"Ed invece io devo ascoltare chi? Dei pezzenti, pezzi di ..., che vanno a criticare Messi perché questo ragazzo qua è andato fuori agli ottavi, perché non ha fatto una buona partita? Questi finti duri, vigliacchi e vili devono ricordarsi che quando si guardano allo specchio non sono neanche all’altezza di guardarsi allo specchio perché sono dei l... Per guadagnare qualche like o guadagnare qualche soldino, questi qua leccano il ... e vanno dove va il vento”.

Lasciando perdere sintassi e molto altro, ho voluto riprendere una bomba mediatica tra Cassano e, quasi certamente, Paolo Di Canio in quanto l'ex di Bari, Roma, Real Madrid, Milan, Inter, Parma, Sampdoria, Verona e probabilmente di se stesso, si è scagliato contro l'opinionista di punta del calcio inglese su Sky, sul format Bobo TV,  perché, a sua detta, in sostanza, Messi è migliore di Ronaldo.
L'ex (riborda) talento barese, peraltro, spazia, inoltre, nelle sue disamine, visto che è anche grande appassionato di basket NBA e allora eccolo lanciarsi in un pronostico sulle finali di Conference, ovvero le due partite da cui usciranno le squadre che si contenderanno l'anello al termine dei playoff. "Penso che ci saranno Phoenix e Golden State da un lato, dall'altro Philadelphia, i Nets e occhio anche ai New York Knicks di Thibodeau, perché giocano tra virgolette un calcio alla Simeone, particolare, però per fargli più di 100 punti è un inferno" (tralascio la grammatica).
Peccato che quest'anno Julius Randle e compagni siano già fuori dai playoff...

La classe non è acqua minerale, diceva qualcuno, così come l'educazione non è effervescente, ma siamo sicuri che l'ex (ariborda) di qualsiasi cosa abbia avuto una carriera tale da poter seminare a destra e a manca palate di concime, come un qualsiasi agricoltore con i propri campi (non di calcio), senza aver dimostrato davvero la sua immensa e cristallina classe?
"Al 5° minuto prendo la palla, salto un uomo, ne salto un altro, ma non punto la porta, punto il centro del campo: Cruyff. Gli arrivo davanti gli faccio una finta di corpo e poi un tunnel, poi calcio via il pallone, lui si gira e io gli dico: "Tu sei il più forte di tutti, ma solo perché io non ho tempo..."

George Best è stato tante cose: un’icona degli anni sessanta, un accanito bevitore, un donnaiolo incallito. Ma soprattutto uno dei più grandi giocatori della storia del calcio.
"Pelé: Good. Maradona: Better. George: Best" è un famoso gioco di parole che testimonia quanto sia ancora vivo il ricordo delle sua raffinata maestria tra i tifosi britannici. Ma anche Best ci sapeva fare con le parole, e non si faceva problemi a dire ciò che pensava.
Un esempio di genio del calcio ma anche di sregolatezza nella vita. Aveva un immenso talento nei piedi, ma anche un demone che gli divorava la mente e il corpo: l'alcolismo. Che divenne suo compagno inseparabile nella vita ma anche nella morte. Lui era un predestinato. Con il cognome che aveva non avrebbe potuto essere diversamente. George Best non era solo un giocatore di calcio ma anche un'icona di un'intera generazione per il suo modo di vivere e di morire.

Era nato il 22 maggio 1946, in un quartiere di Belfast, nella regione dell'Ulster, era un bravo studente con una normale passione per il calcio. A domare il pallone era mostruoso, ma per diventare un vero calciatore avrebbe dovuto lottare contro madre natura: fisicamente, era fragile, magro e basso di statura. Sembrava uno dei tanti ragazzi che sognava di diventare campione e che ci sa fare con il pallone, fino a che il destino non si accorge del suo talento. Best, appena quindicenne, giocava in una squadra di quartiere, il Cregagh, essenzialmente per far allenare ragazzi del Boyland, una società calcistica molto più importante. In quella partita George si prese letteralmente gioco di quei ragazzi diciottenni, segnando tre reti e portando la sua squadra alla vittoria. Quel giorno non c'erano solo parenti e amici dei ragazzi delle due squadre, ma erano presenti anche gli osservatori del Manchester United. Erano lì per visionare qualche ragazzo promettente del Boyland, ma furono letteralmente incantati dalle giocate di quel ragazzino. Best fu così tesserato nelle giovanili del Manchester, una delle squadre più prestigiose del Regno Unito. Fu anche l'esordio del suo carattere ribelle.
Dopo aver dormito una notte nel college della società britannica prese il traghetto per Belfast, spinto da un'ingovernabile nostalgia di casa. Fu il coach dei Red Devils, Matt Busby, ad andare a casa Best per convincere quel giovane talento a tornare. Lo fece con molta calma, pazienza e abilità e fu poi ricompensato con l'esplosione, a un anno e mezzo di distanza, di una delle icone calcistiche di sempre. Best divenne compagno inseparabile sia in squadra sia fuori di Bobby Charlton e Denis Law.
A 17 anni debutta nella Premier League contro il West Bromwich e durante la sua seconda partita segna la sua prima rete. Nel 1966, ai quarti di finale della Coppa dei Campioni, trascina la sua squadra verso un'insperata vittoria per 5-2 sul Benfica, del fuoriclasse Eusebio. In quegli anni George tocca l'apice del successo: capelli lunghi, modi scanzonati, nessuna diplomazia sia in campo che fuori. Venne ribattezzato dai suoi fans come il "Quinto Beatle", in quanto tutto quello che faceva era destinato a diventare moda.
Appena ventenne, toccato l'apice, "Bad boy" iniziò a percorrere la strada del declino. Beveva e fumava, veniva trovato sbronzo fuori dal campo di allenamento, ma riusciva ancora a dimostrare di saper fare la differenza in campo.
Nel 1968 gli fu assegnato il massimo trofeo al quale ogni giocatore aspira: il Pallone d'oro. Ma l'alcol gli stava già spianando la strada verso il suo precoce declino insieme alla sua grande altra passione: le donne. A 25 anni era già uno straccio di calciatore: il suo amore per la bottiglia era diventato dipendenza e malattia e a nulla serviva l'amore dell'allenatore di sempre, Matt Busby. Ogni tanto il suo talento tornava fuori. Ma nel 1974, a soli 28 anni, Best decise di lasciare l'Inghilterra e approdare al soccer americano. Abbandonò il calcio giocato dopo un'ultima grande impresa, segnare in una partita 6 reti nel campionato statunitense. Si ritirò nella sua vita privata, o almeno era nelle sue intenzioni: fu arrestato per guida in stato d'ebbrezza e resistenza a pubblico ufficiale. Si sposò e divorziò due volte. La BBC provò a reintegrarlo nel mondo calcistico come commentatore sportivo, ma fu cacciato dopo che in stato di alterazione bestemmiò in diretta televisiva. Fu ricoverato nel Cromwell Hospital e, dopo aver subito un trapianto di fegato, che gli allungò la vita di qualche mese, Best morì a Londra il 25 novembre 2005 per una infezione epatica.

Il grande numero 7, pronunciò un discorso per impedire che l'alcol portasse via ai giovani la loro vita come era capitato a lui e non prima di aver fatto scattare un intero servizio fotografico sul suo corpo devastato dall'alcol, come monito per i giovani.
Alcune sue frasi sono entrate di diritto nella storia di questo immenso giocatore. La prerogativa è sempre stata la mancanza di peli sulla lingua.

"Nel 1969 ho lasciato perdere le donne e l'alcol: sono stati i 20 minuti peggiori della mia vita". Anche quando era al top della forma, l’alcol è sempre stato un suo compagno di viaggio, così come le sue innumerevoli conquiste femminili.
"Una volta ho detto a Gazza Gascoigne che il suo QI era più basso del suo numero di maglia. Lui mi rispose: Che cos'è il QI?".
"Beckham? Non sa calciare col piede sinistro, non sa colpire di testa, non sa contrastare e non segna molto. A parte ciò è un buon giocatore".
George Best è sempre stato molto legato al Manchester United, quando però gli chiesero un pensiero su un'altra bandiera della squadra, nonché erede con la maglia numero 7, dimostrò come sempre l'assoluta franchezza. La frase ha più di un fondo di verità e, in realtà, potrebbe essere letta anche come un complimento. Beckham è riuscito a costruire la sua carriera stellare sul modo eccezionale in cui calciava con il destro. Per il resto, molti osservatori l'hanno sempre ritenuto un calciatore ordinario.

“Se mi avessero dato la possibilità di scegliere di scendere in campo a dribblare quattro uomini segnando un gol da trenta metri contro il Liverpool oppure di andare a letto con Miss Universo sarebbe stata una scelta difficile. Fortunatamente, ho avuto entrambe le cose". Di donne ne ha avute tante e in quell’elenco bisogna annoverare non una, ma ben due ragazze che vinsero il concorso.

"Quando me ne sarò andato, la gente dimenticherà tutta la spazzatura e ricorderà solo il calcio". In realtà si ricordano anche gli eccessi e i comportamenti troppo spesso fuori dalle righe. Un alone di romanticismo che alimenta, invece di scalfire, la sua leggenda, basata sulle imprese in campo, sui suoi incredibili gol e sul suo talento cristallino.

"Se fossi stato brutto non avreste mai sentito parlare di Pelé". A chi gli chiese se la sua vita fuori dal campo lo avesse ostacolato nella sua carriera di calciatore, il Pallone d’Oro del 1968, rispose così. In effetti, a soli 22 anni, giocò al livello dei più grandi di sempre. Viene da chiedersi cosa avrebbe potuto aggiungere alla sua carriera, negli anni successivi, con più continuità e meno distrazioni.

"Ci sono stati tanti giocatori descritti come il nuovo George Best, ma questa è la prima volta che per me è un complimento". Di paragoni con lui ne sono stati fatti a bizzeffe. Questo è stato l'unico caso in cui Best, non solo lo accettò di buon grado, anzi, fu felice di aver trovato un numero sette che poteva essere al suo livello: Cristiano Ronaldo.

"Potrei andare dagli Alcolisti Anonimi, ma penso che sarebbe difficile per me rimanere anonimo". Best non ha mai smesso di fare ironia sul suo vizio, raccontando spesso, nelle conferenze post-carriera, di tutto ciò che l’alcol gli aveva causato e che, dopo poco, lo porterà a morte prematura.

Le più frasi più eclatanti, sicuramente, sono quelle che, volutamente, ho riportato per ultime.

"Ho speso gran parte dei miei soldi per donne, alcol e automobili. Il resto l'ho sperperato". 
Fra tutte le citazioni questa è probabilmente quella più famosa. Racchiude alla perfezione il personaggio.
"Non morite come me".

George Best ebbe la forza di trasformare la sua tragica morte in un insegnamento. Il 20 novembre 2005 il tabloid inglese News of the World pubblicò, su sua esplicita richiesta, una foto che ritraeva Best nel suo letto di ospedale, con quelle che furono le sue ultime parole pubbliche: "Don't die like me". 

Ritenuto il miglior calciatore nordirlandese della storia e uno dei migliori calciatori di tutti i tempi, occupa la 16^ posizione nella classifica dei migliori calciatori del XX secolo IFFHS e l'8^ posizione nella speciale classifica dei migliori calciatori del XX secolo pubblicata dalla rivista World Socce. Nel 2004 è stato inserito nella FIFA 100, la lista dei 125 migliori calciatori della storia, stilata in occasione del centenario.

Cosa rimane ai posteri?
L'ardua sentenza! La frase, verso simbolo dell'ode "Il 5 maggio", all'indomani della morte di Napoleone Bonaparte è divenuta proverbiale a indicare che, di fronte a una situazione controversa e ambigua, si preferisce sospendere il giudizio e lasciare alle generazioni future la valutazione dei fatti.
Di questo assoluto Frontman del calcio, come lo era in fondo Freddy Mercury,  penso sia giusto invece riconoscere l'immenso ingegno unito a creatività e inventiva, pagando gli errori commessi sulla propria pelle. 
Del resto anche il leader dei Queen cantava "Another One Bites the Dust"; nella polvere un talento colpisce un bersaglio che nessun altro può colpire; un genio colpisce un bersaglio che nessun altro può vedere.