Il lunedì mattina è il momento perfetto per dare libero sfogo alle critiche sui weekend calcistici appena trascorsi, spesso avvincenti ma avari di risultati positivi. Schemi di gioco, formazioni, titolari, sostituti e sostituiti, assegnazione di ruoli, responsabilità e deresponsabilizzazioni, imprudenze nell’acquisto o negligenze nella cessione di giocatori-chiave e così oltre; tutti gli appassionati s’infilano puntualmente nei panni dei presidenti, degli agenti, dei preparatori atletici e, soprattutto, degli allenatori, assicurandosi un posto nel club di quelli che “poi” sapevano tutto “prima”.

Sono momenti incantevoli nei quali la pesantezza del quotidiano evapora e la creatività fiorisce.

S’immagini di essere proprio lì, in uno di quei lunedì mattina, magari davanti a un buon caffè e in compagnia di qualche amico, e di voler illuminare l’uditorio sia sui tratti tipici dell’allenatore perfetto o di quello che, sotto-sotto, tutti vorrebbero essere.

La gestione del gruppo sarebbe la prima caratteristica fondamentale. Qui il “modello” è Gasperini, i cui meriti sono sotto gli occhi di tutti: credere nella squadra, avere una precisa idea di gioco e su come mantenere una rosa altamente competitiva nel tempo, portare il team in Europa League prima e in Champions League dopo. Come ogni ottimo leader, un allenatore deve costruire il gruppo che serve per raggiungere gli obiettivi nel più breve tempo possibile. Un modus operandi, questo, che richiede pazienza, empatia e intelligenza strategica: tutte caratteristiche che emergono con forza in uno dei pensieri più ricorrenti in Gasperini, ovvero che «… non bisogna stressare i giocatori, ma farli divertire. Faticano, ma nella fatica si esaltano».

La grinta, altra qualità imprescindibile. Conte è un esempio sulla fermezza e sulla passione necessarie per guidare una squadra di calcio. La grinta così intesa non è indissolubilmente legata alla vittoria o a risultati positivi nel medio-lungo periodo, ma al coinvolgimento emotivo e alla passione che suscita in tutti coloro che vivono di, o per il, calcio. L’allenatore grintoso è per natura carismatico, riesce a trascinare tutto il team e a mantenere alta la tensione vivendo “ogni maledetta domenica” come se fosse l’ultima o la più importante della sua vita. 

Per quanto possa sembrare un accostamento ossimorico, anche la maniacalità, nei limiti della normalità, è un requisito basilare. Su questo fronte Sarri insegna molto, e a coloro che bevono da decenni il caffè del lunedì questo grande sportivo riporterà alla mente il leggendario Arrigo Sacchi. Il mister “maniacale” è un allenatore esperto, un fine tecnico e un instancabile lavoratore. Mentre la persona normale prende qualche pausa, l’allenatore perfetto studia i video delle partite precedenti e svolge continuamente riunioni finalizzate al miglioramento dell’efficacia del team nel suo complesso.

Esperienza e flessibilità, invece, più che semplici requisiti sono il sale della professione di cui stiamo parlando. Doti, queste, entrambe possedute da Carlo Ancelotti. L’allenatore maturo sa bene che la tecnica e le tattiche devono essere adattate ai giocatori che, di volta in volta, si hanno a disposizione; così come l’allenatore flessibile sa bene che serve esperienza per riuscire ad affrontare il gioco riadattando costantemente il proprio stile. Con queste caratteristiche non c’è mai sconfitta: o si vince o s’impara, o entrambe. Basta ricordare la querelle perugina del 2000 e quella di Istanbul del 2005; entrambe partite drammatiche per il mister, che però l’hanno fatto crescere e maturare ancora di più. Per essere un grande occorre aver vinto molto, ma anche perso.

La speranza di trovare tutte queste caratteristiche in un unico allenatore, si spiega col desiderio di ridurre al minimo l’incidenza del caso. Ma la nostra è l’era dei Big Data, un umanesimo 2.0 che imporrà di qui a breve anche un calcio 2.0. Grinta, gestione del gruppo, maniacalità, esperienza, flessibilità, sono tutte caratteristiche essenziali, ma non sufficienti per ridurre al minimo la casualità: il miglior allenatore del mondo continuerebbe a dire, in caso di sconfitta, che «… ai punti avrebbe vinto». Ma di quali “punti” si parla? Perché nell’epoca contemporanea esistono dei dati, non dei “punti”; e i dati si analizzano per ricavarne informazioni decisive sulle potenzialità dei giocatori, su quelle degli avversari, sulle loro debolezze, sulla probabilità d’infortunio, e così oltre. Questo approccio è oggi agli albori, ma il futuro è lì. Un esempio su tutti, lo ha portato Davide Nicola. L’ex mister di Crotone e Udinese lavora da ormai qualche tempo, con l’Università di Pisa per interpretare i numeri del calcio, con l’obiettivo di rendere al meglio la rosa a disposizione. Altri grandi allenatori, incominciano a capire l'importanza della matematica nel calcio, affidandosi a match analist. Ma per ambire alla completezza del ruolo, è necessario sviluppare in sé stessi, conoscenze analitiche e nuovi approcci statistici.

 

Il gioco del calcio, come lo sviluppo di ogni grande azienda, rimarrà sempre in qualche misura imprevedibile; ma il nostro compito, da allenatori o lavoratori comuni, è quello di cooperare per lo sviluppo di queste meravigliose realtà, contro (e mai a favore) l’incidenza del caso.

 

                        Filippo Baldini