In Arabia dopo quanto accaduto al giornalista  Khashoggi ucciso nel loro consolato a Istanbul non se la passano bene. I fari del mondo sono stati puntati contro quel Paese, giustamente. Un Paese che finanzia con i suoi soldi un pò tutto ovunque. Soldi sporchi di petrolio, che vanno bene al sistema. Calcio incluso.
Ma in Arabia sono anni che si denunciano violazioni dei diritti umani. E' nella lista nera di diverse organizzazioni che si occupano della tutela dei diritti umani, anche se loro negano il tutto.
Ora, come è noto, la  finale della Supercoppa Italiana 2018/2019, trentunesima edizione del trofeo, si disputerà a Jeddah (Arabia Saudita), al “King Abdullah Sports City Stadium”, mercoledì 16 gennaio 2019. Juve e Milan giocheranno in un Paese in questo momento reputato ostile ai diritti umani. Dunque in Italia si è gridato alla vergogna. Ok. Non è la prima volta che si gioca all'estero questa finale. Come Washington nel 1993,  la prima volta fuori dai confini nazionali, poi Tripoli, che come è noto fa rima con diritti umani, poi ancora negli USA, quattro edizioni in Cina, anche loro fanno rima con diritti umani, come il Qatar che ne ha ospitate due.Due.

La Supercoppa non fa rima con diritti umani. La prossima dove si giocherà? In Egitto? Dove hanno massacrato Giulio Regeni? In Turchia? Dove massacrano i Curdi e Paese dal quale fuggono in migliaia tanto che l'Europa ha il record di rifugiati e richiedenti asilo proprio da quel Paese? 

La prossima volta che in un campo di calcio appare la scritta Respect, toglietela. Per coerenza. Perché questa scelta,che per molti può essere letta come una chiara buffonata piegata ai soldini, di andare a giocare in luoghi sporchi e che stanno ai diritti umani come il diavolo all'acqua santa? Scelta non è conciliabile con la parola rispetto? E poi tutti a dire che il calcio deve insegnare valori, precetti. Cosa si insegna con tutto ciò? Che i soldi regnano, il resto non conta niente.