Ieri sera il Milan ha giocato a Mercante in fiera alzando il prezzo della propria vecchia e lurida pellaccia, come poi si conviene a un diavoletto dispettoso. Chi la vorrà dovrà aspettare qualche giorno in più e gettare qualche altra goccia di sudore. Lo scudetto, peraltro, andrà all'Inter. Lo abbiamo capito e lo sappiamo tutti, perché non siamo né bambini né scemi. La maggior parte di noi vanno in giro da soli senza che i parenti prossimi e i congiunti si preoccupino.

Il lato positivo è che i rossoneri non hanno smobilitato, perché hanno un debito nei confronti della propria dignità e dei loro tifosi.

In tal senso, vorrei dare un consiglio a chi ieri ha avuto un travaso di bile nel vedere il gol di Tonali. Si rilassi, andrà tutto bene per i colori neri e azzurri del suo cuore. Il gol del Milan nel finale non cambierà nulla e lo Scudetto della doppia stella interista è blindato, purtroppo per il Milan. Quindi, non mi faccia stare preoccupato per la sua salute.

Peraltro, il Milan stava proprio cascando proprio nella doppia trappola che doveva evitare. I rossoneri, intatti, sono entrati in campo quasi schiacciati dalla responsabililità di dover vincere a tutti i costi e, per buona misura, hanno preso gol nella stessa maniera e allo stesso minuto di martedì in Coppa Italia. L'esperienza di quella semifinale avrebbe dovuto insegnare qualcosa alla squadra di Pioli che, invece, non ne ha tratto giovamento.

Dopo neanche 30'', Luis Felipe aveva provato a ripartire sulla sua fascia destra, anche se aveva trovato i rossoneri preparati, ma era stato il chiaro segno che Sarri voleva ripetere lo scherzo di Inzaghi per colpire a freddo sul lato di Hernandez. Questi, poco dopo, era stato costretto a mettere in fallo laterale dalla propria linea di fondo e, al 3' maledetto minuto, si faceva cogliere ingessato quando Milinkovic-Savic sfondava e crossava proprio dal fondo. Maignan, Tomori e Kalulu apparivano a loro volta bloccati e lasciavano che Immobile, sempre molto pericoloso in area, deviasse nell'angolo opposto a quello in cui martedì l'aveva messa Lautaro. Maignan, Hernandez, Tomori e Kalulu avevano mostrato la stessa rigidità che nasce da un peso eccessivo di responsabilità, molto probabilmente confusi dalla presentazione del match come una partita da ultima spiaggia.

Cos'è un paradosso? E' qualcosa che non dovrebbe verificarsi, ma che si verifica nonostante tutto. Più che far crollare i rossoneri, paradossalmente, il gol stemperava quella tensione che li aveva bloccati nei primi minuti. Il Milan, inziava a ragionare macinando gioco, ma senza lasciare praterie alla Lazio come aveva fatto invece contro l'Inter, che aveva atteso paziente per colpire in contropiede. Un lancio lungo su Lucas Leiva era intercettato di piedi da Maignan e un'incursione di Lazzari portava a un tiro strozzato dalla distanza, che si spegneva innocuo sul fondo. Per il resto, i laziali sfarfalleggiavano molto, giocavano con delle belle e rapide incursioni, ma non pungevano oltre misura.

La difesa biancazzurra era chiusa con doppio chiavistello e a quadrupla mandata. Ciò portava il Milan a costruire solo palle-gol sporche, cioè occasioni da gol da posizione defilata e con lo spiraglio che si chiudeva troppo rapidamente Erano Leao, Giroud di testa e Kessie a distinguersi senza riuscire trasformare. Messias si muoveva di più e giocava la palla con più rapidità rispetto ad altri impegni, per cui risultava più pungente evitando di trasformari in "Suso 2 - A volte ritornano". Dal canto proprio, Diaz risultava del tutto inutile quanto a efficacia, sempre in ritardo e inadeguato nei contrasti, quindi incapace di farsi valere in fase di costruzione. Se non altro, tuttavia, sputava sangue e dava il massimo.

Arriviamo al secondo tempo quando, quasi pronti-via su un rovesciamento di fronte, Leao si faceva trovare in posizione di seconda punta. Il gioiello rossonero faceva partire un preciso assist mancino per Giroud, che piombava sulla sfera come i falconi di Federico II sulla preda nelle campagne pugliesiIl centravanti transalpino metteva dentro di prepotenza.

Iniziava un altro match in cui i rossoneri andavano vicini al raddoppio più volte. Kessie la spizzava di testa su calcio d'angolo, ma una gamba biancazzurra intercettava il pallone. Su un altro corner, Junior Messias aveva la palla comoda a mezza altezza, ma sparava alto, perché l'aveva vista sbucare da una selva di giocatori solo all'ultimo momento. Più bravo il brasiliano quando, su azione personale, arrivava nel cuore dell'area e tentava un colpo da biliardo che sfiorava il palo a portiere battuto.

La Lazio sembrava lì lì per cadere, ma Pioli, a sospresa, rivoluzionava il centrocampo e l'attacco fra il 23° e il 25°. Usciva l'inconcludente Diaz, ma con essi due fra i più attivi nella prima ora abbondante del match ovvero Messias e Giroud. Al loro posto entravano Krunic, Rebic e Ibra. Giroud, che dopo il gol aveva continuato con rabbia a cercare il raddoppio, era... rossonero, cioè rosso come un peperone per lo sforzo e nel contempo nero per la rabbia. Le stesse cose si leggevano sul volto di Messias.

Ora, al momento dei cambi, chi scrive si è posto la seguente domanda: è meglio avere in campo giocatori stanchi, ma motivati e che hanno ormai una certa intesa coi compagni, oppure giocatori freschi che, inevitabilmente, avranno bisogno di un po' di minuti per trovare un modus operandi tecnico e tattico? Pioli, non nuovo a stravolgimenti improvvisi in corso di match, ha optato per la seconda ipotesi. Deve aver ragionato come i responsabili di scuderia che, nel corso di una gara automobilistica, anticipano un pit-stop rispetto alle scuderie avversarie, perdendo tempo nella speranza di guadagnarlo o non perderlo in un momento successivo.

Quella di Pioli è stata una decisione difficile e pericolosa. Da un lato era vero che, stanchi come apparivano, intorno al 40°, Giroud e Messias sarebbero stati sulle gambe. D'altronde, era anche vero che, spaesati come sono apparsi, i nuovi avrebbero rischiato di non avere tempo per rendere al meglio. 

Per un po', i fatti sembravano dare torto a Pioli, perché per quasi un quarto d'ora gli attacchi del Milan diventavano problematici, nel senso che non si esaurivano all'ultimo passaggio, ma al penultimo se non al terzultimo. Ibra girava a vuoto senza trovare la posizione. Rebic faceva la seconda punta stabile, che i rossoneri non sono abituati ad avere. Leao era costretto ad alternarsi su entrambe le fasce. Quello che si è adattato subito è stato Krunic, sempre posizionato con intelligenza e attento a fare solo ciò che sa fare, senza sprecare palloni. L'errore non è stato tenere una riserva come lui, anche se inzialmente si è pensato potesse fare il frangiflutti, cosa che non gli riesce benissimo. L'errore è stato credere che, il pur roccioso, Bakayoko potesse servire in una squadra che fa girare la palla in velocità, cosa per la quale è negato.

Nel finale i rossoneri trovano finalmente posizioni, schemi e occasioni. Leao, Rebic e Ibra iniziavano un proprio bombardamento personale che impauriva gli acquilotti. Era un lavoro che toglieva lucidità alla Lazio, perché nel recupero, su un lancio caparbio di Rebic, Strakosha non chiamava la palla né usciva, lasciando Acerbi nella scomoda posizione di dover ribattere di testa una palla spiovente. Pachidermico poco prima su una palla gol, Ibra vedeva Tonali libero e gliela appoggiava precisa di testa. Il giovane mediano rossonero la metteva dentro di punta da distanza ravvicinata.

Parecchi sono stati gli ammoniti, compreso Tomori, che ha giocato con un cartellino giallo sulla groppa per gran parte del match. Nel secondo tempo, Immobile ha simulato in maniera evidente un fallo che non c'era, visto che è caduto quando Tomori era ancora a mezzo metro, sperando di causare l'espulsione del rivale. Sono cose che nel calcio si vedono, ma ce ne sono anche di più belle rispetto a questi teatrini. Strakosha, dal canto suo, si è salvato con un semplice giallo per una respinta di mani fuori area su Messias, ma possiamo condividere la decisione di Guida, visto che la palla aveva una traiettoria in uscita rispetto all'area di rigore. Meno condivisibile la decisione del direttore di gara e del VAR, quando hanno sorvolato su un mani laziale che poteva portare al calcio di rigore. Il contatto era ravvicinato, ma il braccio era abbastanza largo. Diciamolo pure che non è stata una decisione scandalosissima, ma è evidente che è vietato dare rigori al Milan, altrimenti gli interisti si metterebbero a contarli. Sapete come ragionano quei signori: non conta se il rigore ci sia o no, ma se è fischiato a favore del Milan... è un aiutino. In fondo, tuttavia, alla luce del risultato finale, i rossoneri possono ringraziare il direttore di gara e il VAR. Qualche faccia tosta, al momento di festeggiare l'inevitabile Scudetto per l'Inter, avrebbe detto di averlo vinto nonostante i rigori dati al Diavolo.

In sede di considerazioni finali, si può ben dire che, se Tonali non l'avesse messa dentro, il pareggio sarebbe stato legittimo. Il Milan aveva avuto più occasioni della Lazio, ma nel calcio non si gioca per avere occasioni, bensì per segnare. Il Milan è riuscito a metterla dentro nell'occasione meno pulita della ripresa, ma lo ha fatto e conta questo. Contro il Bologna è stato irrilevante il bombardamento a tappeto dei rossoneri, dal momento che non ha portato ad alcuna rete. E' chiaro che, rovesciando il discorso, il gol di Tonali ha reso la vittoria rossonera logica e legittima. Chi la pensa diversamente può sempre seguire la ginnastica artistica, che è un'eccellente disciplina.

Come detto in sede di incipit, ieri il Milan ha giocato al Mercante in fiera, alzando il prezzo della sua pellaccia. Viste le belle cose registrate in questa stagione, è già un successo essere formalmente ancora in corsa a 12 punti dalla conclusione. Il campionato lo vincerà l'Inter, quindi gli interisti si rilassino e aspettino qualche altro giorno senza rompere i santissimi in anticipo. Per ora, il prezzo della pelle del brutto Diavolaccio è, listini di Roma alla mano, ancora abbastanza alto.

Per quando rischiosissime e pericolose, le scelte di Pioli hanno prodotto l'esito sperato, quindi è giusto dargli i meriti del successo. Il tecnico rossonero, inoltre, mi è piaciuto quando, in conferenza stampa, ha accusato ambiente e media di sottovalutare i suoi.

Difendere i propri uomini è un comportamento da tecnico che si rispetti.