Sarà un caso, ma quando si tratta di commerciare la proprietà del Milan, tutto assume l'aspetto di una quadriglia, quella danza popolare in cui un capoballo ordina ai cavalieri di cambiare partner. Changez la dame!

Alla vigilia della volata finale per lo Scudetto, si dava per fatto il passaggio della società rossonera a Investcorp, fondo della penisola arabica che vanta un portafoglio di 24 miliardi di euro (o giù di lì, se la differenza non è tanta, non perdete tempo a smentirmi). Messaggini social e uscite mediatiche annunciavano una trattativa in esclusiva con affare fatto, quasi per farsi, che si sarebbe fatto di certo, che non era ancora saltato e... che ora non si fa più.
Sapete perché? Il capoballo ha ordinato ai cavalieri di cambiare la dama. 
Changez la dame! 
Al posto degli sceicchi sugli agili cavalli del deserto, desiderosi di spendere denaro per portare il Milan alla vittoria, è spuntato il fondo Redbird, il cui portafoglio è 4 volte inferiore e che... sì, investe nello sport, ma con quote minoritarie. Al vertice di questa struttura troviamo l'italo-americano Gerry Cardinale (il nome, almeno, è quello di un italo-americano).
Non sto a elencarvi il CV di questo signore, perché è dai tempi di YongHong Li che dei CV ne ho piene le tasche (limitandomi a parlare di tasche). Ho spulciato qua e là per apprendere che Mr. Cardinale vorrebbe trasformare il Milan in una media company. Dal momento, tuttavia, che anni fa si parlava di aprire una catena di ristoranti rossoneri in Cina, potrebbero anche raccontarmi che Cardinale vuole trasformare Milanello in una fabbrica di gelati o di batterie per veicoli motorizzati. Non me ne fregherebbe niente.
Il problema è che il signor Cardinale rientra nella categoria di investitori come Commisso e Friedkin. In sé non c'è nulla di male, visto che i proprietari di Fiorentina e Milan sono persone validissime. Però, è evidente che, dopo aver tremato, la montagna sembra aver partorito un topolino, sempre che il tutto si realizzi, ovviamente.
Con l'aria che tira, da un momento all'altro potreste leggere che l'affare dato per fatto ha subito un rallentamento. Il passo verso la pausa di riflessione per un affare che si farà di certo, che poi potrebbe non farsi senza essere sfumato del tutto, che sfuma nuovamente... è breve. E magari leggeremo che Berlusconi ha comprato il Milan portandosi dietro Galliani. Fra Monza e Milano non c'è una linea di confine ben delineata.
E poi, anche se Cardinale comprasse il Milan, mi spiegate perché dovrei ritenere positivo un simile cambio di proprietà?
Tanto sarebbe valso farsi acquistare 2 anni fa da Rocco Commisso, che aveva pensato prima alla società rossonera che alla Fiorentina, no?
In attesa che il capoballo ordini un eventuale altro changez la dame, restiamo fermi a Redbird e a Gerry Cardinale. Assistiamo a questa contredanse di trattative a uso di chi ama queste cose. Io non sono fra quelli.

Ma le vicende della nuova fiction, "Il ritorno del closing" non sono le uniche ad allietare il mondo rossonero in questa rovente tarda primavera.
Gli ultimi due anni del Milan sono stati un capolavoro culminato nello Scudetto, ma non perché, come sostengono alcuni dei sette savi, i saggi e gli onesti del calcio, il Milan non avesse i giocatori per farlo. Bensì perché il tutto è maturato in una società simile a una polveriera pronta a saltare.
Nel 2020 ci fu una faida autentica fra l'AD Gazidis e il resto della dirigenza, che portò prima all'addio di Boban, ma poi alla retromarcia dello stesso Gazidis, il quale stava portando in rossonero Rangnick. L'arrivo del tedesco, ormai più un dirigente che un tecnico, avrebbe messo in secondo piano Maldini. La lotta vera, comunque, fu fra l'ex-capitano rossonero e proprio Gazidis, lo sponsor di Rangnick, più che fra Maldini e il tedesco. Il buon finale di stagione del 2020 fu sfruttato mediaticamente dallo stesso Maldini, non solo per restare in rossonero allontanando Rangnick, ma anche per ritagliarsi spazi di maggiore autonomia. 
I risultati sono stati eccellenti, nessuno si sogna di discuterlo. Per una squadra italiana, lo Scudetto è il secondo successo più importante dopo la Coppa dei Campioni (il Campionato del Mondo per squadre di club è un di cui della Champions). Al di là, però, dell'eccellenza di tali risultati, è evidente che l'ascia di guerra fra Maldini e Gazidis era stata solo temporaneamente messa da parte, al di là delle foto di famiglia e dei sorrisi di circostanza.
Attendevo lo scontro attuale dal 2020
, perché mi sembrava artefatto tutto il clima di pace agreste che sembrava regnare in rossonero, con gli armenti a pascere nei verdi prati al suono dolce di "La primavera" di Grieg. La prospettiva dello Scudetto ha spinto tutti a remare dalla stessa parte, ma ora il campionato è finito.
Maldini si lamenta di non essere chiamato per discutere il rinnovo del contratto, fra le cui condizioni ci dovrebbe essere un ampliamento del budget per il mercato,
con la possibilità di concludere trattative già imbastite, come quella per l'olandese Botman. Potrebbe apparire tutto ok da parte di Paolo, preoccupato per il futuro tecnico del Milan. Ricordare la storia, però, spinge a essere più cauti in situazioni come questa.

Nel 1975, il Milan ingaggiò Gustavo Giagnoni, uno dei migliori allenatori italiani dell'epoca, che aveva sfiorato lo Scudetto con il Torino, una squadra non ancora così forte come quella che Radice avrebbe portato al vertice in seguito. Giagnoni, a torto o a ragione, chiese di scambiare Rivera con il giovane Giancarlo Antognoni o con Claudio Sala (comunque più giovane del golden boy). Rivera replicò annunciando il ritiro, facendo capire al presidente Buticchi che sarebbe rimasto senza di lui e, nel contempo, senza Antognoni o Sala. Il popolo rossonero fu chiamato a raccolta contro Buticchi e Giagnoni in una guerra impari, visto che nelle interviste televisive, i tifosi più benevoli verso Giagnoni sostenevano di non voler perdere nessuno fra il tecnico e il capitano rossonero. Gli altri, la maggioranza, accoglievano il tecnico a Milanello dandogli in coro del pistola cui Rivera faceva scuola. Non ero fra quelli, perché non vivevo in Lombardia, ma ero un adolescente rossonero e riveriano di ferro, già incattivito con Buticchi per aver venduto Pierino Prati. Insomma, se fossi vissuto in zona, ci sarei stato anche io ad apostrofare così ingiustamente il povero Giagnoni. Mea culpa mea culpa mea culpa!

Una volta che Buticchi fu costretto a lasciare e una volta cacciato l'ottimo Giagnoni, nel giro di pochi anni subentrararono presidenti che prima rischiarono di far retrocedere i rossoneri. Poi, quando tutto sembrò essere tornato a posto con la conquista della stella, Gianni Rivera finì dietro una scrivania in un periodo che vide due retrocessioni, la prima perché la società era diventata un ambiente discutibile che coinvolgeva anche la proprietà. Rivera era all'oscuro di certi affaracci, ma avrebbe dovuto essere una garanzia per i tifosi e non riuscì a esserlo. A cosa stava pensando quando accadevano certe cose? La sua esperienza di dirigente fu comunque fallimentare e coincise col periodo meno bello nella storia rossonera. 
Io non dico che, nella sostanza, Maldini abbia torto, ma anche Rivera apparve come il garante dei tifosi, il tribunus plebis rossonero, nei confronti dei presidenti presenti e futuri. Albino Buticchi e Gustavo Giagnoni avevano forse torto nel voler voltare pagina con il golden boy, icona sacra della storia rossonera. Ma un presidente come il primo è stato rimpianto per dieci anni fino all'arrivo di Berlusconi. Giagnoni, invece, era un tecnico di grande valore e nel momento migliore della carriera. 

Dopo il periodo fra il 1975 e il 1986, diffido sempre di coloro, anche illustri e meritori, che vorrebbero identificarsi con la società. Lo fece Rivera, la cui permanenza coincise con disastri epocali. Ci fu anche lo Scudetto della stella, è vero, ma fu più opera di Niels Liedholm e dei compagni che del capitano, assente per quasi metà delle partite. Quindi, al di là dell'eccellente lavoro di Maldini (con il suo collaboratore Massara), aspetterei a farne un martire a difesa della fede.
La società ha conosciuto il suo periodo migliore dopo Rivera e senza di lui
, con una proprietà che ha fatto piazza pulita del passato. Maldini ha dalla sua i risultati e molta stampa autorevole, che dal 2020 gli fa da cassa di risonanza, gli stessi giornalisti che nel 2020 hanno tuonato contro Rangnick. Ma la società rossonera non è di Maldini, per quanto tutti vogliamo che resti.
Il Milan è stato fondato nel XIX° secolo e solo il Genoa, fra le società esistenti, può vantare un pedigree più antico. Prima di questo scudetto, ha vinto molto anche con altre proprietà, dirigenti, tecnici e giocatori, per cui il popolo rossonero non si crei eroi o nemici che, almeno in parte, potrebbero non essere tali.
E poi, l'Inter ha sì preso un rinforzo di contorno, Mkhitarian a fine contratto. Ma perde uno dei suoi uomini migliori, Perisic, a sua volta via a fine contratto senza portare soldi in nerazzurro. Il sostituto sarà Gosens, ottimo giocatore, che è stato pagato 25 milioni, ma dopo vari infortuni, il suo rendimento resta un punto interrogativo. Cederà Bastoni per fare cassa, vista la pesante situazione debitoria della società.

Però... eh sì, è il Milan che è condannato a non essere competitivo.
Un po' di logica e di equilibrio, su!