"Ognuno sta solo sul cuore della Terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera".
Recita così una delle poesie più celebri che il mondo della letteratura italiana abbia mai conosciuto.
A lanciare il messaggio ci pensò Salvatore Quasimodo nel 1930 quando, dalla sua scrivania colma di sapienza, elaborò una stesura coincisa in pochi versi, ma sicuramente colma di un significato immenso; oggetto di tutto è la solitudine, quell’insieme di sentimenti che isolano dal mondo, abbracciando l’unica amara convinzione che la vita è personale, senza amici veri e animata da quella dolorosa esperienza che il poeta riesce a trasmettere anche al lettore più scettico. Una solitudine di fondo, che isola dal mondo con l’intento della resa, anche se la cura di ogni male sembra essere la "fede" in un mondo migliore, colmo di onore, perché la vita è imprevedibile e va vissuta con il palmo della mano sul cuore, durante le gioie e le sconfitte. A volte fa bene uscire di scena con il volto del perdente, per poi ritornare con il pugno del vincitore e con quella passione maturata nel silenzio in grado di trasformare le sconfitte in vittorie estreme e talvolta magiche. Ecco che allora la solitudine si trasforma in conquista, unita talvolta alla fratellanza e all’amicizia, qualità che in un mondo economicamente freddo come il nostro non devono mai mancare.

Succede a tutti, e l’insieme degli equilibri sottili appesi ad un verdetto vengono racchiusi nella parentesi amena della “solitudine del numero uno”, quel sentimento nostalgico che nel calcio colpisce il portiere, visto da sempre come la figura che non sa giocare a calcio e animato da tutte le critiche rivolte nel momento in cui tutto va male; frasi poco belle che lasciano il tempo che trovano, anche perché molto spesso per proteggere i difensori cercando di non svalutarli economicamente, tutto è lecito, ed ecco che a rimetterci dopo un gol subito è sempre il numero 1. Chi mi conosce sa benissimo che se avessi giocato a calcio avrei ricoperto il ruolo di portiere, anche perché l’emozione nel parare un rigore o nell’effettuare un volo plastico per i fotografi difficilmente si ritrova in un campo da gioco; ecco che allora il ruolo dell’estremo difensore mi ha spinto sempre più ad analizzare gli esperti del settore, con la storia e con i miei ricordi, unici nel mondo del pallone. Impossibile non fermarmi a pensare al portiere dei miei sogni, quello della mia squadra del cuore, Samir Handanovic.

UNA STORIA VERA

Vedere da vicino ogni domenica allo stadio Samir Handanovic è un’emozione unica, un flusso di ricordo che non trova ostacoli, anche perché il calcio è passione e la follia dei tempi passati risulta essere l’unica variabile per amare ancora di più la tua squadra del cuore. Una storia, quella fra me e Handanovic, che pur in modo indiretto ha origini lontane, improntate sulla mia infanzia e sulla mia passione per il ruolo di portiere. Stava per cominciare la stagione 2006/07 e l’Inter aveva creato una squadra stellare, poggiata su un gioco affascinante e animata da una serie di calciatori degni di vestire la casacca nerazzurra; tra questi figurava "l’acchiappasogni", il portiere dei miracoli, Julio Cesar. Ero un bambino, frequentavo la scuola elementare e per zittire la rigidità estrema della mia insegnante amavo rilassarmi ogni weekend guardando lo sport in tv, soprattutto il calcio, la mia più grande passione. L’era del Manchester United targato Ferguson e di un teatro dei sogni immenso, ma anche il periodo nel quale la mia Inter iniziava ad acquistare la mentalità vincente grazie a Roberto Mancini e alla qualità tecnica di Julio Cesar, con il quale durante il ritiro di Brunico mi scattai una foto. Osservavo però anche gli altri campionati, alla ricerca di profili intriganti in grado di incantarmi, visto e considerato che essendo un bambino, bastava un semplice gesto per conquistarmi. Tra questi calciatori, iniziai a puntare il dito su un giovane portiere, professionale e spettacolare tra i pali; si trattava di Samir Handanovic, che in quella stagione difendeva la porta del Rimini, avversaria della Juventus nella prima giornata del campionato di serie B dopo il caos Calciopoli che imperversava nelle strade. Correva la torrida estate 2006 e, come di consueto in quel periodo, con i miei genitori ci recammo a Brunico, località del Trentino Alto-Adige, che ospitava il ritiro dell’Inter; ricordo ogni giornata passata a guardare l’allenamento, ma anche le numerose escursioni in auto che amavamo fare, per scoprire l’immensa natura della montagna e le affascinanti valli che abbracciano la splendida regione del Nord Italia. Fu così che in uno di questi viaggi, precisamente nei pressi di San Vigilio di Marebbe, notammo un certo afflusso di tifosi nei pressi di un centro sportivo, e tra gli sguardi attivi dei sostenitori e la voglia di scoprire che cosa stava succedendo, capii ben presto che in quella zona si trovava la squadra del Rimini, impegnata sulla preparazione estiva, essenziale per affrontare al meglio la futura stagione. Scesi dalla mia auto e andai incontro ai portieri, che stavano correndo l’uno accanto all’altro, per tirare un po’ il fiato. Individuai il mio bersaglio preferito, Samir Handanovic, al quale rivolsi un applauso, perché ormai era entrato nel mio cuore. Osservai l’allenamento per poco tempo, ma appena tornato in macchina conservai sin da subito il desiderio di vederlo un giorno a difendere la porta dell’Inter, quando Julio Cesar non avrebbe più vestito la casacca nerazzurra.
Passarono gli anni in modo velocissimo, e ammirai il portiere brasiliano in ogni suo particolare, sostenendo sempre la tesi che, nonostante i grandi campioni che aveva quella squadra, il miglior portiere al mondo e il giocatore di talento del club si identificava nell’acchiappasogni, e il futuro mi dette ragione, anche perché l’Inter di Mourinho riuscì ad entrare in finale di Champions grazie alla super prodezza di Julio Cesar su Leo Messi nella notte catalana, caldeggiata da una sofferenza immensa.
Come succede nella vita, tutto ha un inizio ed una fine, ed ecco che dal tetto del Mondo l’Inter pian piano è scesa, toccando anche alcuni aspetti imbarazzanti, non idonei al blasone del club. Per fortuna però, dopo il triste addio in lacrime di Julio Cesar, coronai il mio sogno, dettato dall’arrivo di Handanovic, che la stagione precedente aveva difeso la porta dell’Udinese. Tra il dispiacere per Julio e lo stupore per Samir, mi ritornò alla mente il mio passato, e adesso avevo in mano un dovere: dimostrare di averci visto bene, di aver compreso la bravura dello sloveno, anche perché la storia dell’Inter testimonia una certa importanza nel ruolo di portiere. Dal punto di vista dei risultati rimasi deluso dalla squadra, ma l’unico giocatore che mi faceva ancora innamorare della maglia era proprio Handanovic, che nel corso degli ultimi anni ha evitato alla società di Corso Vittorio Emanuele il baratro più profondo, grazie ad una serie di miracoli degni dei cartoni amati.

DA SOGNO D’INFANZIA A VERA REALTA’

Come cambia la vita! Una frase che molto spesso viene ripetuta in ogni ambito.
Ed è vero, sicuramente il flusso vitale di emozioni può mutare da un momento all’altro, ma i ricordi passati ritornano a galla come i detriti portati dai fiumi nei laghi, che scoloriscono le acque ma sono presenti in ogni aspetto. Ecco che, come ho detto più volte, quest’anno ho avuto la fortuna di possedere un abbonamento allo stadio per la mia Inter. Un regalo che mi è stato consegnato grazie alla volontà di mia nonna, scomparsa tra l’altro molto recentemente, attraverso il quale ho potuto provare un’esperienza diversa, al fianco del mio migliore amico nerazzurro nello stadio che rende possibile l’impossibile.
Tra i vari giocatori che corrono nel verde prato di San Siro, in testa ho solo lui, il portiere dei miei sogni, Samir Handanovic. È un onore rilassarsi sui seggiolini del Meazza e osservare i miracoli che compie lo sloveno, anche perché in tutti questi anni ho sperato ciecamente di vederlo vestito con la casacca nerazzurra. Difficile citare il moto uniforme di sensazioni provate durante l’ultima giornata di campionato; una gara estrema, sofferta in un modo incredibile dall’Inter e risolta non grazie al gioco di squadra, ma per merito di Samir Handanovic, autore di uscite impressionanti e ricche di gloria. Per quanto mi riguarda, sono uscito dallo stadio con quello sguardo che avevo da bambino, quando in quella famosa vacanza estiva iniziai a conservare il sogno del futuro, quel futuro che adesso mi ha portato il miglior portiere della Serie A e al quale devo stringere la mano, perché effettivamente, pur avendo 7 anni in quel periodo, ci avevo visto giusto.
Come cantano Raf e Umberto Tozzi “i sogni sanno attraversare ogni confine”, e il sogno di un ragazzino ha trovato forma nella vera realtà, in quell’amico ideale che adesso mi protegge sempre, con la serietà di un tempo remoto e con la professionalità di un vero uomo.
Grazie Samir, per me è un onore averti in squadra!