In questi giorni, passati agli “arresti domiciliari” (anche se lo scrivente gode di qualche uscita per una breve passeggiata sotto casa con la fedele Labrador, l'unico essere vivente che, talvolta, riesce ancora a darmi retta in casa), l’unica possibilità di evasione dalle mura domestiche è rappresentata dalla mente, che può spaziare, nel tempo e nello spazio, senza confini.

Tra i tanti pensieri, che si rincorrono nell’arco della giornata, mi è capitato di soffermarmi alla considerazione se, in passato, mi fosse mai accaduto di trascorrere ore, giorni, settimane con un’angoscia di fondo così evidente, cui riesce veramente difficile sottrarsi, perché, inevitabilmente, anche l’attività professionale non riesce a distoglierti dall’ansia di questi giorni. L’ansia si accentua perchè non riguarda solo la nostra persona ma è rivolta ai tuoi cari, che, anche a fronte della forzata convivenza, scorgi tra il perplesso e lo sgomento dinanzi agli eventi.

Osservo il comportamento dei miei figli, il loro strano mutismo, i sorrisi forzati a fronte dei messaggi sui social che cercano, con l’ironia, di stemperare il forzato isolamento; la preoccupazione di fondo che si percepisce nettamente; i libri che hanno preso in mano per far passare utilmente il tempo. Il loro interesse è sempre condizionato dallo smartphone, ma ora per cogliere il ricevimento di un messaggio o di una notizia che, diversamente da prima, non riguarda più l’appuntamento per un evento ludico ma il bollettino dei contagi e le esperienze degli amici, che magari sono costretti a passare questi giorni soli, perché confinati in dimore lontane dagli affetti per impegni di studio o di lavoro

Sarà forse proprio per questo tipo di osservazione del comportamento dei miei ragazzi, che mi sono sorpreso a riflettere come l’unico precedente del passato, che mi torna in mente, risalga agli anni della mia giovinezza (tra il liceo e l’Università). Era dalla fine degli anni ’70 e l’Italia conviveva con l’incubo del terrorismo, con un’escalation (oggi di contagi, un tempo di attentati) molto simile a quella che stiamo vivendo ai giorni nostri.

Il fenomeno di quelli che furono ribattezzati come gli “anni di piombo” era presente in modo quotidiano e riguardava ciascuno di noi, perché i terroristi – a prescindere dal credo politico di appartenenza - potevano agire, anche quando colpivano in modo mirato, contro chiunque, senza distinzione di ceto o di classe. La lotta armata, a prescindere dall’ideologia sottesa, si manifestava infatti con agguati o attentati sui “bersagli” individuati, che non escludevano, ovviamente, gli effetti collaterali del coinvolgimento di vittime totalmente estranee agli obiettivi.

Furono altresì compiuti attentati di massa, le c.d. stragi di Stato, che coinvolsero uomini e donne che ebbero solo il “torto” di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Per rimanere alle stragi di Stato più eclatanti, posso rammentare la prima, simbolo dell’inizio della “strategia stragista”, ovvero la Banca dell’Agricoltura a Milano (1969), Piazza della Loggia a Brescia (1974), il treno Italicus della linea Firenze-Bologna (1974), la Stazione di Bologna (1980).

La prima similitudine dei tempi attuali con quei giorni di quaranta anni fa, riguarda la circostanza che - all’epoca, come oggi – non appena si usciva di casa - giovani o anziani non faceva alcuna differenza - ti coglieva un senso di malessere diffuso, soprattutto, ma non solo, se risiedevi in una grande città. Guardavi e guardi, come avviene attualmente, il passante che si avvicinava con diffidenza e sospetto, in particolare quando eri costretto a sostare alla fermata dei mezzi pubblici o quando salivi sugli stessi. L’apprensione si accentuava se poi sul tram saliva qualche rappresentante delle forze dell’ordine, perché i carabinieri e i poliziotti rappresentavano uno degli obiettivi ricorrenti dei terroristi.

Non vedevi l’ora di tornare a casa, l’unico posto in cui ti sentivi realmente al sicuro, né più né meno di come avviene attualmente.

Un’altra analogia è rappresentata dalla medesima e singolare estensione geografica dei due fenomeni. Auspicando che le Regioni del Sud restino in qualche modo sostanzialmente indenni dall’attuale epidemia, è sorprendente notare come l’ “espansione” terroristica si sia radicata (come il Covid 19) solo nelle Regioni del Centro-Nord. I “focolai” del terrorismo riguardarono infatti Roma e poi tutta la dorsale del Nord Est (Bologna, Brescia, Padova, Trento) nonché Torino e Genova

Il terzo punto di contatto con i tempi odierni è rappresentato dalla diffusione del virus del terrorismo e di quanto potesse essere insidioso. Analogamente al Covid 19, l’infezione di quei giorni era infatti invisibile, in quanto non era francamente possibile capire se chi ti stava accanto (amico, conoscente o collega) fosse un terrorista od anche solo un fiancheggiatore (un terrorista “asintomatico” insomma), perché il “virus” del terrorismo si era radicato nel profondo del tessuto della società, in modo subdolo ed incontrollabile.

Ad esempio, lo scrivente ebbe compagni di classe del liceo, che hanno intrapreso la scelta del terrorismo, dopo l’approdo all’Università e, in alcuni casi, si trattava di giovani dotati di un’intelligenza non comune, che hanno bruciato la loro esistenza. Già dal primo anno universitario, furono “costretti” ad espatriare perché riconosciuti appartenenti a gruppi eversivi e quindi divennero latitanti a 20 anni. Altri compagni di classe, gli stessi quindi di quelli appena citati, che, essendo costretti a fare il militare, avevano deciso di farlo nell’Arma dei Carabinieri, perché ciò consentiva di essere (un minimo) retribuiti e di restare vicino a casa. Ebbene uno di costoro (militare di leva), impegnato in un posto di blocco, rimase solo ferito a terra, perché i terroristi dopo aver forzato lo sbarramento sparando, uccisero il collega ma lui fu risparmiato solo perché al terrorista si inceppò il mitra.

A livello personale diretto – tra le varie esperienze vissute di quegli anni – ne provai due, che sono ovviamente rimaste scolpite nella mia memoria. La prima, per un fatto meramente temporale. Esattamente sette giorni prima (la mattina del 26 luglio 1980) della strage della stazione di Bologna (sabato 2 agosto 1980 h. 10,25), scesi con un amico a quella stessa stazione perché dovevamo cambiare il treno, in quanto diretti al Sud per le vacanze.

La seconda riguarda uno dei miei esami universitari, ovvero “Storia dei Partiti e dei Movimenti Politici”. Agli inizi degli anni '80, ero una giovanissima matricola universitaria di Giurisprudenza e l'esame in questione non era obbligatorio ma facoltativo, nel senso che non faceva parte degli esami canonici di diritto ma di quelli che lo studente poteva aggiungere in relazione al piano di studi prescelto. Gli ideali dell’epoca (sull’onda del momento, puntavo a diventare penalista) mi spinsero a scegliere quell’esame, perché si doveva preparare su un libro “Il processo alle Brigate Rosse”, che si era chiuso a giugno del 1978 ed il tema di studio era il diritto all’autodifesa tecnica (nel senso che i terroristi non volevano farsi assistere da avvocati) invocato dagli imputati (i capi storici delle Brigate Rosse). La Corte d’Assise di Torino respinse tale richiesta e nominò il Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Torino, l’Avv. Fulvio Croce, difensore d’ufficio, il quale a sua volta designò altri avvocati per completare il collegio di difesa. Per i terroristi, ciò equivaleva alla condanna a morte dell’Avv. Croce, che fu ucciso da un commando di brigatisti il 28 aprile 1977

Ebbene, sostenni l’esame nello studio del docente un sabato mattina (ed erano, per quei tempi, un’autentica eccezione il luogo ed il giorno) in un Ateneo ovviamente deserto. Il Professore in questione era uno degli avvocati d’ufficio, che furono impegnati nel citato processo. Pur essendo passati quasi due anni dalla fine del giudizio, non potei fare a meno di notare, durante l’esame, che il docente indossava una pistola infilata nella fondina sotto la giacca.

Sembrano racconti di fantasia ma, invece, è la pura realtà e sono convinto che altri della mia generazione avrebbero episodi simili da narrare, in quanto il fenomeno del terrorismo ci coinvolse tutti, nello steso modo di come sta impattando nella nostra vita il coronavirus. Nonostante questa pervasività, non siamo però riusciti a trasmettere alle generazioni successive alla nostra il desiderio e la voglia di conoscere il fenomeno del terrorismo e ciò è una di quelle domande alle quali non sono in grado di fornire una risposta logica. A questo punto, non so neanche quindi se, un giorno, i giovani che stanno vivendo questa realtà riusciranno a far comprendere alle generazioni future come si viveva in Italia (e nel Mondo) ai tempi del coronavirus.

Il terrorismo, che sembrava impossibile da sradicare tanto era compenetrato nella nostra società, durò anni con un’escalation progressiva sempre più accentuata che ebbe il suo momento culminante con il rapimento ed uccisione (unitamente agli agenti di scorta) del Presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro (1978). Dopo la immane strage alla Stazione di Bologna, il fenomeno terroristico iniziò lentamente a declinare ed il "vaccino" fu rappresentato dall'introduzione della disciplina legislativa in materia di pentimento, che determinò la desistenza dalla lotta armata ed il ravvedimento (con la denuncia dei complici) di molti militanti.. Alla fine fu sconfitto, pur continuando a manifestarsi con sanguinosi attentati. Occorre precisare che tale intervento legislativo fece breccia tra le file dei terroristi anche perché il movimento mostrava già di per sé un principio di consunzione, per effetto del progressivo isolamento ideologico delle varie frange eversive (potremmo affermare che tra le aree più attrattive del movimento si era creata una sorta di “immunità di gregge” dal virus terroristico).


Ovviamente, la speranza è che, oggi, si riesca a sconfiggere il Covid 19 con una battaglia comune di qualche mese (e non di anni), con l’auspicio che, dopo, le nostre vite possano ripartire con i ritmi di sempre, consentendo a ciascuno di noi di riassaporare quei gesti – che sino a ieri distribuivamo in modo ormai automatico - quali strette di mano ed abbracci, riuscendo finalmente così a comprendere sino in fondo il loro grande significato, perché, in realtà, noi tutti “siamo onde dello stesso mare, foglie dello stesso albero, fiori dello stesso giardino”.




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