Il calcio italiano sta entrando in una nuova epoca, o per meglio dire, sembra stia tornando ai fasti di quella vecchia, che rese la Serie A degli anni '90 il campionato più bello ed avvincente del mondo. Ai tempi del Foggia di Zeman dei giovani, della Cremonese del giovane Colonnese e di Florijancic, del Cagliari di Oliveira, Dely Valdes e Bisoli, del Vicenza della semifinale di Coppa delle Coppe contro il Chelsea trascinata da Pasquale Luiso, e così via. E questo giusto per far capire che ogni squadra di quegli anni aveva un suo gran giocatore, riconosciuto da ogni tifoso italiano, ed ogni partita era avvincente ed entusiasmante.

Adesso, purtroppo, il campionato italiano è solo l'ombra di quello che fu e molte partite hanno perso il loro fascino, ma qualcosa sembra che stia iniziando a cambiare. E a far soffiare questo vento che sa di revanscismo è il Milan, che nella giornata di ieri ha continuato a stupire l'Italia, prima ancora dei suoi tifosi, acquistando sia Bonucci con una operazione lampo, sia Biglia, capitano dell'Argentina e uno dei migliori centrocampisti del campionato scorso. Una prova di forza massiccia ed imponente, che sta cogliendo impreparati tutti, con buona pace degli scettici sulla nuova proprietà e sul volume di fuoco economico di cui poteva disporre.

E ovviamente, la domanda serpeggia rapida e mica tanto sommessa: e l'Inter? L'Inter sembra al palo in questo momento, i tifosi invocano ad alta voce nuovi acquisti, e diverse testate si fanno quella che ormai è la domanda di rito: ma Suning perchè non mette i soldi se è così ricca?

La verità è tanto semplice quanto banale, e dolorosa. Non è che Suning non abbia i soldi, il fatto che siano una azienda fortissima a livello economico ormai lo sappiamo tutti. E non è che non vogliano metterli, vista comunque la cura nell'iniziare la costruzione di nuove infrastrutture e i recenti acquisti di Skriniar e Borja Valero, per non parlare degli investimenti nella ricerca di giovani talenti. Semplicemente, non possono.

Come è possibile? E' presto detto. Tutti si sono concentrati sulla deadline del 30 giugno come se, una volta superata indenne, i nerazzurri potessero poi liberare tutta la potenza economica di cui dispongono. Ma purtroppo quella era solo una tappa del lungo percorso del Fair Play Finanziario che accompagna tragicamente l'Inter così come il nuvolone da impiegati accompagnava i poveri Fantozzi e Filini. Una delle tante tappe iniziate l'8 maggio del 2015, quando l'Inter sottoscrisse con la Camera Investigativa dell'Organo di Controllo Finanziario (o Club Financial Control Body) della UEFA il piano di rientro dal deficit di bilancio in cui versava la società ai tempi della gestione Thohir.

La prima sanzione fu la famosa multa da 20 milioni, 6 da pagare subito e i restanti 14 con la condizionale, dei limti sul mercato, ed una riduzione della rosa per le partecipazioni alle competizioni UEFA da 25 giocatori a 21 nella stagione 2015/16, e a 22 nella stagione 2016/17, prevedendo invece per le stagioni 2017/18 e 2018/19 una condizionale. Per farla semplice, qualora l'Inter non rispettasse i parametri UEFA per tornare al pareggio di bilancio in queste due stagioni, la rosa in una eventuale partecipazione alla Champions o alla Europa League sarebbe ridotta nuovamente, in caso contrario tutto a posto e rosa di 25 standard.

Sul lato economico invece, che poi è il nocciolo del discorso, la questione si fa più spinosa: l'Inter, con un deficit di 110 milioni nel bilancio del 2015, avrebbe dovuto concludere il periodo fiscale 2016 con un deficit di massimo 30 milioni di euro, che riuscì fortunatamente a raggiungere evitando la prima multa da 7 milioni dei 14 previsti con la condizionale. Il periodo fiscale 2017 invece doveva concludersi, stando al settlement agreement, in totale pareggio di bilancio, per evitare la seconda multa da 7 milioni e la ventilata esclusione dalle competizioni europee nei prossimi due anni. Ovvero, colmare i 30 milioni di deficit, i famosi 30 milioni che sono stati sulla bocca di tutti e che hanno comportato le cessioni di Miangue, Dimarco, Eguelfi, Gravillon e Banega e l'arrivo di altre sponsorizzazioni. Ma non finisce qui, ed è questo il punto nevralgico: l'accordo con la UEFA infatti prevedeva un periodo che va dalla stagione 2015/16 sino a quella del 2018/19. Il che significa che l'Inter è tuttora sotto la lente della UEFA ed è ancora sotto fair play finanziario, con delle condizioni non meno rigide: mantenere il pareggio di bilancio ai fini del regolamento UEFA per questa stagione che sta venendo alla luce e la prossima, pena, nuovamente, la riduzione della rosa in caso di qualificazione in Europa League e Champions, ed altre sanzioni legate a dei limiti sul mercato e sugli ingaggi dei dipendenti dell'Inter come già le si aveva.

In parole povere, la tempesta è passata, ma non possiamo rischiare di ripiombarci di nuovo dentro. Se Suning spendesse cifre importanti senza colmarle, la UEFA ci darebbe di nuovo addosso, e quindi ricominceremo con la tiritera che ci sta funestamente accompagnando da due anni a questa parte. Per questo motivo le cessioni di Perisic e Jovetic sono tanto importanti, così come anche la ricerca di nuovi sponsor: più soldi otterremo in questo modo, più facile sarà fare mercato e spendere anche cifre importanti. Ed ecco perchè il proprietario Zhang è costretto a frenarsi: non per avarizia, ma per necessità. Dal campionato 2018/19, se tutto andrà bene, saremo liberi dalle catene che ci opprimono, quasi fossimo Django nel famoso film di Tarantino. "La D è muta", diceva in una delle frasi celebri. Nel nostro caso, la D che deve essere muta è la D di debiti.

Pertanto, dobbiamo avere pazienza e rassegnarci alla condizione in cui ci troviamo. Ma del resto, non siamo i tipi a cui piace vincere facile. Siamo o non siamo la Pazza Inter? Dobbiamo prenderla come una nuova sfida. Una sfida da cui dobbiamo uscire vincitori, per il futuro del club, ed è per questo che dobbiamo avere fiducia. Quella, per fortuna, non ci manca mai.