Rigore, termine calcistico annoverato fra le componenti del famigerato "stile Juventus", un codice etico unilaterale da sottoporre all'attenzione dei calciatori zebrati.
Dal taglio di capelli allo stile di vita, un controllo costante volto a garantire l'idoneità nell'indossare i colori bianconeri. Che tu sia un campione, alla dirigenza poco importa. In presenza di atteggiamenti indolenti o colpi di testa extra-calcistici, l'indulgenza, in Piazza Crimea, Corso GalFer o everywhere è quasi sempre venuta meno. Il rigore è anche e soprattutto un episodio, frutto di vicende puramente calcistiche, in grado di indirizzare, nell'ultimo trentennio, le sorti della Signora.

Trentasette anni fa, il punteggio, al "Comunale" di Catanzaro era fermo sullo 0-0. La Juve ha fretta di segnare, essendo in testa alla classifica e approfittando del pareggio, a Cagliari, tra i padroni di casa e la Fiorentina, diretta inseguitrice. A decidere l'esito dell'intero campionato è un penalty appannaggio dei bianconeri. Sul dischetto si presenta Liam Brady. Piccolissimo dettaglio: l'irlandese ha appena saputo di esser stato ceduto alla Sampdoria, per far posto a un certo Platini. Un dubbio atroce affligge il tifo bianconero: lo sbaglia, sapendo di dover andar via o la butta in rete e siamo Campioni d'Italia? Un confine sottile separa il professionista dall'uomo assetato di vendetta. Brady opterà per il professionismo, segnando, esultando con rabbia e consegnando il tricolore in mani amiche. Seconda stella sul petto e un ringraziamento particolare a Liam, professionista vero prima ancora che uomo o calciatore.

Il suo successore, quel Platini accennato poc'anzi, avrà un rapporto alquanto privilegiato con il dischetto. Bruxelles, 29 Maggio 1985, la Juventus è campione d'Europa per la prima volta. Juventus 1-Liverpool 0. Rigore decisivo di Le Roi e Coppa in cassaforte. Peccato che non fu il risultato sportivo a portare alla storia questo incontro, ma il tragico destino di trentanove esseri umani, deceduti prima del fischio d'inizio.                                    In terra nipponica, qualche mese dopo, la Juve si gioca l'Intercontinentale contro l'Argentinos Juniors, campione del Sud America. Il mattatore assoluto è uno e uno solo: Michel Platini. Un penalty realizzato, entro i tempi regolamentari e un gol annullato, considerato, paradossalmente, fra i migliori della storia del calcio. Ai calci di rigore Tacconi è superlativo, neutralizzando due tentativi avversari. L'ultimo numero estratto sulla ruota di Tokyo è il 10. Ancora una volta decisivo, Platini trascina la Juventus sul tetto del Mondo. 

Indecifrabile. L'unico aggettivo plausibile e associabile all'espressione di Vladimir Jugovic, sul dischetto di Ajax-Juve, è proprio questo: indecifrabile. Cosa sarà mai? Un sorriso beffardo? Adrenalina allo stato puro? Un ghigno? Se lo chiedono in tanti, eppure la sostanza non cambia. Il serbo batte Van Der Sar, riportando Madama sul tetto d'Europa, undici anni dopo l'Heysel. E' la massima punizione a determinare nuovamente l'esito di una finale: cambiano i rigoristi o il rigorista, ma non cambia il risultato. Una proprietà commutativa rivisitata e adattata al contesto.

Lippi incrocia lo sguardo dei suoi uomini, sette anni d.J. (dopo Jugovic), ma il paragone con la finale di Roma è impietoso. Birindelli e Del Piero trafiggono Dida. Trezeguet, Montero e Zalayeta impattano sull'estremo difensore milanista. Buffon cerca di tenere a galla le speranze juventine, negando il gol a Seedorf e Serginho. Andrij Shevchenko, tuttavia, è la sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale di Manchester. Milan campione d'Europa e tanta amarezza in casa bianconera.

La massima punizione assume numerose sfaccettature. Può essere ineccepibile o pretesto di facili polemiche. Può innalzare alle stelle le vicende di chi ha il coraggio di calciarla. Può macchiare, in caso di errore, le gesta di giocatori dalla carriera strepitosa. Grandi campioni hanno posseduto, possiedono e possiederanno la spavalderia necessaria, per arrivare sul dischetto e compiere al meglio il proprio dovere. Altri, al contrario, pur assumendosi cotanta responsabilità hanno influito, influiscono e influiranno sugli esiti di una partita, anche una finale Mondiale, per intenderci. Ad esempio Baggio e Baresi, rispettivamente trascinatore e capitano di quella Nazionale a un passo dalla Coppa del Mondo, gettano letteralmente al vento i tiri dal dischetto, nel corso dell'ultimo atto.
Criticare le divinità in questione è alquanto ingeneroso, d'altronde, De Gregori dixit et docet, "non è mica da questi particolari, che si giudica un giocatore".