Il concetto di progettualità è diventato trendy negli ultimi anni. Anche nel mondo del calcio, dove solitamente i risultati non possono farsi attendere troppo, è cominciato ad apparire sulla bocca dei dirigenti più disparati. Nel caso specifico del Milan, una simile parola viene ribadita da diverso tempo, senza però realmente lasciar intendere se il suo significato sia stato veramente compreso dalla società. A sentir per esempio le parole pronunciate da Paolo Maldini, qualche settimana fa, più di un  dubbio è sorto nella mente del sottoscritto.

“La mia storia è pesante, il fatto che io sia qui a collaborare testimonia il fatto che vogliamo tornare ad alti livelli in tempi brevi. Non ho nessuna intenzione di aspettare 10 anni. […] Se nella società c’è l’idea di tornare competitivi fra 15 anni, non non saremo nella direzione sportiva.” - Paolo Maldini, 25 ottobre 2019

Queste parole potrebbero essere facilmente condivisibili, in particolare per coloro che portano il Milan nel cuore. Esse però nascondo un punto di domanda particolarmente grande. Un punto di domanda che getta un’ombra, l’ennesima, sulla dirigenza rossonera e il suo modo di gestire questa situazione assai ostica, anzi oserei dire catastrofica. Innanzitutto, analizziamo il modo in cui l’attuale dirigente del Milan si è espresso di fronte ai giornalisti di Sky Sport. Cerchiamo di leggere tra le righe delle sue frasi, perché a volte, anzi quasi sempre, non è quello che dici a comunicare, ma lo è il come lo esprimi. La mia storia è pesante… Maldini, in risposta alla domanda che cosa ne sarà del Milan nel prossimo futuro, inizia la frase con una premessa. In gergo da bar, come piace a noi, questo atteggiamento lo potremmo definire maniavantismo. In altre parole, quel comportamento verbale che serve a costruirsi una protezione preventiva. E infatti, se rileggiamo bene la prima frase, essa potrebbe essere facilmente tradotta come “io ho una reputazione, dunque se sono qui è perché mi è stato assicurato o promesso qualcosa”, ovvero guidare una società vincente in tempi brevi. 

Sin qui, nulla di strano o di particolarmente sbagliato. Maldini deve pensare giustamente anche a sé stesso e, se è vero che gli fu promesso qualcosa in sede di contratto, può essere giusto ribadirlo. Certo, magari evitare di farlo davanti ai giornalisti in un momento già difficile, sarebbe stato non solo elegante, ma soprattutto intelligente, almeno dal punto di vista del ruolo istituzionale che ricopre. Detto ciò, la frase successiva e conclusiva è quella più incriminante. Non ho nessuna intenzione di aspettare 10 anni… Il concetto è chiaro e molti tra i tifosi l’hanno apprezzata. Ma cosa vuol dire che non si vogliono aspettare 10 anni? È forse questo il progetto della società? Essendo dirigente, Maldini ne è venuto a conoscenza, oppure è solo una sua supposizione? In entrambe le situazioni, purtroppo capitan Paolo non fa una bellissima figura. Nella prima delle ipotesi infatti, se Maldini fosse realmente a conoscenza di un progetto societario decennale, contraddirebbe le sue stesse parole iniziali. In partenza, ha infatti sostenuto di essere tornato al Milan, per farlo tornare grande in tempi brevi. Se ciò non fosse realmente nei programmi palesati internamente dalla società, Maldini allora non avrebbe altro da fare che alzarsi, stringere la mano di Gazidis e andarsene. Ciò che lui stesso afferma, guarda caso, in chiusura d’intervista.
E questo ci porta così a sondare la seconda ipotesi.
E se Maldini avesse detto ciò, perché non sa quali realmente siano i piani della società? E se con le sue parole, avesse cercato di esprimere una sua paura, o sentore, a riguardo? Per quel che mi riguarda, questa è l’ipotesi più realistica, ma non meno preoccupante. Come dirigente infatti, Maldini quanto meno dovrebbe essere informato sulla progettualità, nel breve e nel medio periodo, della sua società. La sua ignoranza in questo frangente d’altronde, non sarebbe necessariamente colpa dello stesso Maldini. In realtà però, è il fatto che probabilmente, in quell’intervista, Paolo Maldini ha involontariamente rivelato la vera situazione dirigenziale del Milan. Ha rivelato insomma come la progettualità, tanto paventata in casa rossonera, non esista. Di questo in realtà avremmo già dovuto accorgercene, osservando le azioni espresse da tale dirigenza, con Maldini tra i principali protagonisti, negli ultimi mesi. 

Che cos’è un progetto? In breve, è un piano fatto di concetti e azioni che devono portare a un obiettivo. Per essere funzionale, deve innanzitutto essere efficiente, ovvero deve centrare questo benedetto obiettivo. Poi, se è ben impostato, deve puntare il più possibile all’efficacia, ovvero al raggiungimento dell’obiettivo in tempi brevi e con il minor dispendio di energie e risorse possibile. Ma soprattutto, il progetto deve essere chiaro, trasparente, quantificabile, scandito da tempi precisi e controllato periodicamente. Un qualcosa dunque dove il condizionale, il “se la società pensa di”, non può rientrare. Ed ecco dunque come le parole di Maldini ci hanno rivelato come questo progetto, così paventato e reclamizzato, in realtà non sia mai esistito. Se infatti ci fosse stato realmente un progetto, per prima cosa si sarebbe dovuta fare un’attenta analisi della situazione. Visti gli attuali risultati, oggi si comincia a dire come Gattuso fu protagonista di una sorta di miracolo, la stagione precedente. Un quarto posto quasi agguantato e perso negli ultimi dieci minuti della giornata conclusiva. Un risultato che, a momenti e forse in leggero anticipo, avrebbe toccato uno dei primi step di questa fantomatica rincorsa alla grandezza. La squadra, seppur magari bruttina nel gioco, c’era, era in grado di fare dei risultati convincenti e, soprattutto, aveva costruito un vero e proprio fortino in difesa. Il reparto che, secondo molti, costituisce la vera base per poter diventare una squadra vincente. 

A vedere dunque quanto fatto in quei 18 mesi, ovvero la durata della panchina targata Gattuso, si poteva cominciare a pensare che un progetto, finalmente, fosse stato messo in piedi. Certo, esso non avrebbe portato a vincere in un paio d’anni, ma avrebbe forse dato la possibilità al Milan di avere una squadra competitiva nel corso di un triennio. Ho detto avrebbe, in quanto le dimissioni forzose di Gattuso hanno cancellato completamente una simile illusione. Le decisioni infatti, più delle parole, comunicano idee ben precise, giuste o sbagliate che siano. Gattuso non era l’allenatore che la dirigenza si immaginava sulla panchina del Milan. O, meglio ancora, la dirigenza ha creduto fermamente che, dati i risultati raggiunti, essi sarebbero di certo migliorati affidando la squadra a un allenatore diverso. Purtroppo, come tutti ben sappiamo, le cose sono andate in maniera totalmente diversa. Nella realtà, Gattuso non fu fautore di alcun miracolo. Più semplicemente, egli aveva deciso di far giocare la sua squadra nella maniera più semplice possibile, eliminando ciò che non serviva e puntando al risultato minimo raggiungibile. Detto così può sembrare brutta, ma nella realtà è così che si portano avanti i progetti, in particolari quando si è alle prime battute. 

Immaginate infatti per un attimo di voler farvi costruire una villa sontuosa. Per prima cosa trovate un posto dove farlo e poi affidate l’incarico a un architetto. Questi, valutate zona di costruzione e risorse a disposizione, vi dice in tutta sincerità che ci vorrà tempo: prima si lavora il terreno, rendendolo stabile; poi si posano le fondamenta e le si rinforzano; infine si comincia a pensare all’estetica. Dato che vorreste il prodotto finito in tempi brevi, siete dubbiosi, ma decidete comunque di affidare l’incarico a questo architetto dal fare prudente. Ed egli comincia allora nel suo lavoro. Sistema il terreno, lo libera da scorie e debolezze, fa in modo che non comporti pericoli in futuro. Poi, una volta aver finito la prima fase, comincia a porre i basamenti su cui la vostra villa si ergerà. Anche qui, l’architetto incaricato decide di impiegare un po’ di tempo, perché vuole che le fondamenta siano in grado di reggere in qualsiasi situazione. Nel mentre, con i mesi che passano, fate avanti e indietro con la vostra macchina per visionare il cantiere. A vederlo è bruttino, spoglio. Solo dei piloni in cemento e mattoni, qualche contrafforte e poco altro. No, così non va. Non siete disposti ad aspettare e così, nonostante l’architetto vi avesse pre-avvertiti sulle tempistiche, gli imponete di accelerare. Lui però, che è un serio professionista con delle responsabilità sulle spalle, rifiuta e rinuncia all’incarico. Per voi è meglio così, vi siete solo liberati di un peso e potete affidare il vostro sogno a ben altri professionisti, decisamente più vicini alla vostra idea. I lavori così ricominciano sotto un’altra gestione, ma già dopo pochissimo tempo, accade un primo incidente.
Con le modifiche apportate al progetto, parte della struttura iniziale ha ceduto. Va bene, può capitare. Ma più il tempo passa, più questi incidenti si moltiplicano e, alla fine, il cantiere assume l’aspetto tremendo di un collage di disastri. Capendo di aver commesso un palese errore, licenziate l’architetto subentrato al progetto. E, dentro di voi, sebbene sia difficile digerirlo, cominciate a pensare che il primo architetto, forse, aveva ragione. Ora, quanto tempo e quanti soldi ci vorranno per sistemare le cose? 

Se la metafora è chiara, credo che in molti capiscano dunque come la frase di Maldini, non ho nessuna intenzione di aspettare 10 anni, da condivisibile si tramuta in irricevibile. Perché se infatti non si è disposti ad attendere così tanto, cosa su cui si può essere d’accordo dall’esterno, a cosa si stava pensando quando Gattuso è stato lasciato andare senza alcuna remora? Per quanto infatti possano esserci antipatie all’interno di un’azienda, i risultati e il progetto in particolare vengono prima di tutto. Poteva non piacere di partenza, questo può starci. Ma in verità, ciò che forse proprio a qualcuno non andava giù, è che il progetto visto nella stagione scorsa era nato, e non solo messo in pratica, nella testa dello stesso Gattuso. L’unico forse ad aver capito come far girare una squadra, come renderla più stagna, come cercare di farle vincere qualcosa, anche se con estrema pazienza. Magari ci sarebbero voluti altri due o tre anni, un tempo considerevole dunque, ma prima o poi, forse, qualche risultato importante si sarebbe visto. E se questo fu il vero problema, se un triennio fu considerato come un tempo troppo esteso per ritornare a essere competitivi, ebbene ciò sancisce la definitiva e impietosa valutazione nei riguardi del signor Maldini e della dirigenza tutta. Una compagine purtroppo completamente incapace di creare un serio progetto, preferendo affidarsi a scelte istintive e fantasiose, il cui destino è legato per definizione al volere del caso. In casa Milan infatti non c’è un progetto, non c’è mai stato. Perché un progetto comporta serietà, freddezza e pazienza. Un progetto serio è ciò che divide un dirigente tra la scelta di attendere un triennio programmatico, o lustri se non decenni nella speranza che la ruota del caso giri a proprio favore. Il concetto di progettualità, questo sconosciuto, sta proprio in questo: saper scegliere. Se di ciò non si è in grado, tanto vale lasciare il posto o prepararsi a questi dieci lunghissimi anni di attesa. 

P.s.: l’architetto che aveva iniziato il progetto, ha rinunciato ad altre commesse e attualmente è libero. Magari fargli un colpo di telefono, per sentire che impegni ha per il futuro? 

“Chi ha orecchi per intendere, intenda” - Vangelo di Marco 4,9