Inseguire un sogno e lasciarsi trasportare dalle emozioni è un complesso nucleo di sorriso che in alcune circostanze della vita risulta essere la cura di ogni male. Un continuo flusso di sensazioni che interseca l’illusione di poter fermare il tempo, ma che si risolve in un nulla di fatto perché l’uomo, quando sogna, è un gigante che divora le stelle.  

E talvolta i sogni possono diventare anche oscure ossessioni, capaci di distoglierti dalla realtà delle cose e di farti penetrare in un mondo astrale, colmo di quella magia che vorresti avere accanto, quasi come fosse un guerriero che ti protegge dagli inganni del mondo.     

Seppur in un’epoca passata anche io, nella mia breve esperienza, ho imparato a sognare, per cercare un mondo migliore ma soprattutto per immaginare una realtà diversa dalla mia, forse più onesta e affascinante.
Il filo del mio pensiero, quando rifletto sul mondo del calcio, si riconduce senza mezzi termini all’Inghilterra, alla patria del football e allo stadio che incarna la vera gloria terrena, Old Trafford. Un’epoca diversa, spensierata, anche perché quando a soli 8 anni accendevi la televisione difficilmente riuscivi a capire quella massa d’informazione che si cela sotto al concetto di mondo. 

Osservavo il prato bagnato del teatro dei sogni, gli sguardi attivi di chi vuole lottare con gli avversari, la tecnica sopraffina di Rooney, la maestosità di Van Der Sar e la saggezza del lord scozzese Sir Alex Ferguson, l’insegnante di storia e il mago della panchina. Ad incorniciare l’evento ci pensava il popolo dei Red Devils, tappezzato di sciarpe e guantoni per ripararsi dal freddo britannico, ma con il canto assordante volto a spingere la squadra verso i tre punti. E ci sono tanti momenti memorabili, come il magico campionato vinto nella stagione 2007/08 o le rimonte in Champions, anche se in una circostanza dovette pagare la mia Inter, che venne eliminata proprio dal Manchester United. Insomma, tutto si svolgeva in un modo pulito, unico, animato dalla frenesia agonistica, ma anche dalla riconoscenza nei confronti della superiorità dell’avversario.

Passano gli anni, divento maturo, acquisto una dose in più di esperienza che serve per uscire dalle situazioni delicate, ma continuo a seguire e a studiare il calcio, perché è il mio passatempo preferito e non posso farne a meno. Adesso sono in grado di gestire intere conversazioni, di capire che cosa può succedere nell’intento di un club, ma soprattutto di criticare eventi che vanno a ledere il passatempo del calcio. Il tutto ovviamente riconduce senza mezzi termini al polo opposto alla Premier League, quella Serie A che adesso, per dirla alla Dante, si ritrova a meritare un’invettiva come fece il sommo poeta nei confronti di Firenze. Sì, perché gli eventi che stanno succedendo negli ultimi tempi non contribuiscono al pieno divertimento e soprattutto alla correttezza; è il caso di Juventus-Milan, rovinata ancora una volta dalla classe arbitrale che, con l’ausilio del Var, non concede un rigore clamoroso ai rossoneri. Scatta la furia di Leonardo, Gattuso da milanista vero scende in campo in prima persona, ma alla fine succede sempre così, in Italia gli episodi chiave vengono indirizzati sempre e solo a favore della Juventus. 

Juventus che sta a simboleggiare la differenza tra Premier League e Serie A. Sì, perché nel Regno Unito ogni match ha un contorno particolare, propiziato dall’unione e dalla condivisione di quelle risorse che solo lo sport è in grado di offrire: centinaia di persone con sciarpe e maglie di club diversi che si avvicinano allo stadio, classico tè britannico e intere conversazioni sugli uomini che scenderanno in campo. Poi, si inizia a giocare e ognuno ruota attorno all’ignoto destino, ma qui i big match vengono risolti dai campioni che si attaccano alla gloria e non da proteste e rigori non concessi o puramente inventati. Certo, può capitare una svista, ma a beneficiarne possono essere tutti, dal Liverpool al Burnley. Nel nostro campionato purtroppo si sente parlare di sudditanza psicologica e, per certi versi, è proprio così; tutto il mondo ha visto lo scorso anno gli orrori che hanno consegnato il campionato alla Juventus, quella sfida contro l’Inter con un’espulsione generosa di Vecino e tre falli da rosso commessi da Pjanic.

Per fortuna esiste la Premier, unica gioia degli sportivi. In alcuni momenti fa bene ritornare al passato a riassaporare le sensazioni svanite dalla confusione quotidiana e spesso inutile. Nella serata di domani, dal tempio del sogno, il Manchester United di Solskjaer ospiterà il Barcellona per i quarti di finale di Champions, in una sfida da urlo vista la qualità dei catalani. Un match imperdibile, colmo di storia e di passione in uno stadio che accoglie solo coloro in grado di sognare, di immedesimarsi nel cuore del tempo, con il sudore sulla fronte per dare soddisfazione a quei miraggi che sembrano impossibili da conquistare.
Scenderà in campo anche la sportività, dettata dal sorriso umile di Solskjaer e da un Barcellona che nel nome di Messi non cade mai nel peccato della superbia; questione di onore, di fratellanza e di compattezza, qualità che nella mentalità dei due club domina sulla vittoria sporca. Per molteplici aspetti, quindi, questa è la partita da vedere, nella speranza che l’arbitro Rocchi diriga il match secondo la tradizione, e non affossandosi sulle pause monotone tipiche della Serie A. 

Dopo qualche anno, cresciuto grazie alle mie esperienze e agli errori commessi, mi sento ancora di dire grazie ad Old Trafford. Grazie perché mi hai regalato un sogno, perché hai ospitato gare assurde concluse con la passione e hai dimostrato che qui, ma anche all’interno della Gran Bretagna, il calcio è veramente unione e spettacolo.
E adesso è grazie al mio passato, che posso tornare quel ragazzino che in un tempo ormai trascorso ritorna a sognare nel mezzo a quel prato che per tanti anni ha rappresentato la luce nel buio e nell’inganno totale. Grazie Manchester, grazie Old Trafford.