbiano commesso lo stesso errore in buona fede e non si siano accorte che la Juventus le stava "truffando" con plusvalenze fittizie?

Per essere chiari, la condanna sarebbe anche giusta, se e solo se, in Europa, nessuno facesse ricorso a tali pratiche, ma trovare qualche società che non usi le plusvalenze fittizie è ormai un caso eccezionale. Se a tutto ciò aggiungiamo il contorno dell'anti-juventinità dimostrata del procuratore, delle interviste dalle quali si sono prese le distanze, con questa sentenza si è giunti a rasentare il ridicolo, tanto quanto l'Uefa con il fair play finanziario.