I socialisti amano dire che il socialismo non ha mai fallito, perché non è mai stato provato.

In verità, il socialismo ha fallito in ogni paese in cui è stato applicato e in qualsiasi forma sia stato applicato, dall'Unione Sovietica, alla Cina, alla Jugoslavia, a Cuba, fino a Israele. Mentre c'erano grandi differenze politiche tra il dominio totalitario dei sovietici e dei rispettivi alleati, e la politica democratica di Israele, tutte le nazioni sopra citate hanno aderito ai principi socialisti, nazionalizzando le principali industrie e mettendo il processo decisionale economico nelle mani del Governo.
Come diceva Ayn Rand, la differenza fra il comunismo e il socialismo è la stessa che c'è fra omicidio e suicidio: in una vieni ucciso, nell'altra lo fai di tua spontanea volontà, ma il risultato è sempre lo stesso.

Il fallimento sovietico è stato ben documentato dagli storici. Nel 1985 il segretario generale Mikhail Gorbaciov prese il comando di un impero in bancarotta e in caduta libera. Dopo 70 anni di marxismo, le fattorie sovietiche non riuscivano più a sfamare la popolazione (e non che ci fossero mai riuscite tanto bene), le fabbriche non riuscivano a raggiungere le quote di produzione e i beni di prima necessità scarseggiavano nei negozi di tutte le città. Dopo 70 anni di marxismo, la gente moriva di fame!
Eppure, nonostante abbia portato alla catastrofe economica e umanitaria di mezzo mondo, il socialismo continua ad affascinare una fetta di intellettuali e politici dell'Occidente. Non possono resistere al suo canto di sirena, di un "mondo senza lotte perché senza proprietà privata". Sono convinti che un gruppo di burocrati possa prendere decisioni più assennate sul benessere di un popolo di quanto possa farlo il popolo stesso. Credono, parafrasando John Maynard Keynes, che "lo Stato è saggio e il mercato è stupido".

Israele adottò il socialismo come modello economico dopo la Seconda guerra mondiale. All'inizio il socialismo sembrava funzionare. Per i primi due decenni della sua esistenza, l'economia di Israele è cresciuta a un tasso annuo di oltre il 10%, portando molti a definire Israele un "miracolo economico". Il socialismo, nella sua prima ed unica applicazione democratica, sembrava funzionare. 
E poi...
Il "miracolo economico" israeliano è svanito nel 1965, quando il Paese ha subito la prima grande recessione. Per la prima volta, ci fu un dibattito pubblico tra i sostenitori della libera impresa e i socialisti. A guidare la strada del libero mercato fu il futuro premio Nobel Milton Friedman, che esortò i politici israeliani a "liberare il popolo" e a liberalizzare l'economia. Chiesero a Friedman un piano per salvare Israele. Le sue principali riforme comprendevano una diminuzione degli interventi statali e una riduzione della spesa pubblica; un minor intervento dello Stato nelle politiche fiscali, commerciali e del lavoro; tagli alle imposte sul reddito e privatizzazioni.
I politici Israeliani preferirono lo Status Quo.
Nel frattempo, il governo continuò ad indebitarsi, a spendere e a far salire l'inflazione e il debito pubblico (vi dice nulla un certo superbonus?), che raggiunse una media annuale del 77% nel periodo 1978-79 e un picco del 450% nel 1984-85. La quota dello Stato nell'economia crebbe fino al 76 per cento, mentre il deficit fiscale e il debito pubblico salirono alle stelle. Il governo stampò denaro attraverso prestiti della Banca d'Israele, che contribuì all'inflazione sfornando denaro che altro non era che carta straccia.

Quando arriva il libero mercato?
La bolla esplose nel 1983. Israele era vicino al collasso.
In questo momento critico, un simpatico presidente degli Stati Uniti tanto odiato dai socialisti di tutto il mondo, Ronald Reagan, e il suo segretario di stato, George Shultz, vennero in soccorso. Essi offrirono un finanziamento di 1,5 miliardi di dollari se il governo israeliano avesse accettato di abbandonare il socialismo e di adottare una qualche forma di capitalismo in stile americano, con l'aiuto di professionisti formati in America. Il sindacato israeliano, Histadrut, oppose una forte resistenza, non volendo rinunciare al proprio potere decennale e non volendo ammettere che il socialismo fosse il vero responsabile dei problemi economici di Israele.

Tuttavia, le riforme liberali avvennero.
L'impatto di un cambiamento fondamentale nella politica economica israeliana fu immediato e pervasivo. Nel giro di un anno, l'inflazione crollò dal 450% ad appena il 20%, il deficit di bilancio del 15% del PIL si ridusse a zero, l'impero economico e commerciale dell'Histadrut scomparve insieme al suo dominio politico, e l'economia israeliana venne aperta alle importazioni. Di particolare importanza è stata la rivoluzione high-tech israeliana, che ha portato ad un aumento del 600 per cento degli investimenti in Israele, trasformando il Paese in un attore di primo piano nel mondo dell'high-tech. Dopo questi successi, persino il Partito Laburista israeliano appoggiò le privatizzazioni e l'economia di mercato.

Dopo una modesta espansione negli anni '90, la crescita economica di Israele ha raggiunto la vetta delle classifiche nei Paesi in via di sviluppo negli anni 2000, spinta da una bassa inflazione e da una riduzione del perimetro statale. Ancora oggi, i partiti politici israeliani sono d'accordo sul fatto che non si possa tornare indietro alle politiche economiche dei primi anni: il dibattito riguarda quanto bisognerebbe ulteriormente abbracciare il libero mercato. Israele, come tutti i paesi che dal socialismo sono passati al libero mercato, è un miracolo economico. Un vero miracolo economico.

"L'esperimento più riuscito del mondo nel socialismo", scriveva Joseph Light dell'American Enterprise Institute, "è finito per abbracciato fortemente il capitalismo".

Cosa possiamo e dobbiamo imparare da questa storia?

Possiamo e dobbiamo imparare che anche in Italia un cambiamento è possibile. Perché una nazione i cui cittadini sono sottoposti a una pressione fiscale media del 47%, con un debito pubblico di 2700 miliardi di dollari e che nonostante un debito pubblico tanto elevato, si ostina a sostenere ogni anno una spesa pubblica di 1084 miliardi di dollari, non è in una situazione tanto diversa da Israele nel 1983.
L'Italia è una Nazione economicamente fallita, uno storico debitore insolvente, un Paese del tutto sfiduciato a livello internazionale: ma non fallirà mai, perché a differenza di Israele 40 anni fa, l'Italia si trova in un sistema politico ed economico globalizzato in grado di portarsi dietro senza troppi problemi zavorre come lo siamo noi e gli altri paesi dell'Europa meridionale.
La domanda è: noi italiani cosa vogliamo?