Roma, mercoledì 22 maggio 1996. La Juventus ha appena vinto la sua seconda Champions League, a 11 anni di distanza dalla terribile notte dell’Heysel. È stata una vittoria sofferta, i bianconeri hanno dominato in lungo e in largo, ma per avere la meglio sull’Ajax d’acciaio di Van Gaal sono serviti i calci di rigore. Dopo l’ultimo rigore di Jugovic tutti impazziscono: il pubblico allo stadio Olimpico esplode, Ferrara e Vialli si abbracciano a terra, Di Livio saltella in mutande a centrocampo, gli altri si tuffano addosso a Peruzzi, grande protagonista della finale. Tra loro però c’è un ragazzo in lacrime. Il suo nome è Fabrizio Ravanelli, detto “Penna Bianca” per la sua inconfondibile chioma sbiadita. Intervistato nel post-partita, Ravanelli dirà: “Non si può dire cosa provo, è una cosa enorme. Il primo pensiero è per Andrea Fortunato, nessuna vittoria potrà mai alleviare il nostro dolore ma io sono sicuro che il mio amico ha visto, sa tutto ed è con noi”.

Andrea Fortunato nasce a Salerno il 26 luglio 1971 e inizia a correre dietro un pallone nei dilettanti della Giovane Salerno. Il talento di Andrea è evidente fin da subito, e appena tredicenne viene portato in giro per l’Italia a fare provini per squadre come Torino, Cesena, Empoli, Napoli e Como. Proprio il Como se lo assicura, convinto che il ragazzo diventerà un grande centravanti. La vera svolta avviene quando il tecnico della squadra Allievi, Giorgio Rustignoli, lo trasforma in terzino sinistro. A Como Fortunato debutta in serie B il 22 ottobre 1989, a Pescara. Colleziona 16 presenze in quella stagione turbolenta, caratterizzata da continui cambi in panchina e culminata con la retrocessione in serie C. È Eugenio Bersellini, chiamato a gestire la resurrezione comasca, ad esporre in vetrina quel diciannovenne pieno di grinta (27 presenze in C1) che attira inevitabilmente le attenzioni di molti club, anche blasonati.

Aldo Spinelli lo porta al Genoa per 4 miliardi, ma Fortunato è chiuso dal brasiliano Barco, titolare della fascia sinistra e viene spedito in prestito al Pisa, in Serie B. Ma Andrea è testardo e ambizioso, non ci sta ad arrendersi. Nella stagione successiva la grande occasione: a Genova il posto da titolare è suo. E Fortunato non delude. Il campionato di Andrea è fantastico, con 33 presenze e 3 gol, l’ultimo segnato al Milan. Lui e il collega di reparto Panucci stuzzicano gli appetiti della Juventus che vorrebbe acquistarli entrambi.

Spinelli vorrebbe vendere soltanto Panucci (destinato al Milan), ma, per questioni economiche, è costretto a vendere anche Fortunato, che così nel 1993 arriva a Torino per 10 miliardi, con la pesante nomea di “nuovo Cabrini”. Andrea è felicissimo. Del resto è sempre stato juventino: “Arriva un giornalista e mi domanda se mi piacerebbe giocare nella Juventus. Ed io cosa dovrei rispondergli, che mi fa schifo? Figuriamoci, io da ragazzino per i colori bianconeri stravedevo, e anche se sono diventato un calciatore professionista, certi amori ti restano nel cuore”. È sotto gli occhi di tutti: Andrea è destinato a diventare il miglior terzino italiano. La sua avventura a corte della “Vecchia Signora” comincia come meglio non si potrebbe: precampionato ad altissimo livello, debutto in Nazionale a Tallinn, il 22 settembre contro l’Estonia. “Prometto sempre il massimo dell’impegno per la maglia. Darò sempre tutto me stesso e alla fine uscirò dal campo a testa alta, per non essermi risparmiato”.

L’ascesa di Fortunato appare inarrestabile, ma nella primavera del 1994 qualcosa cambia. Andrea non sembra più lo stesso. Si pensa che sia appagato. D’altronde ha raggiunto in breve tempo fama e successo, è arrivato alla Juventus, il massimo per ogni giocatore. Durante le ultime partite, Andrea è accolto da fischi e cori di scherno. Un giorno, alla fine di un allenamento, un tifoso juventino arriva a mollargli un ceffone.

Tutti pensano che pecchi di umiltà. Ma non è così.

Andrea è stanco, irriconoscibile in campo, lui che è sempre stato un concentrato esplosivo di energia; fatica a recuperare, è tormentato da una febbricola persistente che non gli dà tregua.

Venerdì 20 maggio 1994. Il dott. Agricola, responsabile del servizio sanitario bianconero, prescrive una serie di analisi e così Andrea viene ricoverato in isolamento, presso la Divisione Universitaria di Ematologia delle Molinette di Torino. La diagnosi è terribile: leucemia linfoide acuta. La malattia è grave, gravissima. Ciò nonostante i medici si mostrano comunque ottimisti: “Può farcela, Andrea è giovane, la sua tempra robusta lo aiuterà“. Andrea ha bisogno urgente di un trapianto di midollo osseo.

 Intanto il ragazzo passa tre settimane in terapia intensiva e la sua salute migliora: i valori tendono a normalizzarsi, l’organismo combatte, i globuli bianchi in eccesso si riducono. Si va verso la remissione della malattia. Tuttavia i medici non riescono a trovare un donatore compatibile per il trapianto. Sono solo tre i potenziali donatori, ma tutti troppo lontani. Così il 9 luglio si tenta un’altra strada. Fortunato viene trasferito a Perugia, al Centro Trapianti diretto dal dott. Andrea Aversa e dal prof. Massimo Martelli. Nel giorno del suo ventitreesimo compleanno, il 26 luglio, gli vengono infuse cellule sane della sorella Paola. Poi seguono altri due innesti. Ci vorranno un paio di settimane per avere certezza che il midollo si sia spontaneamente rigenerato.

L’11 agosto Fortunato viene trasferito in un reparto pre-sterile. Combatte, fino a quando le forze lo sorreggono. Parla al telefono con i compagni, può leggere qualche giornale sterilizzato, segue la sua Juve in TV. Andrea si è oramai reso conto che la battaglia è più dura del previsto, ma lui è un lottatore tenace. Non ha intenzione di mollare.

Dopo Ferragosto però Andrea peggiora: il suo organismo ha rigettato le nuove cellule. Si tenta ancora e ancora, si spera in un altro miracolo. Papà Giuseppe prova a donargli le sue cellule midollari. Ad Andrea inizialmente non lo dicono, si parla di normali terapie. Eppure la seconda infusione sembra efficace, anche se preoccupa una febbre persistente. Il fisico reagisce bene, Fortunato torna in un reparto “normale”, può perfino iniziare una riabilitazione in palestra. Il 14 ottobre lascia l’ospedale. I compagni (Ravanelli, Vialli e Baggio, su tutti) lo incoraggiano, lo tempestano di telefonate: “Ti aspettiamo”.

Il peggio sembra ormai passato.

Andrea riceve dai medici il permesso di unirsi ai compagni di squadra e li segue durante la trasferta a Genova, in occasione di Sampdoria-Juventus del 26 febbraio del 1995. È emozionante vederlo sulle tribune di Marassi, felice come un bambino, a tifare per la sua amata Juventus.

Quando tutti cominciano a credere che stia vincendo la sua battaglia, arriva una subdola polmonite a rovinare tutto. Il 25 aprile, alle otto di sera, Andrea muore. I compagni di Nazionale apprendono la notizia mentre sono a Vilnius alla vigilia di una partita contro la Lituania.

Poche settimane dopo la Juventus festeggia il suo ventitreesimo scudetto. 23 come gli anni di Andrea.

Al funerale, svoltosi il 26 aprile nella Cattedrale di Salerno, parteciparono più di 5000 persone, comprese le società di Juventus e Salernitana, oltre a varie personalità del calcio italiano.

Sull’altare, di fronte alla bara di Andrea, il capitano bianconero Vialli, in un discorso interrotto più volte dalle lacrime, pronunciò queste parole: “Speriamo che in paradiso ci sia una squadra di calcio... speriamo che in paradiso ci sia una squadra di calcio, così che tu possa continuare a essere felice correndo dietro a un pallone. Onore a te, fratello Andrea Fortunato”.

Questa è la storia di Andrea Fortunato, il ragazzo che cavalcava la fascia mancina con i capelli al vento. E che non ha mai mollato, neanche contro il suo atroce destino, che ce lo ha portato via troppo presto.

Di lui Gabriele Romagnoli scrisse: “Si continua a giocare, ma è come essere a quindici minuti dalla fine, sotto di 3-0. Chi crede ancora nel pareggio, fa un atto di fede. Ma è in quel quarto d'ora disperato e spesso inutile che si distingue un giocatore vero. Andrea Fortunato ha giocato alla grande, forse ha creduto davvero nella rimonta [...] L'ha fatto in quel quarto d'ora vigliacco in cui la partita è già un ricordo e la vita un'ipotesi. Ma se sei un uomo davvero, giochi.

Ciao Andrea, il tuo ricordo, stanne certo, non si è ancora spento.