Correvano gli anni ’90 e noi, spalmati sul divano, con fiera sufficienza e distaccato senso di superiorità, armeggiavamo col telecomando senza una meta precisa o almeno di questo eravamo convinti fino a che, sullo schermo. non si materializzavano questi uomini enormi che si prendevano a botte, pugni, calci, schiaffi, si tiravano giù dal ring o simulavano morti apparenti. Li guardavamo tutti, anche se alcuni negavano interesse per uno sport fatto di finzione; altri non riuscivano a comprenderne le regole.

Hulk Hogan, Tiger Musk, Ultimate Warrior, Andrè The Giant sono solo alcuni dei miti leggendari di quegli anni, tra i più famosi placcatori di quell’epoca. Il wrestling, come sport, con il tempo è man mano andato scomparendo dai nostri schermi, ma la pratica sportiva del wrestling, ha continuato ad esistere con le stesse tecniche, trasferendosi nelle aree di rigore degli stadi di calcio. La sua esaltazione, il nuovo calcio-wrestling, la raggiunge al momento dei calci d’angolo, tanto che alcuni tecnici la utilizzano addirittura per proporre schemi ed esercitazioni. Su questo tipo di palla inattiva si scontrano due scuole di pensiero per organizzare la fase difensiva. La marcatura a uomo e quella a zona. Quella a uomo si è trasformata col tempo in un contatto continuo tra difensore e attaccante: il primo si avvinghia all’avversario, il quale a sua volta cerca di divincolarsi con l’unico effetto che nessuno dei due è più in grado di guardare il pallone, necessario per finalizzare o liberare la propria area. Come nel wrestling anche nel calcio esiste un arbitro che, prima del calcio dalla bandierina, ferma la lotta e ammonisce i contendenti, anche per farli riposare dalle continue prese, senza ottenere risultato: infatti riprendono alla stessa maniera non appena questi si allontana. Essendo diventato ormai normalità non sanzionare certi comportamenti, gli allenatori hanno pensato bene di provare a sfruttare questa anomalia, allenando la squadra sui blocchi, schema prettamente offensivo che consente all’attaccante di sfruttare le coppie avvinghiate e mai deputate a colpire il pallone, usandole come schermo o circumnavigandole per seminare il marcatore rimasto impigliato nel blocco stesso. Diciamo che, nella nuova era del Var, dove il più piccolo contatto potrà essere sanzionato con l’ausilio della macchina, rimane incomprensibile come non si sia risolto questo problema. Eppure la soluzione, potrebbero portarla tutti i tecnici se, paradossalmente, si mettessero d’accordo tra loro e utilizzassero per questo tipo di palle inattive, la marcatura a zona. Infatti questo tipo di marcatura prevede il presidio all’altezza del area di porta, di almeno sei giocatori: due all’interno dell’area di porta e almeno quattro sistemati in corrispondenza della linea della stessa area, più altri due all’interno dell’area di rigore, nei pressi del dischetto, i difensori dovranno, in questo modo, preoccuparsi in primis del presidio della zona di campo e del pallone stando bene attenti agli inserimenti degli attaccanti. Non ci sarebbero vantaggi per nessuna squadra, se, con un utopistico accordo, tutti gli allenatori applicassero questo tipo di marcatura, molto presente nella Premier League e praticata dalle più blasonate squadre di Champions, quelle scene incresciose nelle aree di rigore verrebbero ridimensionate e avrebbe un senso anche l’introduzione della Var che, altrimenti, dovrebbe essere consultata ad ogni calcio d’angolo.