Siamo nell’estate del 1980. l’Italia calcistica, dopo un blocco durato quasi quindici anni, riapre le porte ai calciatori stranieri.

La decisione di chiudere le frontiere ai giocatori non italiani risaliva al lontano 1966, all’indomani della clamorosa disfatta al mondiale d’Inghilterra, quando i sogni di gloria azzurri erano malamente svaniti sotto i colpi dei dilettanti nordcoreani e la nazionale italiana subì l’onta della sconfitta per mano di Pak Doo Ik, detto “il dentista” (ma dentista non era).

L’indignazione nazionalpopolare fu assoluta. Un esempio? Il ct Fabbri, ritenuto il principale responsabile, al rientro in Italia fu accolto dal lancio di pomodori. Sul banco degli imputati finiscono anche le società, accusate di importare troppi campioni dall’estero e di essere quindi tra le cause principali di una sconfitta che non rappresentava effettivamente la qualità del nostro calcio. Per questo si decise a furor di popolo di impedire l’arrivo dei calciatori stranieri, lasciando che sui campi verdi corressero soltanto giocatori italici.

Quando nel 1980 questo editto proibizionista viene annullato, e ad ogni club viene concesso di tesserare un solo straniero, i tifosi ricominciano a sognare. In estate i presidenti delle big non perdono tempo e si aggiudicano i migliori calciatori esteri disponibili sul mercato internazionale: alla Juventus arriva dall’Arsenal l’irlandese Liam Brady, pronto a vestire la maglia numero 10 che era stata di Omar Sivori; alla Roma arriva dal Porto Alegre un certo Paulo Roberto Falcao, destinato a riportare i giallorossi ai vertici del calcio italiano ed europeo; la Fiorentina apre la sua passione argentina con Daniel Bertoni; all’Inter sbarca Proaska, messosi in evidenza con la nazionale austriaca ai mondiali del 1978; il Napoli si assicura il difensore olandese Krol, protagonista con l’Ajax e con la sua nazionale nei primi anni settanta; Avellino s’infiamma con Juary, talento senza gloria del calcio brasiliano.

La corsa all’acquisto è folle, le società più piccole e meno ricche devono ingegnarsi per riuscire a fare il colpo che può svoltare una stagione e far sognare i tifosi, oltre che far riempire stadi e casse societarie. Una di queste realtà è un club che sembra un vero e proprio intruso a quei livelli: la Pistoiese del presidente Melani, detto “Il Faraone”.

A Pistoia Melani è una vera e propria istituzione. D’altronde è l’uomo che ha portato in pochi anni la squadra della città dalla serie D fino al gotha del calcio europeo, la Serie A. Melani non ci sta a fare la comparsa nella massima serie, è pronto a tutto. E sull’onda dell’entusiasmo dei propri tifosi, il vulcanico presidente vuole provare il colpo di mercato a sorpresa: lo straniero dal fascino esotico. La scelta ricade sulla più grande fucina di talenti al mondo, il Brasile.

Ricordate il film “L’allenatore nel pallone”? Ricordate quando Oronzo Canà vola in Brasile accompagnato dall'improbabile osservatore Andrea Bergonzoni, alla ricerca di un nuovo talento per la sua Longobarda, per poi tornare in Italia con Aristoteles? Ecco, nella nostra storia succede la stessa identica cosa.

Il Faraone spedisce il suo allenatore in seconda, Giuseppe Malavasi, a Rio de Janeiro, alla ricerca della punta di diamante da impacchettare e imbarcare sul primo aereo per la Toscana. E Beppe ha un solo obiettivo appuntato sul taccuino: un centravanti che faccia gol. È così che, durante uno dei suoi numerosi viaggi negli stadi paulisti, Malavasi s’imbatte in un Ponte Preta – Comercial. La partita viene decisa dalla doppietta di Luis Silvio Danuello. E il buon Beppe rimane folgorato dalla prestazione di questo giovane ed esile giocatore offensivo dalla chioma riccia e dallo sguardo languido: si precipita negli spogliatoi, riuscendo a strappare l’agognato sì, per 170 milioni di lire, a quello che sarebbe stata la stella della piccola compagine toscana.

Così, nell’estate del 1980 Luis Silvio arriva nella vecchia sede arancione di Corso Gramsci insieme alla giovane madre, accolto da circa duecento tifosi con cori e striscioni scritti in un maccheronico portoghese. Il viso d'angelo ed i riccioli neri fanno subito breccia nel cuore degli appassionati e le sue prime parole sono: “Io sono molto veloce, per picchiarmi dovranno prendermi”.

Torna in Brasile per sposarsi con l'allora diciassettenne Jane, per rientrare dopo pochi giorni in città ed iniziare la sua avventura italiana, che però si rivelerà un autentico disastro: in pochi mesi Luis Silvio Danuello si rivelerà il più clamoroso bidone della storia del calcio italiano.

Dopo poche settimane, infatti, l’allenatore Lido Vieri si rende conto che il giocatore non è adatto al livello agonistico della Serie A. Del resto Luis Silvio è un’ala destra dal fisico leggero, ruolo completamente diverso da quello del centravanti per cui era stato acquistato a peso d’oro. Danuello prova comunque ad impegnarsi, ma il calcio italiano è spietato. Colleziona la miseria di 6 presenze in campionato senza gol né assist. Colleziona soltanto gli sfottò dei sostenitori avversari e addirittura di parte della carta stampata.

Luis Silvio, dopo queste fugaci e incolori apparizioni, scompare. Non scende più in campo.

Nella primavera del 1981 Luis lascia l’Italia nel silenzio generale con la moglie e la figlia Amanda e torna in Brasile. Fa ritorno in Italia nell’autunno successivo per definire la risoluzione del contratto che lo legava, alla Pistoiese per altri cinque anni. Da quel momento in poi Luis Silvio sparisce dai radar e iniziano a circolare leggende incredibili sul suo conto: alcuni giurarono di averlo visto vendere gelati fuori dallo stadio di Pistoia, altri, più fantasiosi, sostennero che il calciatore brasiliano avesse recitato in alcuni film porno. Più semplicemente Luis si ritirò nella sua terra natia, dove conclude, nel 1987, la sua non certo epica carriera calcistica. Ma in quell’estate del 1980, in cui le partite venivano vissute alla radio tramite le voci di Ameri e Ciotti, Luis Silvio Danuello scrisse una pagina fatta di sogni e delusioni, di speranze e di gol mai realizzati, che si persero nel silenzio di un calcio che, di lì a poco, sarebbe del tutto scomparso.