Buongiorno a tutti, eccomi di nuovo qui, a parlarvi del mondo pallonaro negli anni sessanta e settanta. Devo avvisare che non è possibile narrare le cronache delle imprese mondiali senza una panoramica della società dell'epoca ed il racconto delle imprese sportive costruite da squadre eccellenti che infiammarono gli animi dei tifosi, anche quelli di altre società. D'altronde, i campioni sono patrimonio di tutti, e non solo di chi ha la fortuna di averli nelle loro squadre. 

Gli anni sessanta, per i primi anni, videro le imprese del grande Real Madrid, che vinse 5 coppe dei Campioni consecutive, dal 1956 al 1960. Era il Real di Di Stefano, Puskas, Gento, Santamaria, Didì, Del Sol, con le stelle Di Stefano (argentino) e Puskàs(ungherese). Erano, però, anche gli anni in cui la squadra vincitrice, disputava direttamente l'anno dopo la finale, mentre le altre concorrevano nei gironi eliminatori. Il Real era comunque uno squadrone, avevamo già detto di Puskàs, leader della grande Ungheria del 1954, ma non ancora di Alfredo Di Stefano, detto la "saeta rubia"(la saetta bionda), per via dei suoi capelli biondi. E' ancora oggi considerato uno dei più grandi calciatori mai visti su di un campo di calcio, ma non ebbe mai la fortuna di giocare in una nazionale veramente competitiva e, comunque, lasciò il suo paese per divergenze di vario tipo con la federazione ed il regime del tempo.

Gento, era un'ala velocissima, difficile da marcare, Santamaria un grande difensore, Didì, aveva vinto il mondiale con il Brasile, e per concludere, Luis Del Sol, altro bravo interprete, grande centrocampista, emigrato poi nella Juventus degli anni sessanta. Per anni si è raccontato l'aneddoto di Julio Iglesias, portiere, che pare fosse stato nella formazione vincitrice dei trofei. Ma in realtà fece sì parte dell'organico, ma solo come giovane promettente perché, dopo un incidente di gioco, dovette dare l'addio al calcio. Scoprì però, di avere una bella voce, e così inondò il mondo di bellissime canzoni d'amore, che fecero breccia soprattutto sul pubblico femminile. Guadagnò sicuramente più dei suoi compagni di squadra.

Nei primi anni sessanta, il 1961 e 1962, la Coppa la vinse il Benfica del già citato Eusebio, ed in quella formazione militavano altri grandi giocatori, Coluna, Torres e Simoes. Ma nel 1963, il Milan di Rivera, Dino Sani, Cesare Maldini(papà di Paolo), Radice, Trapattoni, David, Altafini, Noletti, Lodetti, Ghezzi e Barluzzi(portieri), lo sconfisse a Wembley. L'allenatore fu l'indimenticabile "paron" Nereo Rocco, l'inventore del "catenaccio", un sistema iperdifensivo, molto criticato, ma che fece la fortuna del calcio italiano per qualche decennio (e anche del Benevento l'ultima domenica).

Nella finale di Wembley, il milan sconfisse il Benfica per 2 a 1, dopo il vantaggio iniziale di Eusebio, Rivera salì in cattedra e con due dei suoi magistrali assist permise ad Altafini di battere il portiere portoghese. Mi scuserete se non nascondo la mia devozione per Gianni Rivera, ma vi posso assicurare che una classe così limpida, il tocco di palla e la precisione dei suoi passaggi, uniti ad una eleganza ineguagliabile, ancora oggi mi mancano. Gianni Brera, noto giornalista sportivo, lo battezzò "l'abatino", per la sua signorilità, e di lui si disse che se avesse avuto un altro fisico, Pelè lo avrebbero presto dimenticato. Ed io, tifoso Juventino, mi ero innamorato di Rivera, che giocava nel Milan. Ma scoprii che anche lui da ragazzo era  tifoso della Juventus, perché era nato  ad  Alessandria, e a soli sedici anni esordì in serie B, proprio con la maglia dei piemontesi; il Milan e la Juventus se lo contesero alle buste, ma il Milan credette di più nel ragazzo. Pare che l'Avvocato lo abbia rimpianto tutta la vita.

Nel 1964 e nel 1966, toccò alla grande Inter, che vinse per due anni consecutivi la Coppa dei Campioni e le Coppe Intercontinentali, ovvero la sfida con la vincitrice della Libertadores sudamericana. Sandro Mazzola, figlio del grande Valentino, Corso, Luisito Suarez(ex Barcellona), Peirò(brasiliano), erano punte di diamante di quella squadra, ma la difesa era fortissima, Sarti era il  portiere, terzini erano  Burgnich e Facchetti, Picchi e Guarneri difensori centrali, a centrocampo Bedi, Tagnin e Malatrasi, ed all'ala il brasiliano Jair Da Costa, che dava velocità e palleggio ad una formazione con due registi, Corso e Suarez. Ebbi la fortuna di conoscerli entrambi, Corso giocò una amichevole ad Albenga quando a fine carriera giocava nel Genoa, e me lo trovai contro. Suarez, lo vidi giocare nelle sue ultime partite nella Sampdoria. Entrambi esibivano visione di gioco e lanci incredibili capaci di strappare applausi anche ai tifosi avversari.  Mario Corso, recentemente ci ha lasciato, ma oltre al suo ricordo, vorrei non passasse nel dimenticatoio il ricordo di  Armando Picchi, livornese (lo stadio porta il suo nome). Era un libero di grande classe, ed insieme a Guarneri formava una coppia in grado di fermare tutti i migliori attaccanti dell'epoca. Ebbene, a fine carriera, a soli 36 anni, fu ingaggiato dalla Juventus come allenatore. Purtroppo, un tumore lo portò via dall'abbraccio dei suoi tifosi, e così senza neanche avere iniziato, fu sostituito da un altro giovane di grandi prospettive, Giovanni Trapattoni. 

Quello era il decennio delle agitazioni studentesche e dei primi scioperi salariali, il mondo cambiava, e nel 1968 l'Unione Sovietica decise di invadere Praga con i suoi carri armati, come dodici anni prima a Budapest. Le lotte pacifiste scoppiarono dappertutto, anche contro la guerra del Vietnam, che vedeva protagonista gli Stati Uniti, che volevano fermare l'invasione comunista dei Vietcong, sul Vietnam del Sud, da parte del Vietnam del Nord. E come ogni guerra "facile", si tramutò in un incubo, con migliaia di giovani americani morti, e quelli che tornavano, presentarono grosse difficoltà a rientrare a pieno titolo nella società Usa, e quasto grazie  alle ferite e gli incubi vissuti durante la loro permanenza sul suolo asiatico.  Per completezza, quella guerra portò allo sviluppo del traffico di droga, pare ordito dalla stessa C.I.A. per finanziarsi la guerra. Molti di questi giovani, impararono a drogarsi proprio in Vietnam. Nel frattempo, era nato il fenomeno dei Beatles, con le loro canzoni, il loro modo di vestire e di portare i capelli. E questa tendenza, prese piede anche tra i giovani calciatori dell'epoca, tra i quali, George Best( da non confondere con Pete Best, sfortunato ex batterista dei Beatles, che abbandonò il gruppo perchè secondo lui non avrebbe fatto successo!). Era un  giocatore Nord Irlandese, che fece grande il Manchester United che vinse la Coppa dei campioni del 1968. in quella formazione militava anche Bobby Charlton, fresco Campione del Mondo con la nazionale inglese del 1966. Best vinse anche il Pallone d'Oro. Ala veloce e di gran classe, era anche amato dal pubblico femminile, per via del suo aspetto guascone. Ci ha lasciato nel 2005, a 59 anni.

Gli anni successivi, a cavallo degli anni settanta, videro la nascita del fenomeno dell'Ajax di Johann Cruijff, che però, prima di esplodere, dovette sottostare alla legge del Milan di Rivera e Pierino Prati, detto la "peste", che lo sconfissero nel 1969 allo stadio Bernabeu di Madrid, il sonante 4 a 1, fu decretato dalle reti di Prati, tripletta, e Sormani, naturalmente gli assist sono del "solito" Rivera. Anche Pierino Prati ci ha lasciato da poco, e proprio nell'ultima partita della nostra Nazionale, è stato ricordato insieme ad altri grandi giocatori. Ripercorrendo il nostro racconto, la Coppa delle grandi orecchie, dal 1971 al 1973, la vinse sempre l'Ajax, la squadra del calcio totale, e dell'altro grandissimo campione, Johann Cruijff.

Da questa premessa, si può continuare la storia dei mondiali, che videro protagonisti  questi giocatori. Alcuni positivamente, altri ai titoli di coda, altri ancora alla ribalta per la prima volta.
Ma vi do appuntamento alla prossima puntata.