Anche il Diavolo può essere costretto ad affrontare il proprio inferno.
Le ultime stagioni del Milan, parafrasando la situazione in termini sportivi, ne è la diretta riprova. Caduto dal suo “paradiso” di vittorie, in particolare dopo l’esonero di Max Allegri, la società rossonera ha cominciato un lungo e periglioso viaggio in una sconfinata valle di lacrime. Il Diavolo, come dicevo in apertura, ha così cominciato a subire lui stesso una discesa infernale, la quale però pare essere l’unica vera strada per poter tornare grande. Nel mito, attraversare l’inferno era un’allegoria molto diffusa, tanto che da esso trasse ispirazione lo stesso Dante, nella creazione della sua celeberrima Divina Commedia. In epoche ben più antiche della sua però, il viaggio all’Inferno non era necessariamente di sola andata. In un certo senso, rappresentava una sorta di percorso obbligato, il sentiero unico che si doveva affrontare verso una sorta di redenzione o di nuovo inizio. Un po’ insomma ciò che sta vivendo, o subendo, quella che per 30 anni è stata una delle società più gloriose e titolate d’Europa.
Un Diavolo che per lungo tempo si è permesso di regnare in paradiso, ma da cui alla fine è stato scacciato da una malcelata superbia e una totale mancanza di visione futura. E così, caduto dall’alto dei cieli stellati, il principe oscuro dei campi erbosi si è visto costretto a cercare una nuova via verso il successo perduto. Ironia della sorte, si è trovato a doverlo fare ricominciando realmente da capo.
Non solo ha perso il dominio su campo altrui, ma persino nel suo medesimo regno. In un’epoca come questa, dove vediamo un Milan spaventato egli stesso dalla grandezza di San Siro, dalla magnificenza della sua casa, come infatti potremmo descrivere meglio la situazione? No, non c’è più un vero regno del Diavolo, non ancora almeno. Per riconquistarlo, egli dovrà attraversare o, meglio ancora, ultimare questo suo viaggio ripartito dalle basi profonde. Fare insomma ciò che Teseo, Eracle, Ulisse, Orfeo e diversi altri, di quello splendido e tragico mondo antico, hanno fatto prima di lui. Percorrere le vie terribili dell’inferno, superarne gli ostacoli e ripulire il proprio spirito delle scorie del passato. 

Al di là della concezione moderna e cristiana che abbiamo dell’inferno, un tempo l’oltretomba non era semplicemente luogo di riposo eterno. Come dicevo, era terra di prova per i più coraggiosi, tra i quali spiccavano in particolare coloro che dovevano lasciarsi un pesante passato alle spalle. Per gli antichi infatti, così come lo stesso Dante cercherà di ricalcare, l’Averno o Ade era suddiviso in aree. Queste ultime erano facili da riconoscere, in quanto a dividerle vi era sempre un fiume. Cinque in tutto sono i fiumi che scorrono negli inferi, ognuno dei quali con una precisa caratteristica, ognuno dei quali rappresentante un particolare rito di passaggio. Quando studiavo psicologia al liceo, una mia professoressa ci parlò delle cinque fasi dell’elaborazione del lutto. Esse erano state enunciate da una psichiatra svizzera, Elisabeth Kübler Ross, la quale aveva studiato cosa accade psicologicamente a chi deve affrontare la morte, propria e altrui. Fasi che, a detta della mia insegnante, potevano in un certo senso essere rappresentate metaforicamente da quei cinque fiumi sotterranei e terribili. Il cambiamento in effetti riveste diverse caratteristiche del lutto, sebbene in maniera completamente diversa e, soprattutto, meno tragica. Esso sancisce infatti la fine di una cosa e l’inizio di una nuova, la quale però è ignota e comporta un sacrificio per essere raggiunta. Nulla è infatti gratis a questo mondo e, probabilmente, in nessuno dell’intero universo. Che si tratti di fatica, dolore, delusione, ogni cambiamento necessita tutto o parte di ciò, per fare in modo che esso possa concretizzarsi e dare così inizio a qualcosa di nuovo. E sebbene molti di noi ne sono consapevoli, quello che purtroppo ci dimentichiamo tutti è quanto la strada del cambiamento sia lunga e ricolma di ostacoli. Ostacoli che, per un’ironia ancor più beffarda, provengono da noi, e noi soltanto. Prima o poi, per farla breve, chiunque di noi deve affrontare i propri demoni.

Negazione, rabbia, illusione, depressione, rassegnazione. Questi sono i nomi dei nostri demoni più potenti, il cui potere si scatena in quel tremendo processo quale è il cambiamento. Sono esse infatti le fasi di elaborazione di cui parlavo poco fa, quelle che la Kübler Ross enunciò superbamente. Fasi che il Milan, volente o nolente, ha dovuto cominciare ad affrontare diversi anni fa e, per quanto il viaggio sia già stato lungo e ricolmo di delusione, purtroppo non è ancora finito. Un viaggio dove lo abbiamo visto negare il desiderio di cambiare, così come i defunti non accettavano il trapasso giunti sulle sponde dell’Acheronte, Fiume del Lamento. Un viaggio dove lo abbiamo osservato cercare di ribellarsi con furore alla propria pena, esattamente come gli iracondi riarsi nelle fiamme del Flegetonte. In cui lo abbiamo visto cadere nelle soffocanti illusioni, paludose come l’acqua spessa e densa dello Stige, espresse dall’interno, nel momento in cui salì al comando un ometto orientaleggiante, ricolmo di denaro e di dubbi propositi. Nel quale lo abbiamo infine apprezzato quando, tornato tristemente alla realtà, ha cercato di reagire al gelo della depressione e del raccapriccio, le cui ceneri sono come una neve spessa che appesantisce le spalle e può piegare lo spirito più impavido, se le gambe non sono sufficientemente solide. Una fase molto delicata questa, perché è in essa che si trovano i rischi maggiori, i demoni più famelici. Camminare infatti sulle lastre gelate del Cocito, dal cui letto Dante vide ergersi Satana in persona, è pericoloso come lo è qualsiasi territorio di mezzo. Una dimensione dove i nostri ho vinto, ho fatto e disfatto, si tramutano tristemente nei tremendi “avrei dovuto”, “avrei voluto”, “avrei potuto”. La dimensione del rimpianto.

Se forse il Milan non è ancora riuscito a superare questa fase, la quarta, è molto probabile che sia vicino al farlo. Ciò nonostante, mancherebbe ancora un necessario rito di passaggio, per poter completare il processo di cambiamento e poter così veramente rinascere. Quest’ultima fase, che allegoricamente corrisponderebbe al fiume Lete di miti antichi, non è quella più terribile, ma decisamente quella più difficile. Una delle cose più difficili per chiunque rimane infatti il riuscire a rassegnarsi, il dare l’addio definitivo al proprio passato affinché un nuovo futuro possa nascere. In alcuni miti infatti, coloro che potevano bagnarsi nelle acque del Lete potevano lavare la propria anima da ciò che erano stati, potendo così rinascere a nuova vita. Per Dante, il Lete era un passaggio obbligato per quelle anime che, espiati i propri peccati nel Purgatorio, potevano infine giungere alla beatitudine del Paradiso. E così anche il Milan, prima o poi, dovrà accingersi ad affrontare la sua prova più difficile. Ricacciare nell’oblio ciò che più ti è caro non è semplice, ma a volte si rende necessario, in particolare quando il ricordo cerca di lasciare la dimensione della memoria, per poter influenzare quella della realtà. Non si vive di ricordi, come dice un modo di dire spesso utilizzato, ed infine è giunto il momento di comprenderlo. 

Detto ciò, il Milan di traghettatori ne ha conosciuti molti, uno almeno per ogni fiume percorso in questo suo viaggio infernale verso l’approdo del nuovo inizio. Seedorf, Inzaghi, Mihajlovic, Montella, Gattuso. Ora, a ricoprire il ruolo di tetro nocchiero c’è un certo Pioli, il quale ha l’arduo compito di effettuare l’ultima traversata, quella in apparenza più tranquilla, ma anche quella che ha il prezzo molto elevato, soprattutto dal punto di vista emotivo. Se egli riuscirà a farcela, nel breve o nel medio periodo, allora forse solo allora ci si accorgerà di come questo Milan, al di là di tante criticità, è colmo di ricchezze. Per quanto suoni strano, a suon di sberleffi ci siamo dimenticati tutti di come questa squadra sia la più giovane dell’intera Serie A e di come sia priva di leader datati. Un insieme di argonauti dove non appaiono nomi altisonanti. Niente comandanti in tale schiera, solo sotto ufficiali e soldati semplici. Un po’ poco, date le pretese attese, soprattutto se si pensa che la squadra ha dovuto pagare parte di peccati commessi da altri. Che cosa potrebbe riservare il futuro a questa squadra? Ciò che posso dire è che la speranza, almeno per quel che mi riguarda, è sempre l’ultima a morire. La speranza che il Diavolo possa finalmente tornare a essere fiero.
E, se proprio non sarà in grado di tornare a dar battaglia al paradiso da subito, come minimo si sarà ripreso il suo regno, dal quale potrà finalmente ricominciare.