Anno 2049

Nipote: “Nonno, nonno. Aspetta!”

Nonno: “Non mi dirai che..”

Nipote: “Sì, dai! Lo avevi promesso. Sono andato bene in Informatica strumentale e ora voglio che mi racconti quella avventura magica”

Nonno: “Ma sarai rimasto solo tu a voler sentire storie da una bocca umana, soprattutto da tuo nonno!”

Nipote: “Questo perché nessuno ha un nonno speciale come il mio. Dai!”

A sentire questa frase, non poté tirarsi indietro e si ritrovò a rimboccargli le coperte e a scavare nella sua memoria storica per mantenere fede al suo giuramento.

Nonno: “Sei pronto?” disse con tono semiserio per immergersi in un racconto pieno di miti e leggende, di amore e passione, di regni lunghi e di colpi di scena.

Nipote: “Sì” gridò con l’entusiasmo di chi si preparava ad ascoltare una storia unica, che il suo nonno gli aveva sempre accennato con gli occhi di un innamorato.

Nonno: “Allora, da dove comincio?

In principio fu il 1898. Fu istituito un trono su cui si poteva sedere solo chi annualmente vinceva una sfida lunga un anno intero.

Era ancora tutto genuino, primordiale.

Era ancora solo e soltanto un gioco.

I campi di battaglia erano lontanissimi dalle strutture ipertecnologiche dove adesso si combatte e che tu hai potuto ammirare con i tuoi occhietti da quando sei nato.

Si scendeva sul terreno di conquista con spirito libero e con regole poco elaborate.

Inizialmente, fu un grifone, dalle ali tinte di rosso e di blu, nativo della ex repubblica marinara di Genova, che si erse a padrone incontrastato, lasciando le briciole alle casate a strisce che avrebbero dominato nei decenni successivi e che ancora non erano organizzati come le potenze che tu hai imparato a conoscere.

L’unico a spezzare l’egemonia del dominatore genovese fu un leone bianco di Vercelli, che riuscì ad imporsi con una certa costanza. Fu un’epoca inarrivabile per il felino piemontese, che non riuscì a ruggire più come fece a inizio del secolo scorso.

Fu invece una casata distante 77 chilometri, una potenza industriale che, in sella a undici zebre affamate, firmò il periodo che tutti noi abbiamo poi definito come “Quinquennio d’oro”. Cinque anni di fila su quel trono.”

Nipote: “Nonno, 5 anni? Possedere la corona per tutto quel tempo è una eternità! Ma.. ma... non è possibile fare di meglio. Vero?” domandò a metà tra il sicuro e il timore di essere smentito.

Nonno: “Tu credi?” sorrise il nonno alla ingenuità della domanda del suo piccolo nipote. “Non essere impaziente. Siamo ancora soltanto all’inizio.

Devi sapere che, in quegli anni, un signore francese ebbe l’idea di organizzare un grande gioco di livello mondiale, in modo che, almeno una volta ogni 4 anni, i sostenitori delle casate che si battevano e sbeffeggiavano reciprocamente per difendere l’orgoglio dei propri colori si potessero unire sotto un unico stendardo.

Il nostro era ed è l’azzurro.

E io personalmente conobbi un cavaliere di nome Giuseppe, che fu il protagonista assoluto di quell’epopea agli ordini del generale Vittorio, che mi fece piangere di felicità due volte.

Un giorno, per scherzo, gli dissi che come minimo gli avrebbero dedicato una via.

Mi sbagliavo.

Gli dedicarono un tempio. Un simbolo nel simbolo.”

Nipote: “Nonno, ma che hai?” intervenne il piccolo vedendo una lacrima scendere.

Nonno: “Niente, figliolo. E’ che … nulla può demolire i miei sentimenti. Non permettere mai che qualcuno possa spezzare i tuoi sogni.”

Si asciugò con un fazzoletto e riprese il suo racconto.

Nonno: “In quegli anni, comunque, ci fu una nobile casata dell’Emilia-Romagna che vinse quattro volte in sei anni quel gioco, ed era talmente potente che il mondo intero tremava in quel periodo quando si udiva il suo nome.

Fu lei a precedere la venuta della più grande armata di tutti i tempi.

Indossavano delle tuniche granata e quando entravano sul campo erano senza avversari: figliolo, mi devi perdonare, ma non riesco a trattenermi” dovette nuovamente ricorrere a dei tovaglioli per trattenere l’emozione.

Nipote: “Nonno, ma che cosa era questa corazzata?”

Nonno: “Era una poesia. Erano atleti unici, la bellezza più dolce e forte, quella che ti attrae e ti spaventa allo stesso tempo.
Nulla fu mai come loro. Solo il fato, il destino avverso, interruppe le loro imprese, per cui non basterebbe una vita a descriverne l’emozione che hanno regalato.
Dopo quell’avvenimento, le casate a strisce di cui ti parlavo prima divennero i riferimenti e si alternarono più di tutte le altre a dominare il Paese, spartendosi le 6 edizioni del gioco tra il 1949/50 e il 1954/55.

Dopo quell’anno, venne introdotta una super-battle che tu conosci oggi con il nome di Superlega ma che prima aveva un fascino tutto suo: si chiamava Coppa dei Campioni, e vedeva sfidarsi tutti i numeri uno dei diversi Regni, per il predominio dell’intera Europa.”

Nipote: “Davvero la Superlega era così? Quindi non partecipavano tutte le grandi, nonno?”

Nonno: “No, no. C’erano tre tornei diversi, amore mio. Ed era bellissimo.”

Nipote: “Nonno, ma era tutto più bello ai tuoi tempi?” disse con aria infastidita.

Nonno: “Oh, no, figliolo. C’erano robe che tu non puoi immaginare. Adesso abbiamo il tempo effettivo e non ci sono più lottatori che fingono di aver subito dei danni per perdere tempo.
Abbiamo un computer che decreta inizio e fine della battaglia e punisce le scorrettezze dei cavalieri senza sbagliare mai, evitando polemiche futili.

Ci sono tante cose belle, tesoro.
Ma quelle tre competizioni, per tuo nonno, erano qualcosa di meraviglioso.”

Gli diede una carezza di conforto.

Nonno: “Conosci la Svezia, vero?”

Nipote: “Sì, nonno. Perché?”

Nonno: “Ricordi di quel torneo mondiale fondato da un francese? Nel 1958 si decise di disputarlo lì. Ma noi non ci andammo. Pensavo, a quel tempo, che non avrei più provato quella sensazione. E, invece, 60 anni dopo, mi ritrovai con gli stessi pensieri, proprio perdendo contro gli scandinavi.

Però, da quel posto, arrivarono anche tre ragazzi che indossarono l’armatura rossonera di una delle due casate in riva al Naviglio e che regalarono emozioni indimenticabili a quella gente.

Come quelle che riuscì a portare il comandante Nereo, che vinse due volte la Coppa dei Camp..la Champ... la Superl.. sì, insomma, hai capito.

Ma, contemporaneamente, arrivò a Milano un mago argentino di nome Helenio a guidare l’altra parte di MIlano. Sotto la sua guida divenne famoso in tutto il mondo il vessillo neroazzurro.

C’era una filastrocca che faceva così: Sarti, Burgnich, Facchetti, Bedin, Guarneri, Picchi, Jair, Mazzola, Domenghini, Suárez, Corso.

La sapevamo tutti, anche chi avversava la corazzata morattiana, perché essa era sinonimo di invincibilità. Ti faceva sentire al sicuro.”

Nipote: “Ma quindi, in quegli anni, nessuno riuscì a strappargli il trono?”

Nonno: “In verità, qualcuno sì. Ci fu quella squadra che faceva tremare il mondo trent’anni prima che regalò un sussulto. Quanto era forte Giacomo, tesoro.

Il regno dell’Inter terminò nel 1967. In poco tempo perse tre battaglie decisive in Italia ed in Europa.

Ma furono anni belli per la metropoli lombarda.

Gianni e Sandro ci regalarono emozioni indescrivibili.

Milano dominò.

Ma quel decennio memorabile si chiuse in modo diverso: prima un lampo viola gigliato, poi un rombo di tuono proveniente dalla Sardegna.

Gli anni ’70: il popolo bianconero si abituò a trionfare con costanza, con qualche intervallo milanese, ma non solo. Nel 1974 la Capitale biancoceleste, dopo quasi 15 lustri, conobbe il sapore di guardare tutti dall’alto. Due anni dopo, invece, due gemelli guidarono l’assedio granata alla corona.

Arrivarono poi gli anni ’80 e, tesoro mio, come loro non ce ne sono stati mai più: nel 1982 i gloriosi cavalieri in bianconero furono il blocco principale del nostro orgoglio azzurro in quella che, per tutti noi, è stata la più bella avventura di questo gioco.”

Nipote: “Nonno, stai piangendo di nuovo!”

Nonno: “Il Mundial, amore. E’ colpa del Mundial.

Ma, come ti dicevo, gli anni ‘80 furono qualcosa che.. guarda te lo spiego così.

Un brasiliano che contribuì a riportare il trionfo sotto la Cupola giallorossa dopo 40 anni; un re francese che fu, per tre anni, impareggiabile; Romeo e Giulietta che si presero la loro rivincita con l’aiuto di Mr. Osvaldo; due gemelli che si impossessarono della Genova colorata di blucerchiato; e poi…sì.

L’argentino a Napoli. Il più forte di tutti, tesoro.”

Nipote: “Sì, quello lo conosco, nonno!”

Nonno: “Poi, fu la volta dei tedeschi che vinsero quasi tutte le battaglie in cui scesero in campo. Un autentico record! Ma se vuoi innamorarti davvero, tesoro, un giorno ti mostrerò quello che aveva costruito Arrigo con il contributo di tre tulipani e dei colossi che difendevano i territori come nessuno.

Fu una rivoluzione. In tutto e per tutto.

Dopo il filotto di Fabio, spettò a Marcello il compito di far tornare a sognare i cittadini della Mole bianconera, portandoli anche a conquistare l’Europa, e, 10 anni dopo, a unire tutti noi per tornare sulla cima del Mondo.

Con il nuovo millennio, la Capitale si prese quello che spettava: la corona restò per due anni a Roma, cambiando solo titolare da un anno all’altro.

E mentre l’armata bianconera ricominciava a vincere, un vento dell’Est soffiava per riportare gioia alla Milano rossonera. L’Europa nel 2003, la Serie A nel 2004 e poi, con un brasiliano con la faccia da bravo ragazzo, di nuovo l’Europa nel 2007.

Ma in quegli anni stava risorgendo l’armata neroazzurra, che, dopo anni di rospi amari, ricominciò a dettare legge.

Servirà, però, un signore lusitano per tornare a far brillare gli occhi del popolo neroazzurro in modo totale, che, grazie anche a un Principe miracoloso del Bernal, visse le emozioni più belle della propria esistenza.

Ci fu poi un acuto di un altro svedese con la casacca rossonera, prima di cedere il passo a quella Vecchia Signora bianconera, che mai fu così splendidamente in forma.

Otto anni di fila, record su record: amore mio, è stato possibile ciò che non ti sembrava possibile, compreso far venire una leggenda vivente, un atleta di Madeira che da anni si spartiva l’Europa con un altro mito argentino.

E dopo quegli 8 trionfi consecutivi….tesoro mio?”

Il piccolo aveva scuola: era estasiato dal racconto ma adesso doveva riposare.

Il resto della storia glielo avrebbe raccontato un’altra volta.

Ma il nonno era sicuro: il suo nipotino stava facendo dei sogni bellissimi.