Il Napoli è ormai campione d’Italia, questione di ore, “il tempo di bere un altro caffè” (direbbe Renato Zero). 
E poi saranno festa grande e grandi celebrazioni. Celebreranno Osimhen, Spalletti, Kvaratskhelia e compagnia cantante. Canteranno O’ sole mio dedicandola a Di Lorenzo, s’intoneranno cori per Lobotka, scrosceranno mani per Kimi. E le strade si empiranno di auto e caroselli, i balconi si barderanno di bandiere, striscioni e pupazzi di campioni, un’esplosione di fumogeni deflagrerà ad ogni angolo di strada e miez’ a via, la città si colorerà “di sole e d’azzurro” (canterebbe Giorgia). E il 3 sul bianco del tricolore sarà l’autografo della storia. E da 3 si ricomincerà. E si ringrazierà, sì, si ringrazierà il cielo e tutti i suoi inquilini e’ Napul’: il sangue di San Gennaro si scioglierà, Diego palleggerà tra le nuvole al ritmo di Life is life, Troisi se la riderà scusandosi per il ritardo. 
Sì, il terzo scudetto del Napoli sarà un miracolo. Una festa ed un miracolo. 
Un miracolo sportivo, che ha tanti volti, tanti colori, tante storie, tante facce. 

Ma il vero miracolo è uno solo e ha la faccia barbuta del suo presidente. Il meno amato, il meno celebrato, poco empatico e scontroso, poco poetico e per niente sanguigno, l’Aurelio che litiga coi tifosi, che manda campioni esigenti a quel paese, che produce film e bilanci col miracoloso segno + davanti.  
È il miracolo di De Leaurentiis, è il calcio economico- sostenibile che vince. Vince lo stesso. 
E sì che è miracoloso! 
In un calcio dai conti drogati, dai bilanci in rosso e dalle perdite in banca come cartine al tornasole delle vittorie in campo (se arrivano, quando arrivano). In un sistema esangue, che abbisogna del “condono governativo” per non fallire. In un’industria che fattura milioni e ne spende il doppio, ricorrendo ad artifizi sempre al limite del lecito. In questo calcio dominato da petrol dollari e fondi stranieri, dove ti sveni per Ronaldo e fai follie per Cuccurella (della serie, tutto il mondo è paese). In questo calcio, lo scudetto del Napoli è un miracolo. E quel miracolo ha un nome e un cognome: si chiama Aurelio De Laurentiis. 

È il 2004 quando ADL acquista il Napoli per una trentina di milioni di Euro; più precisamente, fornisce garanzie per 32 milioni di euro, coperte da un prestito di UniCredit. 
Quello che trova è una landa desolata, Soccavo come Beirut, i seggiolini del San Paolo come le panchine d’una stazione dismessa, la passione di un popolo spenta. Un day after ben fotografato dal “sopravvissuto” Roberto “el Pampa” Sosa.
In un’intervista concessa a Giancarlo Dotto per la Gazzetta dello Sport, il primo centravanti del Napoli di De Laurentiis (ingaggiato nel 2004 dal direttore sportivo Pierpaolo Marino) ha raccontato i tempi incredibili vissuti da quella squadra nata dal fallimento:  “Firmai il contratto in una stanza dell’Hotel Vesuvio. Non esisteva una sede. Non c’era nulla. Zero. Tutto sequestrato. Tutto così surreale”. Era il Napoli del post Ferlaino e dei disastrosi tentativi di risanamento di Giorgio Corbelli e Salvatore Naldi; era il Napoli retrocesso in Serie C1 e iscritto al campionato con la denominazione di Napoli Soccer.

Oggi, a distanza di un ventennio, il Napoli (che ha riacquisito la sua originaria denominazione) vale due miliardi di euro. Bilanci sani, conti in ordine e tetto agli ingaggi; in altre parole, il calcio inteso come impresa pura, dove non si spende più di quanto s’incassa e non si offre ai calciatori contratti che non ci si può permettere. Così, Aurelio De Laurentiis ha fatto risorgere la Fenice azzurra dalle ceneri del fallimento, riportandola in alto.
Per la cronaca, quel prestito di 32 milioni venne interamente restituito dallo stesso Napoli nel giro di tre esercizi. 
Nel suo primo decennio, dal 2004 al 2014, ADL ha speso 16,5 milioni di euro, pari alla somma dei versamenti in conto capitale, concentrati tutti nei primi tempi di gestione. 
Dopo le prime due stagioni in C, chiuse in rosso, De Laurentiis ha sempre firmato bilanci in utile: sette esercizi di fila con profitti e con alcune plusvalenze-record, come quelle di Gonzalo Higuain (86 milioni) ed Edinson Cavani (64 milioni), alle quali hanno fatto seguito quelle di Jorginho (59 milioni) e Kalidou Koulibaly (preso a 10 milioni dal Genk e venduto al Chelsea per 38 milioni, più 2 ulteriori legati ai bonus).
Prendendo, poi, ad esempio, l’ultimo mercato (quello che ha partorito il Napoli campione d’Italia), gli stipendi degli arrivi estivi pesano 25 milioni lordi all’anno sul bilancio del club, contro i 40 dei giocatori che sono partiti. Il monte-ingaggi è passato da 94 milioni a 79, per un taglio del 16%, in linea con l’obiettivo fissato al 15%; sono stati incassati 81 milioni e ne sono stati spesi 68, posticipando i 25 necessari per il riscatto di Raspadori al prossimo anno (Simeone, invece, è stato “pagato” da Petagna). 

Ed è sempre stato così: c’è sempre una strategia e c’è sempre la capacità di applicarla. Sì, perché non basta una strategia, un modello, un sistema imprenditoriale, serve anche la competenza, le capacità, le intelligenze.  E De Laurentiis ha sempre cercato di attorniarsi di collaboratori all’altezza, a partire dal figlio, a detta dei molti, non il classico figlio di papà messo lì a non far danni, ma un attento e capace braccio destro. 
A questa impostazione prettamente imprenditoriale, a cui ADL ha totalmente piegato ogni scelta, si aggiunge infatti la competenza dei suoi collaboratori, la loro capacità di fare le scelte giuste, la lungimiranza delle decisioni, la sagacia calcistica che diventa coraggio quando, sempre prendendo ad esempio la fortunata estate scorsa, vengono ceduti i senatori e si costruisce lo scudetto sulle gambe di Kvaratskhelia e Kimi. 

Fortunata, certo. Perché nel calcio, e nel calciomercato in particolare, la fortuna è un elemento indefettibile affinché tutto vada bene; epperò alla base, nun ce sta' nient a fa', deve esserci la competenza di chi opera. Collaboratori, allenatori, direttori sportivi, dirigenti del settore giovanile, addetti stampa, scouters: “De Laurentiis si è circondato sempre di collaboratori bravi e questo fa la differenza”, parole di Riccardo Bigon (che del Napoli è stato ds). 

E poi c’è l’aspetto, centrale, dei diritti d’immagine. È qui che il patron partenopeo ha dato il meglio di sé, dimostrando capacità e cultura imprenditoriali fuori dal comune, almeno per il mondo del pallone. Dovete sapere che l’immagine dei calciatori ha un suo valore, dato dalla presunta capacità di generare maggiori profitti a favore delle imprese che si legano a essi con accordi commerciali, che prevedano la sponsorizzazione dei propri prodotti. La cessione dei diritti d’immagine a una società prevede che i calciatori rinuncino alla possibilità di generare introiti extra attraverso di essi, lasciandone la gestione e gli eventuali ricavi alla società stessa, in cambio d’ingaggi lordi leggermente più alti. E sotto questo aspetto, ADL non fa sconti a nessuno. 
Nell’ultima sessione di calciomercato, come accaduto più volte negli ultimi anni, questa questione ha rallentato per l’ennesima volta le operazioni in entrata del Napoli, finendo per farne sfumare molte. In questo ambito la società di De Laurentiis rappresenta una eccezione quasi unica nel mondo del calcio. Se nel mondo dello spettacolo (che il presidente del Napoli conosce molto bene), la cessione dei diritti d’immagine è la prassi, nel calcio questa strada viene battuta sporadicamente e in relazione a casi particolari, che possano soddisfare il reciproco interesse di club e calciatore, senza che questo argomento diventi un vincolo, a volte insormontabile, nelle trattative. 
Per il Napoli, invece, quella della gestione del 100% dei diritti d’immagine dei propri calciatori sembra essere quasi una questione di principio.  Ipse dixit: “Non verrà mai un calciatore senza cedermi i diritti d’immagine”. La definisco una questione “quasi di principio” perché in effetti tale approccio integralista non è che abbia fruttato così tanto: se fino alla stagione 2009/10 gl’introiti di questa voce avevano infatti raggiunto in quell’anno la cifra massima di 7,4 milioni, nei cinque bilanci successivi gl’incassi non hanno mai superato i 330 mila euro (eccezion fatta per la stagione 2013/14, quando un accordo con Vodafone fruttò al club poco più di 2 milioni). Ma probabilmente, conoscendo ADL, è più che una mera questione di principio, probabilmente c’è la convinzione, anche qui, di affermare un modello che nel lungo termine darà risultati eccellenti. Del resto, non è un mistero che il presidente stia, per esempio, pensando a una linea di scarpe targata Napoli. 

Vedremo… Intanto, i fatti parlano chiaro e dicono chiaramente che la capacità imprenditoriale di De Laurentiis e la competenza dei suoi collaboratori (che da quella stessa capacità ovviamente discende, perché è lui che li sceglie) sono il segreto di questa meravigliosa città 'e Pulecenella vestita d’azzurro. 
Insomma, è la competenza che produce risultati, non le scorciatoie a suon di milioni, né l’auto referenzialitá di taluni. E il Napoli, che dalla C1 è asceso alla élite del calcio fino a vincere, oggi, il suo terzo scudetto, ne è la prova. La capacità di un imprenditore, la competenza dei suoi collaboratori. 
Un principio che dovrebbe essere preso a modello anche dalla politica, parolaia, paraculata, autoreferenziale, spesso e volentieri                     de-meritocratica e dai risultati sempre insufficienti. Cari politici, prendete spunto, mettete la gente brava nelle leve di comando del Paese e questo Paese risolverà molte delle sue irrisolte questioni. Smettetela di gestire il consenso, gestite le istituzioni; e siate una politica che non pensi agli “abbonati” ma ai risultati… ché poi gli “abbonati” arrivano lo stesso. Insomma, ve la dico alla Kennedy (idolo di De Laurentiis): lavorate non per le prossime elezioni, ma per le prossime generazioni.

Fate come lui, ADL, ché generazioni di napoletani lo ringrazieranno e lo ricorderanno. 
Questo scudetto, lo imprimeranno sui muri, se lo tatueranno sul braccio, se lo scolpiranno nella memoria. Questo Napoli è già storia, una storia scritta dalla sapientissima mano del suo autore: ADL