C'era una volta, tanto tempo fa, una squadra fortissima, un club che sapeva vincere in Italia, in Europa e nel mondo, incantando tifosi ed avversari con il bel “giuoco” di cui era maestra. Quella squadra si chiamava Milan. Oggi di lei restano solo i colori della maglia, il suo pubblico di fedeli supporters, ed un flebile eco del suo antico blasone... nulla di più.
Depauperata negli anni dei suoi campioni, sacrificati uno dopo l'altro sull'altare del bilancio, la sua caduta è stata lenta ed inesorabile, una tremenda agonia costellata di parametri zero sul viale del tramonto, ex calciatori riciclati come allenatori e giocatori acquistati in saldo, senza un barlume di pianificazione, da una proprietà interessata solo a disfarsi del suo vecchio ed inutile giocattolo. Oggi il vento sembra cambiato, Elliot e la famiglia Singer hanno finalmente ridato solidità economica e di conseguenza credibilità a questo club, spazzando definitivamente le facili illusioni regalate dal misterioso Yonghong Li e dalla sua compagine dirigenziale. Tra le rovine di questo impero ancora sommerso, ogni cuore rossonero si interroga su cosa serva alla propria squadra per arrivare nel più breve tempo possibile a rivivere i fasti di un tempo. Al di là delle facili congetture, ritengo che gli ingredienti necessari tornare a vincere siano essenzialmente tre.

Il primo, imprescindibile, avere una proprietà ambiziosa di successi sportivi. Le risorse finanziarie del fondo americano di certo non si discutono, ma si può dire la stessa cosa, al di là dei proclami di facciata, sulle reali intenzioni societarie? Indiscutibilmente, se l'acquisizione del Milan è stata concepita con l'unico scopo di produrre un arricchimento patrimoniale del colosso finanziario statunitense, il ritorno nel mondo dei grandi resterà solo un illusione, un sogno di una notte di mezza estate calcistica.

Il secondo ingrediente, indispensabile per creare la giusta alchimia, si traduce nella scelta di un grande allenatore. Con il termine grande non intendo necessariamente un allenatore di blasone internazionale. Sacchi, Capello e Ancelotti non lo erano quando fu affidata loro la panchina rossonera. Al nostro spogliatoio serve una figura esperta, un leader che sappia coniugare abilità tattica, psicologia, bel gioco e tecnica, un padre vestito da sergente che possa diventare un riferimento nei momenti di appannaggio stagionale, insomma un abile ed esperto condottiero in grado di favorire quel salto quantico che manca ormai da troppo tempo.

Il terzo ed ultimo ingrediente lo identifico nella capacità, che la nostra dirigenza dovrà dimostrare, di saper pianificare strategicamente gli acquisti. Comprare giocatori, anche fortissimi, non è sempre sinonimo di successo. Ci sono squadre che negli ultimi anni hanno speso cifre folli per talentuosi fuoriclasse raccogliendo però pochissimo in termini di risultati. Servono invece investimenti mirati, uno o due innesti di livello all'anno (magari partendo da un mediano di costruzione e da cursori di fascia veloci ed abili nel dribbling) . Solo in questo modo sarà possibili costruire con una logica progressiva e senza stravolgerne l'assetto, una squadra di campioni con una precisa fisionomia ed identità. In quest'ottica dovrà essere parimenti coltivato anche il vivaio giovanile, settore che negli ultimi anni si è rivelato fucina di talenti.

Se questi tre ingredienti faranno parte della futura ricetta chiamata Milan, tiriamo fuori le bandiere e prepariamoci a rivivere di nuovo la nostra storia, ad essere prossimi protagonisti di una favola nella quale saremo finalmente… felici e vincenti.