Pepito.
Fu addirittura il mostro sacro Enzo Bearzot ad affibbiargli tale nomignolo[1]. Un’investitura “regale” per un gioiello del nostro calcio mai brillato davvero come avrebbe meritato.

Negli ultimi anni si è sempre sentito parlare di Balotelli e Cassano come i più grandi rimpianti del calcio italiano degli ultimi 20 anni, dimenticandosi, spesso, del talento italo-statunitense, ostacolato non dal suo caratteraccio, non dalle sue bizze, ma da una fragilità fisica che lo ha pesantemente limitato e che ne ha frenato il grande salto sull’Olimpo.


GLI ESORDI
Nato negli USA da padre di origini abruzzesi e madre di origini molisane, Rossi si trasferisce giovanissimo a Parma, entrando nel settore giovanile dei ducali, attraendo addirittura il Manchester United, che a soli 17 anni lo acquisisce intravedendone le potenzialità.
Con la maglia dei Red Devils fa il suo esordio in Coppa di Lega e poi, nella stagione 2005/06, mette a segno le sue prime reti ufficiali: una in Premier, due in FA Cup e un’altra in Coppa di Lega.

IL PRIMO SUSSULTO
Per garantirgli maggior continuità, lo United presta il diciannovenne Giuseppe al Newcastle. La parentesi dura però fino a gennaio 2007, quando passa in prestito al “suo” Parma. La squadra gialloblù è in estrema difficoltà ed è una delle candidate alla retrocessione nella serie cadetta. L’impatto è devastante: nella gara d’esordio con il Torino, la rete che vale i tre punti porta la sua firma e rilancia le speranze emiliane.
Speranze ben riposte, in quanto, grazie al suo contributo totale di 9 reti, la squadra si salva all’ultimo turno.
Un girone di ritorno con numeri da paura, che, però, sembrano non bastare a nessuna società italiana per poterlo acquistare. Il Manchester, infatti, non volendo puntare su di lui, lo cede a titolo definitivo ai rampanti spagnoli del Villareal, che per 11 milioni si porta in casa il nuovo astro nascente del calcio italiano e non solo.
La brillante stagione gli vale comunque la convocazione agli Europei Under-21 nel 2007 e, in seguito, parteciperà alle Olimpiadi di Pechino 2008, nella quale si laurea capocannoniere con ben 4 reti a referto, e nella Confederations Cup 2009, segnando due reti (ancor oggi miglior marcatore di sempre azzurro nella competizione insieme a Balotelli). Brevi pillole di felicità con una maglia tremendamente controversa per lui in futuro.

DA GIUSEPPE A PEPITO
E’ proprio il periodo vissuto nel “Sottomarino giallo” a farlo consacrare: una seconda punta non eccessivamente fisica che comincia a segnare come un centravanti.
Nei primi 3 anni spagnoli segna 45 reti, acciuffando i quarti di finale di Champions League nella stagione 2008/09, eliminato poi dall’Arsenal. Tale rendimento però non basta per essere convocato da Lippi ai Mondiali: è il primo sintomo di una autentica maledizione azzurra.
Dopo la delusione per la mancata convocazione, Pepito sfoggia il meglio della sua carriera, imponendosi definitivamente come pezzo da novanta del parco attaccanti europeo: nella stagione 2010/11 segna 18 reti in Liga che valgono il ritorno degli spagnoli nella massima competizione continentale conquistando il 4°posto, e altre 14 reti tra Europa League (dove approda fino alle semifinali e di cui è vicecapocannoniere del torneo) e Coppa del Re.
Diventa così il miglior marcatore di tutti i tempi del suo club, icona di quelle stagioni ad alti livelli.

Quando questo sembra solo l’inizio di una brillante avventura, arriva il patatrac: stagione 2011/12, il legamento crociato salta. Non una, ma ben due volte in una stessa stagione.

Cosa possa provare un calciatore che ha fornito delle prestazioni convincenti, che sembra possa divenire il simbolo di un nuovo corso azzurro e diventare un prodigio assoluto nel momento in cui tutto ciò che sembrava possibile va in pezzi non è immaginabile.
Un ragazzo sempre composto, a modo, che incrocia un destino beffardo.
E non è un caso che, proprio in concomitanza con il suo gravissimo infortunio, la sua squadra retroceda in Segunda Division.
E’ la fine dell’avventura spagnola, che formalmente si chiuderà a gennaio 2013 con il passaggio alla Fiorentina, ma lì serberanno sempre un ricordo di quell’italoamericano dalla faccia pulita e dal goal facile.

LA PARTITA PERFETTA
Dopo aver trascorso gli ultimi due anni in infermeria, Pepito prova a rinascere con la Viola.
E’ l’anno dei Mondiali, e stavolta non ha nessuna intenzione di perdere il treno troppe volte vicino e mai partito.

E’ il 20 ottobre del 2013 quando al Franchi arriva la Juventus campione d’Italia di Conte. Per il popolo toscano è da sempre la partita per eccellenza, quella da onorare a tutti i costi.
La Juve domina la prima frazione e va sullo 0-2 con le reti di Tevez e Pogba, entrambi protagonisti di una esultanza che ricorda la leggenda Batistuta e la sua mitraglia. 
Una ferita per il popolo toscano, inaccettabile.
Sembra una partita segnata, ma Pepito si sveglia improvvisamente dal torpore: al 61’ un suo calcio di rigore riapre il match. Poi, in meno di cinque minuti, tra il 76’ e l’80’, la storia del calcio passa da Firenze: Pepito pareggia i conti, poi lo spagnolo (neanche a dirlo) Joaquin e infine ancora Rossi, che si lascia andare ad un’esultanza liberatoria, firmano una rimonta epica, fissando il risultato finale sul punteggio di 4-2.

Firenze è impazzita: c’è chi vuole gli highlights di quell’impresa caricati su Youporn, chi non crede ai propri occhi su quello che è appena avvenuto, chi piange dalla gioia per un’impresa memorabile.
E’ un autentico delirio.
Se l’impresa della squadra all’epoca allenata da Montella è collettiva, un nome su tutti la fa da padrone: è quello dell’eroe nativo del New Jersey, simbolo della vittoria contro la rivale di sempre.
Una partita semplicemente perfetta.

LA MALEDIZIONE AZZURRA
La straripante rinascita con la maglia della Fiorentina gli consente di tornare nel giro della Nazionale a distanza di due anni dall’ultima apparizione e assolutamente in corsa non solo per essere selezionato per la spedizione in terra carioca, ma addirittura per essere l’uomo di punta del reparto offensivo.
Sedici reti in Serie A e tante giocate importanti, che valgono per il secondo anno di fila il quarto posto, sembrano stavolta bastare: viene preconvocato per i Mondiali dal CT Prandelli e disputa l’amichevole contro l’Irlanda.

Per chi lo ha seguito sembra finalmente giunto il grande momento: dopo aver saltato l’edizione precedente escluso dalle scelte di Lippi e gli Europei a causa del tremendo doppio infortunio, adesso sembra arrivata la riscossa, la grande ribalta dopo tante ombre. Ma evidentemente, Pepito, inconsapevolmente, deve aver urtato la sensibilità degli Dei del calcio: anche stavolta le scelte tecniche non pendono dalla sua parte e lui si ritrova inspiegabilmente (almeno per chi scrive) fuori dalla lista per il Mondiale, con l’epilogo amaro che tutti conosciamo (uscita ai gironi).
E anche il più educato e cortese degli uomini, di fronte a queste avversità, sbotta: Rossi si lanciò in un tweet contro le scelte di Prandelli, che giustificò la sua esclusione a causa di uno stato di forma ancora non completo per poter prendere parte al torneo iridato. Questa sciagurata decisione (confermata a posteriori, anche se, ovviamente, non si può attribuire il fallimento totalmente all’assenza di Pepito) fu molto criticata e trovò terreno fertile tra i sostenitori dell’attaccante, a cui lo stesso Cesare Prandelli dovette replicare dando una versione differente dei fatti[2].
Ad ogni modo, quella esclusione fu la pietra tombale su una carriera ad alti livelli: tra infortuni e prestiti in Spagna, si ritroverà poi al Genoa, ultima squadra in cui ha militato fino alla fine della stagione 2017/18, a cui seguirà un caso antidoping concluso con una nota di biasimo e senza alcuna pena aggiuntiva.

E ADESSO?
Adesso è trascorso un anno intero in cui Pepito è svincolato, ma ancora voglioso di dare gli ultimi morsi ad un pasto troppo indigesto per essere vero. I traguardi che avrebbe ampiamente meritato sono ormai irraggiungibili e nella memoria collettiva resteranno sprazzi di classe immensa supportato da serietà e mezzi tecnici notevoli, unitamente ad una sfortuna che ha davvero pochi eguali nel mondo del calcio moderno.
Le voci di mercato vorrebbero un interesse da parte di alcuni club di Serie B, tra cui le neoretrocesse Empoli e Frosinone e l’ambiziosa Cremonese.

Per chi ha avuto il piacere e l’onore di ammirarne le giocate, sarebbe straordinario avere la possibilità di assaporare ancora per qualche altra sfida il talento di questo calciatore, che avrebbe potuto essere molto di più e che, invece, così non è stato.
Lo scrivo con il magone, perché quando penso a lui ho solo una parola che riassume tutto: rimpianto.

E stavolta non sto usando il termine a caso, come volentieri accade per altri campioni o pseudotali: Rossi era davvero un portento, uno di quei calciatori volenterosi e capaci di stare sul pezzo come pochi.
Gli Dei del calcio non sono stati clementi, ma un ultimo scorcio, ci auguriamo, potrebbero ancora concederlo, anche in palcoscenici minori.

 

[1] https://www.goal.com/it/news/1767/confederations-cup/2009/06/21/1337812/bearzot-sar%C3%A0-rossi-luomo-chiave

[2] https://sport.ilmattino.it/calcio/prandelli_rossi_destro_convocazioni_mondiali_italia-441444.html